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Un figlio: oggetto del desiderio... desiderio dell'oggetto

Con vivacità e dovizia di particolari, la dott.ssa Iris Bonanno Conti, ha mirabilmente illustrato il rapporto che, durante la gravidanza, lega la madre e il figlio

L'universo del neonato e della madre

Un FIGLIO: oggetto del desiderio…desiderio dell’oggetto

    Immagine riferita a: Un figlio: oggetto del desiderio... desiderio dell'oggettoQuello che io in questo breve incontro, che io considero informale, vi esporrò, è frutto di 50 anni di esperienza diretta sull’universo del neonato e della madre: difatti, facendo il pediatra, ho avuto modo di studiare, da una posizione privilegiata, la diade madre-figlio; parliamo molto appropriatamente di diade madre-figlio perché essi, nel primo periodo della vita, vivono in simbiosi costituendo una diade inscindibile: madre figlio interagiscono fisiologicamente tra loro a livello ormonale, immunitario, sensoriale, emozionale e sociale. Questa forte relazione   s’instaura molto precocemente in epoca prenatale, epoca in cui il feto è già un figlio, un figlio non nato, relazione che poi viene amplificata nel periodo neonatale. La  maggior parte degli input alla base della relazione, vengono recepiti attraverso la sensorialità, il cui sviluppo, in tutti i mammiferi, avviene secondo un ordine prestabilito: dapprima quella su base chimica (olfattiva e gustativa), quindi, in ordine, la cutanea (tattile), la vestibolare, l’uditiva e la visiva. Tutte, ad eccezione di quella visiva, sono molto attive prima della nascita e sono molto importanti per comprendere la relazione tra madre, neonato e ambiente. Sappiamo oggi che il feto non vive, come si credeva in passato, isolato in una specie di fortezza, ma il feto comunica non solo con la madre, bensì con le altre figure familiari e con l’ambiente. Oggi sappiamo che una serie di messaggi, provenienti dalla madre e dall’ambiente, costituiscono la base di un rapporto reciproco, influenzando lo sviluppo del sistema nervoso e determinando, così, entro certi limiti, le caratteristiche del futuro individuo. Gli studi di Humphrey dimostrano che il sistema tattile fetale è funzionante già dalla 7° w : la sensibilità tattile partecipa significativamente alla costruzione della vita relazionale del feto. Esiste una scienza del tatto, l’APTONOMIA, che insegna ai genitori come stabilire un rapporto tattile con il feto attraverso la parete dell’addome materno: grazie a tale rapporto si instaura un vero e proprio dialogo; pertanto possiamo dire che la sensorialità tattile è una via di comunicazione privilegiata: il tatto è una funzione fondamentale, che implica l’unione intima tra gli esseri viventi, umani fra tutti. Basti ricordare che le più intense manifestazioni affettive, in ogni epoca della vita, si esprimono con mezzi come gli abbracci e le carezze, che coinvolgono soprattutto la sensibilità tattile. Con l’aptonomia la madre apprende a toccare il bambino attraverso le pareti addominali, quasi come se lo tenesse in braccio e lo abbracciasse; e il feto risponde a questo abbraccio  della madre al punto di spostarsi nell’utero seguendo il contatto affettivo trasmesso dalla dolce pressione della mano materna.      

Un filosofo- scienziato AIVANHOV paragona la gravidanza a un processo galvanico: il feto è il polo ricettore; il cervello della madre è il polo emettitore; l’ambiente che circonda la donna è la pila; il sangue, in cui sono immersi i due poli, è la soluzione. In questo sistema la madre influenzerebbe il feto attraverso, sia  le emozioni stressanti, sia i sentimenti e i pensieri armoniosi. Si comprende quindi quanto è importante una buona relazione prenatale tra madre e feto per lo sviluppo del nascituro e appare chiaro come lo stile di vita della gestante (alimentazione, qualità e quantità del riposo, capacità di gestione dei problemi quotidiani, ansia, tono dell’umore….) possa influenzare la relazione con il feto e quindi la possibilità di questo, e successivamente del neonato, di crescere e sviluppare appieno le proprie potenzialità. Ai fini di una relazione ottimale, è indispensabile una madre sana, non sottoposta a stress psicologici, felice di aspettare un figlio, consapevole delle capacità comunicative del feto, desiderosa di relazionarsi con lui, proteggerlo, coccolarlo e amarlo già prima della nascita. La gravidanza deve svolgersi in un ambiente piacevole, sereno, con la consapevolezza dell’importanza della serenità della gestante. Tutto questo ha una base scientifica: lo stress psicologico della madre provoca l’aumento di alcuni ormoni, tra cui l’adrenalina, che provoca una riduzione del flusso ematico feto-placentare: il feto così finisce con il soffrire della risposta della madre allo stress. In pratica lo stress materno determina nel nascituro bradicardia, ipotensione arteriosa, acidosi, per la liberazione di catecolamina, responsabile, a sua volta, di un incremento del numero e della intensità delle contrazioni uterine, e, quindi, di vasocostrizione utero-placentere che comporta un minore afflusso di ossigeno al cervello del feto.

 Anche alcuni problemi del parto (parto prematuro, parto distocico) e del neonato (difficoltà del sonno, reflusso gastro-esofageo) sono significativamente più frequenti quando la madre ha avuto stress non compensato durante la gravidanza. Un altro autore ha trovato significative differenze nel peso nascita secondo il grado di ansia materna in gravidanza. E ancora, alcuni disturbi psicosomatici dell’età scolare (cefalea, nausea, diarrea…), ritardo mentale, turbe psichiche, anomalie neuro-comportamentali, disturbi alimentari ( rigurgiti, vomiti) nel neonato, sarebbero legati allo stress in gravidanza. Nei meccanismi patogenetici di queste patologie, è sempre preminente il ruolo delle catecolamine che, abbiamo detto, aumentano in corso di stress.

       Immagine riferita a: Un figlio: oggetto del desiderio... desiderio dell'oggetto Riallacciandoci alla capacità relazionale del feto, dobbiamo sottolineare che queste competenze comunicative, al momento del parto, vengono esaltate ed amplificate nel neonato. Alla luce di quanto detto, comprenderete l’importanza dei primissimi contatti pelle-pelle tra madre e neonato, che, insieme all’allattamento al seno, costituiscono il modo migliore per rafforzare la relazione diadale madre-neonato: i messaggi tattili, termici (calore materno), olfattivi (l’odore della madre), gustativi (il latte materno) costituiscono gli elementi portanti del dialogo diadale corporeo. Ha notevole importanza perciò la pratica del rooming in per rinsaldare maggiormente questa simbiosi.    Permettetemi di chiarire per i non addetti ai lavori cosa intendiamo parlando di rooming in: è la pratica adottata da molti ospedali per cui la madre ha la possibilità di tenere nella propria stanza il neonato per tutto il corso della degenza, anzicchè tenerlo al nido, per rafforzare il legame vissuto in gravidanza. E’ ormai una pratica utilizzata con successo da più di 15 anni e consigliata da pediatri, nutrizionisti, psicologi per consolidare il bonding con un contatto sempre più precoce madre figlio, già in sala parto.

Assodato che madre–neonato costituiscono una diade, iniziamo col parlare di uno degli elementi della DIADE: il neonato. Il mio amore per il neonato è molto datato: la prima volta che mi fu presentato, nella sala parto della Clinica ostetrica dell’Università  di Messina, io avevo poco più di 20  anni, e lui era appena nato. Fu uno shock quel batuffolo rosa con gli occhi che accennavano ad aprirsi  uno alla volta: avete notato come i neonati aprono gli occhi ad uno ad uno?.... come se non volessero aprirli immediatamente sulle storture del mondo (versione del pessimista), o come nei nostri risvegli più dolci per centellinare il piacere (versione dell’ottimista).  E fu amore a prima vista. Da allora, non vi dico per un residuo di civetteria  senile quanti anni sono passati, i progressi che hanno pervaso l’universo neonato nell’ambito della Medicina, sono enormi  e sono stati ripagati da uno spettacolare crollo della mortalità infantile (numero dei morti nel primo anno di vita), tasso considerato il più attendibile indicatore del livello socio-economico di un territorio: fino circa 50 anni fa, circa 50 bimbi su 1000, non spegnevano  la loro prima candelina; oggi la mortalità infantile in Italia è attestata intorno al 3,7%. A partire dagli anni ’70 abbiamo affinato e perfezionato le nostre conoscenze sul  mondo neonatale, abbiamo cominciato a prendere coscienza delle esigenze del neonato, abbiamo scoperto questo sorprendente neonato, questo miracolo di bioingegneria sovrumana e di creatività divina che è il neonato.

Immagine riferita a: Un figlio: oggetto del desiderio... desiderio dell'oggetto Da questa finestra aperta sul mondo neonatale abbiamo imparato ad adeguarci alle esigenze del neonato, avendo come obiettivo non la CURA del neonato, ma la CARE che è cosa ben diversa, perchè con essa s’intende prendersi cura globale del neonato. E’ nata la Neonatologia, scienza moderna volta ad assicurare al neonato potenziali integri per  potersi realizzare come persona. …..Qualche sprovveduto potrebbe pensare: quante attenzioni per un piccolo esserino! dimenticando che il neonato è il più prezioso degli umani perché racchiude in sé tutte le potenzialità dell’essere umano, potenzialità di cui noi tutti dobbiamo essere custodi e che dobbiamo aiutare a realizzare. Mi piace dire che chiunque ami un bambino come io l’amo, sa che un bimbo non è mio, un bimbo non è tuo, un bimbo non è suo, un bimbo è patrimonio di tutti, esso rappresenta il nostro domani, il domani dell’umanità.

Ma se negli anni gli spazi conquistati dal neonato sono stati tutti in salita, lo stesso percorso migliorativo purtroppo non ha seguito l’altra figura della DIADE, la madre. Dobbiamo premettere che negli ultimi 30-40 anni, la figura femminile ha subito un processo involutivo innegabile, rinunciando, sotto spinte sociali varie, alle prerogative che madre natura le aveva destinato: la prerogativa di assicurare alla specie umana l’immortalità; di fatto avere un figlio, trasmettere il proprio patrimonio genetico, è l’unico modo per assicurarsi l’immortalità.  La figura della madre dell’era post-industriale, è veramente lontana dagli stereotipi degli anni 50-60. E sulla base di questo asserto vorrei sdoganare la figura della madre, un pò dolciastra, svenevole, tramandataci dalla letteratura  deamicisiana, per tracciare una figura, sempre a tutto tondo e di grande spessore, ma più realistica: è come dipingere una rappresentazione con la luce verista e, se vogliamo, violenta di Caravaggio, anzicchè con il manierismo felpato dei pittori dell’Ottocento.

Immagine riferita a: Un figlio: oggetto del desiderio... desiderio dell'oggettoGià il titolo è provocatorio e potrà suscitare la reazione di qualche uditrice, ma questo non potrà che animare l’incontro in fase di discussione.

Permettetemi delle premesse: quando noi studiamo statisticamente la distribuzione di qualsiasi fenomeno biologico, vediamo che i valori del fenomeno studiato, fatta salva la giusta numerosità del campione, si dispongono secondo una curva gaussiana o normale, tipicamente a campana, in cui al centro troviamo la frequenza massima e ai due lati le frequenze delle varie classi che diminuiscono simmetricamente. Anche la maternità, l’essere madre con tutte le implicazioni somatiche e psichiche che essa comporta, dal travaglio del parto, all’allattamento, alla capacità di sviluppare appieno la 'care' del figlio, si può  studiare con una curva di probabilità. E come in tutte le  curve gaussiane c’è una parte centrale che include la frequenza massima del campione e con ai due lati gli estremi che rappresentano ciascuno circa il 2,5 % del campione. Potremmo rappresentare il fenomeno in un grafico di percentili, e avremmo una immagine, con la NORMA, che si discosta poco dalla mediana, ed i percentili estremi il 97°-99° pc in alto e il 2°-3° pc in basso. Io non vi parlerò dei casi estremi che rappresentano circa il 5-6% del campione (appunto 2°-3° pc, 97°-99 pc), , né dei casi estremi molto negativi né dei casi estremi molto positivi.

Infatti, se dovessi trattare del 1° campione (e ne ho vissuti di casi estremi negativi: dalla madre che partorisce il figlio nel water e cerca di liberarsene come di uno sterco, alla madre che uccide il neonato chiudendolo in un sacchetto di plastica gettandolo via come fosse un rifiuto, alla madre che cede il proprio figlioletto appena nato in cambio di ..favori, alla madre, donna colta e quindi informata, che si inietta eroina fino al momento del parto procurando al figlio una sindrome da astinenza potenzialmente mortale, ecc…ecc…. Potrei raccontarvi tante di queste storie, ma forse la trattazione richiederebbe la collaborazione di un psicologo e di un criminologo. Né tanto meno vi parlerò delle madri che rappresentano il 2-3% del campione (97°-99° pc) che si discostano dalla norma in  senso superlativo: vi potrei parlare per diretta esperienza di donne che hanno sublimato la figura della madre ai livelli più alti, madri che hanno del tutto annientato se stesse per l’amore del figlio nelle maniere più eroiche. No, non vi parlerò neanche di queste, perché di talk show strappa lagrime sono piene le TV, e non voglio ricadere in questa trappola, anche se sarebbero storie vere di cui io sono stata diretta testimone, e non storie costruite per aumentare l’audience televisivo. No, io vi parlerò della massa prevalente delle madri cosiddette normali, cioè che ricadono intorno alla mediana, ma lo farò con realismo e crudezza.

Vi prego di non restare sconvolte dalla mia demistificazione della figura della madre oggi, poiché, per rassicurarvi, vi dirò che sicuramente le vostre figlie, le vostre nuore ricadono nei percentili più alti, essendo voi un campione omogeneo e selezionato per cultura e per censo, e quindi come tale un campione non valido per uno studio epidemiologico, proprio perchè selettivo e non random: quando si fanno degli studi epidemiologici il campione deve essere random, non selezionato, quindi rassicuratevi: non vedrete in queste figure di madre le vostre figlie. Partiamo dalla etimologia (Vocabolario della lingua italiana Treccani) della parola 'MADRE':  è  'la donna che ha concepito, che ha partorito, genitrice nella relazione con i figli stessi…'.

E ancora la parola 'MAMMA' con il doppio significato di madre (appellativo evocativo affettuoso) e di MAMMELLA diminutivo di mamma. Non vi è dubbio che la mammella, così intrinseca a mamma, è un organo ghiandolare proprio dei mammiferi che secerne il latte 'per il nutrimento della prole'. La sequenza è chiara: mamma > mammella > allattamento. Oggi essa è solo un organo erotico, da mostrare, da esibire con generosità, strizzata da corsetti elevatori. Per rivedere una bella mammella nella sua fisiologica funzione, bisogna andare nei Musei e nelle Chiese: per me la più bella è la Madonna Litta di Leonardo.

Ebbene partiamo da questo assunto incontrovertibile: le madri oggi non allattano più.

Devo dire che noi pediatri abbiamo avuto la nostra parte di colpa, essendo di moda negli anni ‘70 una certa permessività all’allattamento artificiale, sull’onda dei tanti successi tecnologici nella preparazione di latti vaccini formulati quasi perfetti, sull’onda del femminismo post-68 che rivendicava il  diritto della donna di disporre del proprio corpo come meglio credeva, contravvenendo anche alle stimmate biologiche della procreazione e dell’allattamento.

Studi approfonditi hanno evidenziato invece la irriproducibilità del latte umano, l’importanza di alcune sostanze altamente specifiche in esso contenute, l’importanza di esse non solo nelle difese immunitarie del neonato, ma anche nello sviluppo della materia cerebrale. Il latte di donna, specie specifico, rappresenta l’optimum per la nutrizione fino a sei mesi di vita. Esso, oltre a garantire un apporto nutrizionale ideale, offre altri vantaggi: rafforza il legame madre-figlio, attua una protezione antibatterica, antinfiammatoria e previene le allergie. Gli allattati al seno mostrano una ridotta suscettibilità alle infezioni, migliore sviluppo mentale e comportamentale, presentano minore incidenza di allergie e di malattie su base immunitaria ( malattia di Crohn, Diabeti di tipo 1…). Le funzioni immunitarie del latte sono molteplici: difatti la ghiandola mammaria va considerata come un vero e proprio organo immunitario che fornisce fattori antinfettivi, antinfiammatori e immunomodulanti. Ricordiamo i leucociti,      alcune proteine (IgA secretorie, lattoferrina, lisozima, mucina, fibronectina…), alcuni oligosaccaridi  molto specifici, alcuni acidi grassi. Questi oligosaccaridi di cui è molto ricco il colostro, sarebbero in grado di inibire l’adesione dei batteri alla superficie epiteliale dell’intestino e delle vie urinarie. Ancora, la madre produce anticorpi IgA specifici verso antigeni con i quali viene a contatto e li trasmette al neonato: così il contatto precoce e stretto pelle-pelle che si ha nell’allattamento al seno, migliora, non solo la relazione affettiva, ma anche la capacità di difesa del neonato contro le infezioni. Nel latte di donna vi sono ancora sostanze citoprotettive (prostaglandine), fattori di crescita degli epiteli, sostanze (citochine) con elevata attività antinfiammatoria, e ancora degli immunomodulatori  (prolattina, nucleotidi..) che influenzano in vario modo la maturazione del sistema immunitario del bambino. Esistono ancora nel latte di donna, fattori specifici in grado di promuovere lo sviluppo neuropsichico del neonato: gli acidi grassi insaturi a lunga catena; e ancora ormoni e fattori di crescita con ruolo ancora indefinito. La ghiandola mammaria è un sofisticato laboratorio che ha anche l’intelligenza di produrre un latte diverso per composizione a seconda dell’epoca del parto: se un bimbo nasce prematuro, la madre secerne un latte con caratteristiche appropriate per le esigenze del neonato: più proteine, più grassi, maggiore valore calorico, proprio perché il neonato quanto più è prematuro tanto più velocemente cresce e tanto più ha bisogno di apporti nutritivi. Infatti la velocità di crescita, enorme all’inizio della vita, dall’embrione al feto al neonato al bambino va via via rallentando: un essere microscopico raggiunge i 3 chili di peso dopo solo 9 mesi, il  neonato raddoppia la sua altezza in 4 anni….Per fortuna che essa rallenta, perché altrimenti avremmo a 8 anni bambini alti 2 metri e a 16 anni ragazzi alti 8 metri! E per sbalordirci ancora di più, esiste una analgesia da latte materno, legata a particolari grassi propri del latte di donna, per cui  l’assunzione di latte riduce nel lattante la risposta allo stress: tale effetto è annullato dalla preventiva assunzione di naloxone (sostanza antagonista degli oppioidi): l’analgesia si realizzerebbe, cioè, attraverso la mediazione di oppioidi endogeni, le naturali endorfine.  Premesso ciò, non ci dobbiamo meravigliare se gli allattati al seno hanno, come è stato statisticamente dimostrato, un Q.I. superiore agli allattati con formula. Dai dati di una ricerca dell’Università di Oxford su una popolazione di 10mila bambini dell’area di Bristol, recentemente pubblicati, è emerso che i bambini allattati con latte materno risultano possedere un QI più alto rispetto agli altri alimentati con il latte artificiale. Una spiegazione può essere rappresentata da una maggiore presenza di acidi grassi a catena lunga, che migliorano lo sviluppo del cervello.Tra le possibili implicazioni su questi dati sembrerebbe essere influente anche il rapporto madre-figlio nello sviluppo psico-comportamentale dello stesso, rapporto che è più intenso negli allattati al seno: l’allattamento al seno ha grande peso nell’indurre quel legame il 'bonding' tra madre e figlio, nell’indurre l’imprinting, che gli etologi conoscono bene, (basti pensare a Lorens), così importante nel comporre una perfetta DIADE madre- figlio.

Immagine riferita a: Un figlio: oggetto del desiderio... desiderio dell'oggettoEbbene, per quanto si attui il rooming in per favorire l’allattamento al seno, per quanto si facciano corsi preparatori preparto, in gran parte dei casi noi pediatri spesso non riusciamo a recuperare una soddisfacente percentuale di allattamento al seno. In alcuni ospedali al Nord vi sono equipe composte da psicologi, dietologi, pediatri per promuovere l’allattamento al seno, in alcune città vi sono dei punti, presso uffici, negozi dove la mamma può appartarsi per allattare, se si trova fuori casa. Insomma gli stimoli ci sono, ma i risultati sono scarsi.

Spesso vi sono reazioni al nostro invito ad allattare al seno, sconcertanti: alcune mamme, e quel che è peggio alcune mamme delle mamme, ci guardano come se proponessimo qualcosa di sconcio, e questo avviene quanto più è basso il livello socio-culturale: quasi  queste donne cercassero un ancestrale riscatto da secoli di servile baliatico, perché ricordiamo che per le alte dame del ‘700-‘800 era sconveniente allattare al seno ed era compito delle balie serve allattare i loro figli. Oggi invece la percentuale di allattamento al seno è un marker culturale: vi è una chiara forbice tra livello di scolarità e allattamento al seno: più colta è la donna più è propensa ad allattare.

 Parliamo poi dell’evento parto, altra precipua funzione biologica della donna. Nelle sacre scritture sta scritto ' donna partorirai con dolore':  è un connubio indissolubile parto-dolore, tanto è vero che travaglio = tormento fisico o spirituale, da travagliare che deriva dal latino 'tripaliare = martorizzare' : tripalium è infatti un antico strumento di tortura fatto di tre pali  Anche le culture più antiche hanno cercato di alleviare il dolore del parto; nel 1400 una donna di cui mi sfugge il nome, fu processata nella civile Firenze e condannata come strega, perché introdusse un lenitivo del dolore del parto con infusi vari.

 Partiamo dalla definizione della parola 'PARTO': è 'l’espulsione o estrazione del feto e degli annessi fetali attraverso gli organi genitali materni'. Stando al significato in senso stretto, oggi la donna, non solo non allatta, ma non partorisce, affidandosi alla tecnica, per potere estrarre il feto: la tecnica chirurgica di estrazione del feto dall’utero materno, (parto cesareo), è impropriamente detto parto. Oggi la percentuale di tagli cesarei è abnormemente alta: in alcune regioni del Sud supera il 50%, in alcune strutture sanitarie dove si effettuano i parti, sfiora l’80%. Ora, se una sparuta minoranza di parti cesarei è una manovra salva vita (l’OMS considera una percentuale accettabile del 15%) gli altri, 'perché si effettuano?'vi chiederete. Ebbene, una quota di cesarei fanno parte di quella cosiddetta medicina difensiva attuata dai ginecologi (troppe denunce anche insussistenti, per cui ci si premunisce con il cesareo), ma una buona parte sono frutto di una complice decisione della donna e dell’ostetrico: l’ostetrico che vuole mettersi al riparo dai giudici, al riparo dai tempi lunghi ed imprevedibili di un parto naturale, e la madre che, mal informata, crede di trovare più sicurezza per sé e per il proprio figlio, con l’allettamento poi della mancanza del travaglio. Dico a ragion veduta mal informata, perché poche sanno che il neonato  nato per cesareo ha una maggiore morbilità e mortalità.

Vi è poi una crescente minoranza di donne che chiedono prioristicamente di essere sottoposte al taglio cesareo al solo scopo di non affrontare il travaglio. E questo evidenzia infantilismo, immaturità, cultura edonistica, impreparazione al dolore: l’uomo non ha mai amato il dolore, ma la nostra epoca mira a cancellare il dolore, anche quello psichico (pensiamo al grande consumo di analgesici e di tranquillanti), ricorrendo ad  una 'anestesia emozionale' che annulla la nostra capacità di sentire il dolore, ma anche di provare emozioni. La società ha perso la capacità di soffrire, e le giovani mamme sono le prime vittime di questa cultura.

Oggi, dati statistici alla mano, la donna non vuole partorire, non vuole allattare, non vuole far figli. Sì, non vuole fare figli: infatti l’indice di natalità è crollato, non tanto perché è crollata la fecondità (basti pensare che per 2 feti che vedono la luce, 1 viene abortito), è crollato perché il concetto di base delle nuove ideologie femministe e radicali, è la programmazione, la pianificazione; perché il progresso scientifico e tecnico ci consente di agire come facitori della vita e  programmatori flessibili, sostituendoci a madre natura o a Dio se volete: cosiddetta genitorialità pianificata. Sotto l’etichetta di maternità e paternità responsabile si nasconde un subdolo antinatalismo mascherato da libertà, si nasconde  la nostra ricerca edonistica di  un figlio come oggetto di consumo, un figlio solo, che risponda al meglio alle nostre aspettative consumistiche, un figlio cult, un figlio su misura con caratteristiche somatiche e genetiche scelte in un catalogo nei Centri di inseminazione artificiale, un figlio orpello da esibire….Potrei raccontarvi di poveri neonati costretti in vestiti inadeguati alle temperature climatiche del momento, ma tant’è: sono vestiti griffati, sono vestiti importanti…bisogna farli indossare…bisogna mostrarli! E quante copertine eleganti sono imposte non dall’esigenza climatica, ma dalla scienza dell’apparire. E ancora per restare in tema, chissà a quanti di voi è stato dato di vedere bimbi di 1-2 anni paludati per le feste di Halloween o di Carnevale: vi siete mai chiesti quanto questi piccolissimi bambini soffrano anzicchè godere del gioco gioioso del travestimento? Anche questo è espressione di edonismo e di cultura dell’apparire. Figlio   UNO che non ci distolga molto dalle nostre abituali occupazioni di lavoro , e di svago soprattutto, UNO che non intralci i nostri programmi vacanzieri, UNO che non intacchi le nostre economie fino alla soglia del sacrificio di deamicisiana memoria, e, se vogliamo essere buoni, UNO che abbia di più, in termini di beni di conforto, ma impoverito, e non saprà quanto, della vivace allegria di una fratria numerosa, impoverito dell’altalenante stimolante rapporto con i fratelli, deprivato del conforto di una dolce mano fraterna, nelle ineluttabili amarezze della vita. Possiamo dire che oggi il figlio è più nutrito, è più bello (basti pensare alle diagnosi prenatale che consente di eliminare i feti malformati), è più sano (grazie al notevole progresso scientifico), ma possiamo dire che è più amato? possiamo dire che è più felice?

 La mancanza di fratrie numerose, la mancanza delle allegre gazzarre  nei cortili e nei vicoli, porta alla ricerca compulsiva di impegni ludici e di studio per compensare l’incolmabile solitudine. Il figlio è diventato così una cosa, una protettissima cosa. Come la roba di Mastro Don Gesualdo. Si dice,  si predica, che la riduzione delle nascite è dovuta alle aumentate difficoltà della vita, ma la storia ci insegna che non è vero, è vero il contrario: c’è  sempre stato un rapporto inversamente proporzionale tra numero di nascite e ricchezza. I ricchi hanno sempre avuto pochi figli: le famiglie numerose erano un emblema delle zone e delle fasce povere della società italiana. Oggi, rispetto alla capacità di acquisto di 50 anni fa, sono tutti ricchi, ma nessuno fa bambini! Oggi il bambino è uno status symbol che si fa o si compra, dopo la casa, dopo la macchina….cioè il figlio è vissuto come un bene di consumo che si affianca alle altre necessità della famiglia tipica postindustriale, e, come la roba, si protegge, si chiude, si soffoca impedendogli di crescere attraverso le esperienze anche dolorose.

Mi fa sorridere la campagna per il recupero della naturalezza del parto, che dopo tutto è solo un 'momento' della vita, con la promozione, non so quanto disinteressata, del parto in casa, quando abbiamo perso la naturalezza dell’essere madre, dell’essere genitore….E’ questa la dimensione che dobbiamo riconquistare!

Riandando alla denatalità costantemente crescente, dobbiamo dire che da quando i vari canali di informazione, hanno reso di pubblico dominio il dato emergente dei bollettini ISTAT di questi ultimi anni sulla natalità, da cui risulta che l’Italia ha crescita zero (i morti nell’anno superano il numero dei nati vivi), un grido di allarme sembra essersi levato da più parti. Non c’è rotocalco o foglio parrocchiale che non abbia dato ampio margine informativo alla notizia. E questo non deve destare nessuna meraviglia: in una Italia mammista, in cui il vessillo della famiglia, anche se stazzonato, viene ancora portato avanti, non poteva non essere così. Che i dati epidemiologici siano inquietanti, non bisogna essere sociologi o medici per comprenderlo: anche l’uomo della strada viene coinvolto, sotto una spinta emotiva, da questi dati emergenti. Lasciamo a sociologi e soprattutto economisti, quali disastrose conseguenze può avere questo sulla struttura stessa dello Stato: non ci vuol molto per comprendere che noi siamo già un buon pabulum per  le giovani forze lavorative dei  paesi in forte espansione demografica e che fra alcuni anni saremo colonizzati da essi; forza lavorativa che saremo costretti ad importare, mentre dall’altra, lo Stato crollerà sotto l’onere sociale delle pensioni e dell’assistenza dovuta alla pletora di anziani e vecchi: troppo gravoso anche per gli stati più ricchi. Come conseguenza crisi dell’economia, crisi dello Stato.

Ma credetemi, non è solo questa la mia paura; è anche di carattere esistenziale e sentimentale: i nostri vicoli sono muti di grida infantili, le nostre piazze sono vuotate delle allegre gazzarre dei nostri ragazzi, domani i nostri asili saranno deserte palestre per pochi sparuti gioiosi occhi di bimbi! E di contro un popolo di anziani, di vecchi: perché non è solo crollata la natalità, ma l’attesa di vita, o, se vogliamo essere più prosaici, la MEDIANA DI MORTE si è molto allungata, rivoluzionando la struttura della popolazione. Oggi, ad ogni bimbo sotto l’anno di età, corrispondono 15 persone sopra i 65 anni, per cui l’assioma che ad ogni bimbo toccano quattro nonni, è stato completamente sovvertito; e il panorama delle nostre piazze e delle nostre vie, è veramente mutato. Anziani. vecchi, un popolo, che scrutano nel buio con le loro spente orbite, quelle rare immagini di gioventù, con avida invidia, con rimpianto, o forse con senso di colpa…troppo tardi…la nostra popolazione ha ormai la sua vecchia faccia grinzosa! Siamo, dopo il Giappone, il paese più vecchio!

Di recente una grossa azienda che lavora nel campo dei prodotti per l’infanzia mi ha omaggiato di uno splendido poster che raffigura delle cicogne, per la cui salvaguardia il WWF ha promosso una campagna, ed un’idea mi è balzata subito: dobbiamo forse già istituire un WWF per gli umani? Ebbene sì, perché il neonato è il più prezioso degli umani, perché racchiude in sé tutte le potenzialità dell’essere uomo.

Per finire, riflettendo sulla natura della DONNA, io penso che all’origine la donna sia stata creata per essere privilegiata: ci è stato dato il potere di dare corpo alla vita con la procreazione, con un ruolo ben più complesso e significativo di quello accordato all’uomo, dandoci anche un potenziale di vitalità biologica superiore a quella dell’uomo, anche se non con i vasti margini esistenti fra il fuco e l’ape regina, ma con una diversità che si manifesta con una programmazione di aspettativa di vita maggiore di quasi un decennio rispetto all’uomo. Un dato per tutti: nella popolazione mondiale sappiamo che le donne prevalgono con buon margine sugli uomini, ma quello che non  tutti sanno, è che nascono più maschi che femmine, ma già ad un anno di vita le femmine prevalgono; nel campo medico, in neonatolgia in particolare, tra i fattori di rischio che si valutano per definire la prognosi quoad vitam   di un neonato con un evento patologico, vi è il sesso, ed il sesso maschile è un fattore di rischio.

Creata privilegiata, nel tempo la donna ha perso o barattato volontariamente i suoi naturali privilegi: difatti nelle comunità primordiali vi era eguaglianza fra uomini e donne. La donna nel tempo ha venduto la sua dotazione di potere barattandola con piccoli vantaggi, ha subito con passività indolente, perdendo nel tempo il suo ruolo naturale di forza trainante.

Per concludere, nell’era post-industriale le madri che prevalgono sono quelle che io definirei, senza cattiveria, INAPPROPRIATE. Ma molta della responsabilità è della società, del nostro modo edonistico di concepire la vita: non dobbiamo scandalizzarci più di tanto di alcuni atteggiamenti materni che portano a definire inappropriata una madre, se la nostra società oggi consente ed accetta che vi siano madri surrogato, uteri in affitto o che la paternità si limiti ad uno spruzzo di sperma.

Eppure la donna per la sua struttura biologica è il serbatoio non solo della vita attraverso la procreazione, ma anche delle emozioni, del sentimento, intesi come capacità di entrare in empatia con gli altri, come capacità di dare una veste intessuta di sensibilità anche alle più ardue problematiche del potere economico politico.

Se ammettiamo, in accordo con gli antropologi, che il passaggio dagli ominidi all’homo, tanto tempo fa, è legato alla prima lagrima, quando con lo sviluppo delle dimensioni del cervello e delle sinapsi biochimiche, la prima lagrima spuntò sul viso dell’ominide, e dalla sua capacità di emozionarsi nacque l’UOMO, se ammettiamo che l’inizio dell’uomo, dell’anima tanto cara a tutte le religioni e a tutte le filosofie, fu proprio una lagrima come capacità di emozionarsi….ebbene mi piace immaginare che quel primo essere che segnò il passaggio dall’ominide all’homo, fosse una madre che espresse con una lagrima l’intenso dolore per la perdita di un figlio. Nacque allora l’Humanitas, nacque con una lagrima, una lagrima che segnò la diversificazione dell’homo da tutti gli altri primati.

La Levi Montalcini ebbe a dire in una conferenza, che la Donna ha la FORZA, l’Uomo il POTERE! Ma per riappropriarsi delle proprie prerogative naturali, della sua FORZA, la donna deve fare un cammino a ritroso, riscoprendo la pienezza delle sue funzioni biologiche, ricordandosi che tu donna puoi essere la donna dei miracoli: la potenzialità di fare un figlio racchiude in sé il grande progetto di sconfiggere i limiti fisici della vita e di proiettare nel tempo senza tempo la propria identità biologica e sociale: è la vittoria della vita sulla morte, è l’accesso all’immortalità, è il prolungamento di sé verso l’altro, il FIGLIO.

Voglio concludere con un messaggio di ottimismo: sono certa che alla fine ogni madre troverà la giusta identità, se saprà percorrere le vie naturali e semplici del vero amore di madre, così magistralmente espresso in alcuni versi di Garcia Lorca:

'Da dove vieni,amore, bimbo mio?

  Dalle creste del nudo gelo.

  Di che cosa hai bisogno, amore, bimbo mio?

  Del caldo asilo della tua veste'

                                 Iris Bonanno Conti       

Trapani 22 Novembre 2011     

 
 

Autore Prof-Greco

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Inserito il 24 Novembre 2011 nella categoria Relazioni svolte