La Pietà Pepoli Un capolavoro giottesco nel Museo Pepoli di Trapani Nuova attribuzione
Relatore: Dott. Giuseppe Abbita
La Pietà Pepoli: un capolavoro giottesco nel Museo Pepoli di Trapani - Nuova attribuzione
'gli studi sono, come ogni cosa di questo mondo, un inconcluso work in progress'
(I pittori alla corte angioina di Napoli 1266-1414)
Federico Bologna
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Da non addetto ai lavori è con umiltà e con timore che vi esterno queste mie considerazioni, dettate soprattutto da un innato senso critico e dalla mia abitudine di vedere e rivedere di venturiana memoria, e di volere verificare, per quanto possibile, le fonti delle notizie.
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Quello che sto per trattare è un argomento a me molto caro in quanto riguarda un’opera del Museo Pepoli di Trapani che ho sempre amato, forse un po’ più delle altre, e che ha destato da sempre la mia curiosità.
Ritengo che la Pietà Pepoli non sia abbastanza conosciuta e apprezzata ed uno dei motivi, a mio parere, è l’attribuzione, da più di settanta anni, e ormai consolidata, a Roberto d’Oderisio. Tale attribuzione, di tutto rispetto, ha finito però per penalizzare l’opera, confinandola in un contesto sicuramente di alto livello, ma non abbastanza consono al prestigio e alla fama che il dipinto meriterebbe.
Mi sforzerò quindi di rivisitare l’opera pittorica del d’Oderisio, mettendola a confronto con la Pietà Pepoli e alla fine tenterò di trarre le mie conclusioni.
Ogni storia, come tutte le storie, ha un suo inizio. Spesso chi la racconta si trova però a dovere scegliere come iniziare il suo racconto. Raccontare tutto dal principio, oppure iniziare il suo racconto a partire da un episodio, una data, un event,o che egli reputa importante, direi fondamentale, per il prosieguo della storia e per una migliore comprensione della stessa.
Ho deciso pertanto di iniziare a raccontarvela in una maniera che potrà sembrare inusuale.
La storia potrebbe essere cominciata nella ridente cittadina di Scala, sulla costiera Amalfitana.
Nel Trecento Amalfitano, in quelle magnifiche terre sospese tra cielo e mare, le nobiltà locali cercavano di ritagliarsi la propria fetta di potere. Questa lotta per il potere, per primeggiare e conquistare una supremazia locale, dava vita a fazioni contrapposte. Così accadde anche per i Rufolo di Ravello e i Coppola di Scala.
In questo scenario di contrasti si meditava una tregua. Fu così accordato, tra le due casate, un matrimonio tra i due giovani nobili: Antonio Coppola e Marinella Rufolo.
Un matrimonio per suggellare un patto di pace che potesse superare ogni confine, politico e parentale.
Da quell’affare politico-diplomatico, da quell’accordo nato per sancire una tregua, nacque un vero amore. Il caso, o semplicemente un disegno del destino, scrisse nelle pagine del tempo, una storia d’Amore eterna… quella di Antonio e Marinella.
Nel 1332 Antonio Coppola fece erigere una magnifica opera sepolcrale per la sua
famiglia. Il primo ad occupare prematuramente quel mausoleosarebbe stato proprio Antonio, vittima di un agguato insieme al figlio Aniello, assassinati da sicari lungo il tragitto di ritorno verso Scala.
Il maestoso monumento funebre è presente ancora oggi, nella cripta del Duomo di San Lorenzo a Scala.
La parte inferiore del monumento sepolcrale è dedicata alla 'DormitioVirginis' con i committentiAntonio e Marinella inginocchiati ai piedi della Vergine.
La parte superiore del monumento è invece dedicata all’Incoronazione della Madonna.
A distanza di quasi cinque secoli, a questa storia se ne intreccia un’altra.
Ci troviamo sempre sulla costiera amalfitana e il luogo incantevole di cui vi sto parlando èVilla Cimbrone.
Di questo posto, alla fine dell’800, si innamorò perdutamente lord Grimthorpe, al secolo Ernest William Beckett, eccentrico gentiluomo inglese, che si convinse, non a torto, di avere trovato qui il Paradiso in terra. Nel 1904 acquistò quindi un antico rudere, lo restaurò e creò all’intorno un incantevole giardino.
Amante dell’arte e delle cose belle, arredò la sua villa con una ricca e preziosa raccolta di sculture, dipinti ed altri oggetti d’arte. Lord Grimthorpe morì nel 1917 e i suoi eredi cedettero la proprietà negli anni 60 ad una famiglia di albergatori che la trasformò in residenza di lusso. La collezione di antichità venne dispersa.
Tra le altre cose fu venduto, si pensa a discendenti dell’antica famiglia Coppola di Scala, un pentittico del trecento, rimasto sconosciuto agli studiosi fino agli anni 60 del secolo scorso.
Il pentittico, su fondo oro, rappresenta un recupero di eccezionale importanza, data la rarità di imbatterci oggi in un polittico trecentesco inedito, intero, ben conservato e, per giunta, di dimensioni monumentali.
L’acquisto da parte della famiglia Coppola aveva un significato soprattutto affettivo.
Del polittico, gelosamente custodito, non troverete, sul Web, alcuna documentazione fotografica.
Sono riuscito comunque a procurarmi due riproduzioni: una in bianco e nero, e una a colori dello scomparto centrale.
Una scritta in caratteri gotici- hec cona fecit fieriAntonius Coppola-ci fa conoscere il nome del committente del dipinto: Antonio Coppola, lo stesso che aveva fatto erigere il monumento sepolcrale nel duomo di Scala.
Il polittico, che rappresenta anch’esso l’Incoronazione e la DormitioVirginis, proprio come il monumento sepolcrale, originariamente si trovava, con tutta probabilità, nella cripta della chiesa di S. Lorenzo a Scala, accanto alla tomba trecentesca appartenente all’antica famiglia Coppola.
Ferdinando Bologna, insigne storico dell’arte del secolo scorso, che scoprì e studiò il dipinto, lo attribuì al pittore napoletano Roberto d’Oderisio, quale opera giovanile, eseguita tra le primissime sue opere, nell’anno 1332.
Rappresenterebbe quindi il debutto, l’entrata sulla scena artistica, di questo pittore napoletano del 300.
Il polittico Coppola è senz’altro un’opera di buona fattura, che riflette, specie nello scomparto centrale, il pensiero giottesco.
Il polittico, che ripropone l’Incoronazione e la DormitioVirginis del monumento sepolcrale, ricorda,secondo Ferdinando Bologna, specie per l’impianto e il tipo di ornato delle vesti, la maniera giovanile di Maso di Banco nell’affresco dell’Incoronazione del Museo di Santa Croce.
Ma voi mi chiederete: perché vi sto raccontando questa storia? Perchè è legata, in un certo senso, con la nostra Pietà Pepoli.
E’sempre allo storico Federico Bologna, infatti, che dobbiamo l’attribuzione in via definitiva della Pietà del Museo Pepoli a Roberto d’Oderisio, quale opera della tarda maturità del pittore, databile attorno al 1380, e sintonizzata su una linea artistica neomasiana.
Roberto d’ Oderisio sarebbe stato pertanto autore del polittico Coppola nel 1332 e della pietà Pepoli nel 1380.
Ma su Roberto d’Oderisio torneremo più avanti.
Se avete deciso di recarvi al Museo Pepoli di Trapani, vi consiglio di soffermarvi nella prima sala del piano superiore.
Superata l’ampia e maestosa scalinata, il Museo Pepoli vi accoglierà con le sue opere più belle ed interessanti:il Polittico del Maestro del Polittico di Trapanie la Pietà attribuita a Roberto d’Oderisio.
Si tratta di una tavola di grandi dimensioni, trasferita su tela, a forma di lunetta cuspidata, posta sulla parete di fronte al Polittico.
Un’etichetta, posta a fianco al dipinto, ce ne fornisce la data di esecuzione, 1380, e il nome dell’autore, Roberto d’Oderisio.
La tavola raffigura la Madonna, 'in maestà', che tiene sulle gambe il Cristo morto.
Ai lati due corti di angeli e in basso, a sinistra, un sarcofago di marmo rosa.
Il dipinto presenta diverse lacune, la principale delle quali si diparte dal lato destro del collo della Madonna e si prolunga verticalmente sul gomito sinistro del Cristo, sul polso sinistro della Madonna e sulla coscia destra del Cristo.
Il volto della Vergine, con appena accennata una nuance rosea delle guance, è incorniciato da un prezioso manto bordato da una decorazione in oro.
Tale decorazione decorre lungo tutto il manto seguendone l’andamento sinuoso delle pieghe e degli svolazzi.
La Vergine cinge con la mano sinistra la vita del Cristo e con la mano destra ne sorregge il capo. I quattro angeli superstiti, dei dieci originari, pervenutici integri, tre a destrae uno a sinistra, presentano un piccolo diadema sulla fronte e un nimbo aureo finemente decorato.
Il corpo del Cristo, ricoperto da un leggerissimo perizoma dorato, presenta una ferita al costato dx dalla quale fuoriesce un fiotto di sangue.Il braccio destro pende inerte,mentre il braccio sinistro si adagia mollemente sulla coscia sinistra.I piedi mostrano le stimmate dei chiodi.Un sarcofago di marmo rosa, in attesa di ricevere il corpo del Cristo, è posto in basso a sinistra.
Abbiamo detto che la Pietà del Museo Pepoli è attribuita al pittore Roberto d’Oderisio.
Ma chi fu Roberto d’Oderisio?
La personalità artistica di Roberto d’Oderisio è stata ricostruita negli anni 60 del secolo scorso soprattutto per merito di Ferdinando Bologna.
La ricostruzione della figura e del catalogo dell’artista compiuta da Bologna è tuttora in ampia parte accettata dalla critica.
L’artista vieneunanimemente riconosciuto come uno dei massimi esponenti della pittura napoletana del Trecento.
La sua pittura fu influenzata dalla scuola giottesca e senese (vedi Simone Martini) e contribuì alla diffusione del linguaggio toscano nell’Italia meridionale.
Roberto d’Oderisio sarebbe nato nel 1335, secondo altri nel 1320. Ma la datazione al 1332 del Politico Coppola, fatta dal Bologna, ne sposterebbe indietro l’anno di nascita almeno ai primi anni del 300.
Sono due, forse tre, i documenti pervenutici su questo pittore.
In primis la firma su una tavola della chiesa di S. Francesco di Eboli ora al Museo diocesano di Salerno-HOC OPUS PINSIT ROBERTUS DE ODORISIO DE NEAPOLI- che rimane pertanto l’unica opera a lui sicuramente attribuita.
E poi il documento del 1° febbraio 1382 con il quale re Carlo III di Durazzo lo nomina suo familiare ospite nella reggia e proto pittore di corte con lo stipendio di trenta once annue.
L’attività artistica di Roberto d’Oderisio si sarebbe pertanto distesa, secondo il Bologna, nell’arco di almeno cinquanta anni, dal 1332 al 1382.
Osserviamo ora da vicino la Crocifissione di Eboli, opera autografa di Roberto d’Oderisio. Alcuni angeli in volo raccolgono con delle coppe il sangue che sgorga dalle ferite del Cristo, il cui corpo è avvolto da un leggero perizoma con decorazioni in oro. Ai piedi della croce la Madonna è raffigurata mentre perde i sensi, mentre reclina il capo sulla spalla destra e mentre viene sorretta dalle pie donne. A destra S. Giovanni ha le mani serrate in una espressione di dolore, mentre al centro la Maddalena si aggrappa alla croce. Attorno si vedono soldati in armied un servo che tiene con unamano una pertica all’estremità della quale sta una spugna imbevuta di aceto e con l’altra una cassetta contenente i chiodi per le crocifissioni. Il serpente tentatore si attorciglia attorno alla sommità della croce ed è sovrastato dalla presenza simbolica di un pellicano che nutre i suoi piccoli con il proprio sangue.
La Crocifissione non è datata, ma il Bologna la annovera tra le opere giovanili del pittore, eseguita qualche anno dopo il polittico Coppola, quindi attorno al 1335.
Il dipinto mostra una innegabile influenza giottesca. Tutto sommato si intravvede una discreta mano, di un artifex, di un buon artigiano, orgoglioso di firmare la sua opera.
Ma non possono sfuggire alcuni particolari.La rappresentazione della Madonna svenuta sorretta dalle pie donne mostra una incertezza, una difficoltà compositiva, specie in quell’adagiarsi del capo sulla spalla.Incertezza, per non dire grossolanità compositiva, ancora più evidente nelle mani serrate del S. Giovanni.Le figure appaiono inoltre, in mancanza di un vero studio prospettico, quasi appiattite sul fondo.
E’evidente infine la predilezione, da parte del d’Oderisio, per le tinte forti, con le tonalità, talora accese, del rosso: di colore rosso sono due angeli, rossa è l’etichetta che sovrasta la croce, rosso è lo stendardo sulla destra, di rosso è vestita la Maddalena, di rosso un santo sulla destra e di colore rosso è il corpetto della Vergine che viene sollevata dalle pie donne.
L’Enciclopedia Italiana, nel 1934, alla voce Roberto d’Oderisio riportava:'Ai tempi di CarloIII(1381-86)era pittore di corte Roberto d’Oderisio, di cui l’unica opera superstite, una pala d’altare in Eboli, attesta la povertà artistica!'
Pur non trovandomi assolutamente d’accordo con il giudizio davvero impietoso dell’Enciclopedia Italiana, rimane comunque il fatto che la Crocifissione di Eboli è un’opera tutto sommato di qualità poco più che mediocre, sicuramente inferiore a quella del Polittico Coppola.
Ald’Oderisio vengono inoltre attribuite diverse opere su tavola ed alcuni cicli di affreschi. Tra queste un’altra Crocifissione esposta nel Museo di Capodimonte,e una Madonna dell’Umiltà, esposta anch’essa nel Museo di Capodimonte, dipinta su commissione dei Sanseverino e dei d’Aquino, in cui il pittore riporta i blasoni delle casate nella parte inferiore della lunetta.
Sempre al d’Oderisio vengono poi attribuite tre tavole con i simboli della Passione, tra le quali quella del Fogg Art Museum (Cambridge, Massachusetts), e almeno tre tavole con la Pietà: quella della chiesa di S. Maria della Pietà a Napoli, quella del Museo Pepoli di Trapani, e una Pietà, copia della Pietà Pepoli, battuta da Sotheby’s a New York nel 2016 ed oggi in collezione privata americana.
Ancora al d’Oderisio viene non concordemente attribuito il dittico con il Cristo tra i dolenti, diviso tra il Metropolitan Museum of art di New York e la National Gallery di Londra.
Recente è stata scoperta di una pergamena del 'Codex DiplomaticusCajetanus', datata 1365, relativa ad un contratto che un certo «magister Robertus de Neapoli» stipulò con i procuratori della chiesa di S. Michele Arcangelo a Itri per affrescare la tribuna della chiesa, commissione caldeggiata dalla stessa regina di Napoli Giovanna d’Angiò, nominata nel documento.
Il Magistro Roberto da Napoli avrebbe quindi operato nelle chiese dei feudi della Contea di Fondi, al servizio dei Caetani di Anagni, ed avrebbe eseguito degli affreschi nella chiesa di S. Michele Arcangelo e forse anche nella chiesa dell’Annunziata della vicina Minturno.
Ma l’opera di più ampio respiro, attribuita dal Bologna al d’Oderisio, è senza dubbio la decorazione della Chiesa di Maria Incoronata. Gli affreschi sarebbero stati eseguiti dal d’Oderisio in due tempi: un ciclo di affreschi con le Storie bibliche, negli anni 1340-43,
e un ciclo di affreschi con i Sacramenti, negli anni 1352-54, successivamente all’incoronazione della regina Giovanna I d’Angiò.
Anche qui irrompe prepotentemente il nome di Maso di Banco. L’ascendenza masiana di tali affreschi ha fatto ipotizzare infatti al Bologna un soggiorno di perfezionamento del d’Oderisio a Firenze, negli anni in cui Maso di Banco era intento ad affrescare le Storie di S. Silvestro in Santa Croce.
Di recente la studiosa Paola Vitolo ha revisionato l’attività del d’Oderisio, spostandone in avanti di circa un ventennio la carriera a partire dalla seconda metà del 300, e ha datato gli affreschi dell’Incoronata attorno al 1380.
Di fronte alla nuova cronologia che Vitolo propone, non senza ottime ragioni, e sulla base di una documentazione di ricchezza esemplare, ci rendiamo conto che la percezione che finora ci siamo fatta del pittore, dovrà essere completamente rivalutata.
Il periodo di attività del pittore è stato infatti variamente disteso su un arco cronologico molto ampio (tra gli anni Trenta e gli anni Ottanta del Trecento).
Roberto d’Oderisio, rappresentando l’unica personalità documentata della produzione pittorica napoletana del suo tempo ha finito così per diventare dominante all’interno di un contesto dove gravitava un numero significativo di presenze, anche di notevole spessore artistico, che rimangono tuttavia anonime.
La forza di attrazione del nome ha portato infatti ad assegnare al pittore diverse opere che la critica successiva ha ricondotto a un più generico contesto di ‘scuola’ o di ‘ambito culturale’.
Essendo le coordinate documentarie così lacunose, la figura di Roberto d’Oderisio è pertanto recuperabile solo attraverso le ricostruzioni critiche. Tuttavia le diverse letture che sono state fatte delle opere a lui attribuite hanno comportato un lungo periodo di incertezze cronologiche e stilistiche intorno alla sua figura, incertezze cronologiche e stilistiche che sono lungi dall’essere risolte.
Federico Bologna, insigne storico dell’arte, ma anche uomo di profonda cultura, a conclusione della sua monumentale opera -I pittori alla corte angioina di Napoli 1266-1414-scriveva: 'gli studi sono, come ogni cosa di questo mondo, un inconcluso work in progress'
Affermazione questa, che ritengo profondamente vera, soprattutto per quanto riguarda gli studi di storia dell’arte.
Ma veniamo al nocciolo della questione.
Scopo di queste mie note non è quello di argomentare sulla disomogeneità stilistica delle opere al d’Oderisio attribuite, disomogeneità peraltro fin troppo evidente, né quello di dimostrare le incompatibilità cronologiche di tali opere, né, tantomeno, quello di farvi conoscere la mia opinione in merito al pittore d’Oderisio e alle opere a lui attribuite.
Ciò che mi preme, e scopo principale di queste mie note, è cercare di dimostrare che la Pietà Pepoli non può essere stata dipinta da Roberto d’Oderisio.
Uniche opere del d’Oderisio da mettere a confronto con la Pietà Pepoli sono, a mio parere, la Crocifissione di Eboli in quanto unica opera da lui firmata e quindi attribuibile con certezza, e la Pietà in collezione privata, copia fedele della Pietà Pepoli.
Osservando la Crocifissione di Eboli, un particolare che subito salta agli occhi è la predilezione, da parte del d’Oderisio, per le tinte forti con le tonalità del rosso.
L’armonia cromatica accordata su tonalità più tenui e sfumate e i delicati colori pastello degli angeli della Pietà Pepoli sono invece ben lontani dalle preferenze cromatiche del d’Oderisio.
Le figure della Crocifissione appaiono poi come appiattite sul fondo mentre nella Pietà Pepoli l’espediente del sarcofago disposto verticalmente sulle coordinate della tavola contribuisce a creare un effetto prospettico.
Ancora, ad una certa difficoltà compositiva nella Crocifissione di Eboli, che rasenta, oserei dire, la goffaggine, nella rappresentazione di alcuni personaggi, si contrappone, nella Pietà Pepoli, una compostezza formale, che è una delle sue caratteristiche peculiariNella Pietà Pepoli, ciò che colpisce è la solenne semplicità e nello stesso tempo l’attenzione per i particolari.
Gli angeli sono tutti diversi: per quanto riguarda il colore, per quanto riguarda la decorazione del nimbo, e per quanto riguarda l’atteggiamento: in un quadro di generale stupore e profonda costernazioneun angelo ha le mani giunte, un altro si porta una mano sulla guancia, un altro ancora si afferra il viso con entrambe le manied infine un altro angelo si allarga la veste con le mani.
Si intuisce che ci troviamo davanti ad un capo d’opera, davanti alla mano di un Maestro. La drammaticità della scena e il pathos che le figure sprigionano ha pochi accostamenti nella storia dell’arte:la 'mater dolens' nel Compianto sul Cristo morto nella Cappella degli Scrovegni di Giottoe le figure del Cristo e dell’Angelo nella Pietà di Antonello da Messina al Prado.
La Pietà in collezione privata riprende lo stesso soggetto della Pietà di Trapani. La tavola ha forma cuspidata; i soggetti, la Vergine e il Cristo, sono ritratti nel medesimo atteggiamento della Pietà Pepoli. La composizione differisce però dalla Pietà Pepoli per l’assenza della corte di angeli; il sarcofago poi è posizionato a destra e, dietro le figure della Vergine e del Cristo, è presente una croce. La Vergine è ricoperta dal solito manto decorato in oro ma indossa una veste di colore rosso,con una quasi impercettibile scollatura.
Quando, nel 1348, Maso di Banco moriva a Firenze per peste nera, Roberto d’Oderisio era poco più di un giovane adolescente.
E quando, attorno agli anni 30 del XIV secolo, Giotto fu chiamato a Napoli, da Roberto d’ Angiò, assieme all’allievo a lui più vicino, Maso di Banco, per affrescare la Cappella Palatina del Castelnuovo, Roberto d’Oderisio probabilmente non era ancora nato.
Roberto d’Oderisio pertanto non poté avere una frequentazione diretta di Giotto e dei suoi allievi, ma conobbe Giotto e Maso di Banco solo in maniera indiretta, attraverso le opere da questi ultimi realizzati nella città di Napoli.
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Ma se non fu Roberto d’Oderisio a dipingere la pietà Pepoli, chi fu l’autore di questo dipinto?
Se proprio dobbiamo rimanere nell’ambito napoletano e dare un nome a questo pittore, andiamo un pò a vedere, sulla base degli elementi stilistici e storici,di quale pittore potrebbe trattarsi.
Partendo dal presupposto che il dipinto fu eseguito a Napoli, cerchiamo di tracciare un identikit dell’autore.
Deve essere stato un Maestro, un pittore di eccelse qualità. Deve avere soggiornato e lavorato a Napoli. Deve avere avuto una certa familiarità con Giotto. La sua non può essere stata una conoscenza mediata o sporadica; non ha imparato studiando le grandi opere del sommo pittore, ma lo ha frequentato, e con quale profitto! Questo ipotetico pittore deve avere lavorato a stretto contatto di gomito con Giotto, deve avere condiviso con Giotto i progetti, il lavoro, il pane e il sonno.
Dal punto di vista stilistico deve essere un pittore capace di dare alle figure una tangibile corposità conferendo loro una solenne monumentalità. Deve essere un pittore dalla narrazione semplice e pacata, che, nella rappresentazione del dolore, non va mai sopra le righe (vedi a confronto la rappresentazione vociante della Pietà di Eboli). Un pittore che sperimenta intuitive soluzioni prospettiche (vedi l’orientamento del sarcofago). Un pittore capace di estrema sintesi, ma anche di dedicarsi minuziosamente al dettaglio:vedi le decorazioni dei nimbi degli angeli,e la barba del Cristo modellata in maniera quasi lenticolare,cesellata direi pelo per pelo, in punta di pennello.I nostri sospetti convergono pertanto, per una serie di motivi, su Maso di Banco.
Pittore, Maso di Banco, dal 'racconto conciso e chiaro ma nello stesso monumentale e drammatico nella sua semplicità'; 'dal forte effetto plastico e volumetrico' (non dimentichiamoci che Maso fu anche scultore); dal comporre 'solenne e pacato'; pittoreil quale 'Oltre che il senso della sintesi assoluta……….ha forte anche l’inclinazione al particolare, al gusto del dettaglio'.
Tra il 1328 e il 1333 Giotto lavora a Napoli, chiamato alla corte dei d’Angiò. Il suo intenso lavoro a Castelnuovo è accertato attraverso i documenti angioini in cui sono presenti i pagamenti a lui effettuati. Inoltre alcune fonti cinquecentesche confermano gli interventi del pittore nel monastero di Santa Chiara. Oggi, non ci sono più tracce delle sue opere, salvo pochi frammenti.
Stretto collaboratore di Giotto a Napoli fu Maso di Banco, per il cui approfondimento vi consiglio la preziosa pubblicazione 'Maso di Banco-La Cappella di San Silvestro' a cura di Cristina Acidini ed Enrica Neri Lusanna.
Anche per lui le notizie biografiche sono frammentarie. La sua presenza nei cicli giotteschi in Santa Croce a Firenze e la sua formazione nella bottega di Giotto sono unanimemente riconosciute.
Di Maso di Banco le fonti contemporanee e posteriori profondono grandi elogi con definizioni spesso non banali o di convenienza. Così Filippo Villani dice che Maso 'omnium delicatissimus, pinxit mirabili et incredibili venustate'-fra tutti il più delicato, dipinse con ammirevole e straordinaria bellezza-mentre il Ghiberti ne dà la definizione più intensa, nella frase 'abbreviò molto l’arte della pictura'.
Il Longhi e chi ne ha seguito strenuamente l’assunto, verte a riconoscere a Maso un notevole grado di invenzione e di autonomia, sì da porlo in posizione preminente rispetto ad altri membri dell’èquipe giottesca.
Maso si configura pertanto come la personalità più eminente e innovativa nella schiera dei maestri strettamente legati alla bottega giottesca, nonostante l’esiguo numero di opere a lui attribuibili.
A Maso, tra l’altro, vengono attribuite le decorazioni degli sguanci delle finestre della Cappella Palatina di Castelnuovo a Napoli, con volti che ricordano analoghe figure della Cappella dei Bardi di Vernio in Santa Croce a Firenze, cappella da lui affrescata con le Storie di San Silvestro.
Giotto e i suoi collaboratori lavorarono intensamente a Napoli per circa sei anni ed aprirono, per ordine del sovrano, una bottega in questa città.
E’pertanto verosimile che un cospicuo numero di opere siano uscite, in questi anni, dalla bottega giottesca.
Non abbiamo, purtroppo, di Maso di Banco, un’opera con lo stesso soggetto della Pietà Pepoli, ma possiamo comunque immaginarcela.
In un documento del 1392 si ricorda, perché bisognosa di restauro, una Deposizione dalla Croce, ora perduta, sopra la porta del cimitero di S. Pier Maggiore a Firenze, di cui si loda l’autore, Maso, 'grande maestro'.
Sappiamo quindi per certo che Maso di Banco si cimentò, durante il suo operato, con il tema rappresentato nella Pietà Pepoli.
Il dipinto del Museo Pepoli, uscito dalla bottega di Giotto a Napoli, dovette, a suo tempo, riscuotere un certo successo e una certa celebrità, tanto da rappresentare il capofila di numerose copie eseguite successivamente. Prova ne sia la copia della Pietà oggi in collezione privata.
Come giunse questo capolavoro a Trapani? E’ una domanda che mi sono posto. Forse potrei tentare di dare una risposta ma non è questo il momento né la sede.
Federico Bologna, insigne storico dell’arte, ma anche uomo di profonda cultura, a conclusione della monumentale opera -I pittori alla corte angioina di Napoli 1266-1414-come ho già ricordato,scriveva: 'gli studi sono, come ogni cosa di questo mondo, un inconcluso work in progress' , cioè qualcosa in cui difficilmente può mettersi la parola fine.
Citava anche due frasi di Marc Bloch, uno dei massimi storici del secolo scorso:- 'il progresso degli studi è determinato dall’esercizio del metodo critico'- e -'Non si ha diritto di presentare un’affermazione, se non a condizione che possa essere verificata; tanto che il valore di una conoscenza si misura dalla sua premura di offrirsi in anticipo alla confutazione' –
Metodo critico e metodica del dubbio ho sempre coltivato nella mia formazione clinica.
Metodo critico e metodica del dubbio continuo a non trascurare nei miei divertissements sulla letteratura classica e sulla storia dell’arte.
Ed è con questo spirito che ho intrapreso a stilare queste brevi e misere note.
Non me ne vogliate!
Auspico che questi miei appunti possano stimolare un approfondimento sulla Pietà Pepoli con l’intervento di autorevoli storici dell’arte e mediante l’utilizzo di moderne e sofisticate indagini, allo scopo di meglio conoscere questo capolavoro e il suo Autore, grande Maestro, fra tutti il più delicato.
Grazie!
Cronologia delle attribuzioni
1810-Benigno di Santa Caterina- Trapani Profana-…si crede trasportato dalla Palestina
1825-Giuseppe Maria Di Ferro- Guida per gli stranieri in Trapani-
……vetustissima memoria delle arti di Oriente
1900 -P. Fortunato Mondello-Sulle pitture in Trapani….
Opino piuttosto che il dipinto sia informato all’arte siciliana, uscente dalla maniera lombarda. Raccomandiamo questa tavola alla solerzia della Commissione municipale perché si accinga presto a sottrarla dal finale deperimento e darle un posto accanto alle opere più pregiate della nostra Pinacoteca.
1935- Guida ai musei d’Italia - Scuola toscana sec. XIV
1937-W. Korte-FahrbuchderBibliotheca Hertziana-I pag.8 - Scuola toscana del ‘300
1946-M. Meiss-The Art Bulletin- marzo 1946 pag.9 fig.16 - Messa in rapporto con la scuola napoletana 1360
1950- F. Zeri-Paragone n°3-marzo 1950-Il Maestro del 1456- nota 2 pag. 21
Si veda ad esempio la magnifica tavola cuspidata del Museo Pepoli di Trapani che, a mio parere, può essere riferita allo stesso Odorisi
1951 -P.Toesca-Il Trecento
Nota 217 pag. 690 ………Il pittore ( R. d’Oderisio) è ricordato nel 1382 al servigio di Carlo di Durazzo. A questo suo tardo momento si possono riferire la lunetta con la Madonna 'mater omnium' inS.Domenico a Napoli e un’altra lunetta con la Madonna e il Cristo morto nel Museo Pepoli di Trapani
1965-Vincenzo Scuderi -Il Museo Nazionale Pepoli in Trapani
Ancora di fondamento toscano, giottesche e, in parte, martiniane, sono le origini del linguaggio della 'Pietà' , bellissima lunetta cuspidata che signoreggia dall’alto del suo punto di stile sulle altre opere della sala. Ma va subito detto che il napoletano Roberto di Oderisio , che la dipinse nel suo periodo tardo, verso il 1380 (Zeri ,Toesca), ha saputo far propri e profondamente animare quei fondamenti di linguaggio, così da fare dell’opera uno dei momenti più originali e toccanti che la cultura gotica dell’Italia meridionale abbia saputo esprimere nella sua lunga e complessa storia.
1965- Alessandro Cruciani-Le vie d’Italia n°11 nov. 1965
Su tutti spicca una grande lunetta dipinta verso il 1380 dal napoletano R.d’Oderisio. E’uno dei pezzi forti della pinacoteca. Il largo impianto delle figure di evidente derivazione giottesca, la morbidezza del modellato e del colore, l’elementare umanismo e la forza espressiva rivelano un artista di notevole spessore.
1969- F. Bologna-I pittori alla corte angioina di Napoli 1266-1414-pag. 330
Sembra sicuro che le pochissime opere ancora attribuibili al maestro (R. d’Oderisio), la Pietà di Trapani e la ben nota 'Mater omnium ' di S. Domenico Maggiore, spettano ad un momento assai inoltrato. ..La pietà di Trapani che è stata restituita al maestro dallo Zeri, suggerisce una data molto tardiva anche per la sua ubicazione in Sicilia…….Assumere per la Pietà di Trapani una datazione posteriore al 1373 sembra richiesto da queste ragioni. Ma è richiesto soprattutto dallo stile dell’opera, la quale se appare della stessa mano della tavola di Eboli, della tavola di Cambridge, del dittico Londra- Lehman…… è un altro argomento da addurre a favore dell’attribuzione di quest’opera all’Odorisi. Nel corpo del Cristo…. sembra presupporre lo studio……. di Niccolò Di Tommaso e delle accademie fiorentine più recenti.
1978 –Vincenzo Scuderi- Arte medievale nel trapanese
La critica degli ultimi decenni ha chiarito in via definitiva, ad opera dello Zeri e del Bologna, paternità e tempo dell’opera (R. d’Oderisio 1380)
1991-F.Bologna-Enciclopedia dell’arte medievale. vol.I pag.689
Nonostante taluni pareri discordi, spettano infatti all’Oderisi di questi anni (1380-82) la Madonna dell’Umiltà della cappella Aquino Sanseverino in S. Domenico a Napoli e la notevolissima Pietà del Museo Regionale Pepoli di Trapani, la cui presenza in Sicilia-possibile solo dopo la pace di Aversa del 1373, è essa stessa indice di datazione tarda
1993-Gaetano Bongiovanni- Dizionario degli artisti siciliani vol. II-Pittura
Ultima opera del pittore (d’Oderisio) è considerata la Pietà del Museo Pepoli di Trapani che ne documenta l’ultima fase artistica sintonizzata su una linea artistica definita neomasiana
2002-Gaetano Bongiovanni –Opere restaurate del Museo Pepoli
R. d’Oderisio 1380- l’opera nel suo accentuato formalismo rilegge esperienze martiniane e fiorentine, queste ultime legate ai momenti napoletani di Giotto e di maso di Banco ed appare sintonizzata su una linea pittorica definibile 'neomasiana'
2013- Daniela Scandaliato -Il Museo interdisciplinare Regionale Agostino Pepoli –
La bellissima tavola lignea cuspidata è stata nel corso del secolo scorso attribuita al pittore napoletano Roberto di Oderisio, che l’avrebbe dipinta intorno al 1380.
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Inserito il 23 Aprile 2021 nella categoria Relazioni svolte
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