L'avv. Ranieri Borghigiani ha tenuto un'allocuzione sulla figura del grande trapanese Tito Marrone
Relatore: Avv. Ranieri Borghigiani
Il giorno 15 Dicembre u.s. l’avv. Ranieri Borghigiani ha tenuto un’allocuzione sulla figura di Tito Marrone, trapanese, che qui si riporta fedelmente.
'Nacque nella nostra città Tito Marrone il 9 marzo 1882 da Francesco, il padre, e da Filippa Burgarella, la madre, unico figlio di un famiglia che ebbe dimora in via San Francesco d’Assisi, proprio di fronte le mura del vecchio carcere. Poco distante dalla sua abitazione il giovane frequentò il Ginnasio/Liceo Ximenes ove il padre insegnava e ivi conseguì la licenza liceale nell’anno 1900. Furono questi gli anni delle prime letture e del primo accostamento alla poesia. Appartengono a questo periodo, infatti, la Breve elegia, l’ode A Carlo Alberto, la prima raccolta organica di liriche Cesellature (1899), il poemetto Sicilia, i volumetti di versi Le gemme e gli spettri e Le rime del commiato, le Elegie palermitane e molteplici altre composizioni singolarmente pubblicate su diversi fogli o riviste ('Aspasia', 'Gazzetta Letteraria', 'La Settimana', 'Le Parvenze'). Già da questi primi passi Alberto Frattini ebbe ad evidenziare che toni crepuscolari erano e sono chiaramente rinvenibili in quella che fu la prima raccolta del poeta <<Cesellature>> 'nel senso di registri più sommersi, di più smorte tonalità, specchio di un accorato e desolato sentimento della realtà e dell’esistenza'. Sempre al periodo trapanese risalgono le amicizie di Tito Marrone con altri valenti giovani, aspiranti poeti e letterati: Umberto Saffiotti, Giuseppe Piazza, Federico De Maria. Così il giovane Marrone si affacciava alla vita, forte di una crescente popolarità locale e non solo, a seguito della pubblicazione di 'Cesellature', recensita, tra l’altro, con favore dal noto linguista Policarpo Petrocchi. All’improvviso, però, l’allontanamento dalla città natìa a causa della perdita dell’abitazione di via San Francesco d’Assisi per una controversia ereditaria ed della nomina del padre alla docenza presso un liceo romano. Era così cominciato l’esilio romano del poeta. Nella Capitale il giovane trapanese partecipa attivamente alla vita orbitante attorno agli ambienti letterari dell’epoca e nel 1904 pubblica 'Liriche', volumetto che si presenta diviso per sezioni la terza delle quali reca per titolo 'Drepanon', a riprova del forte legame che univa Marrone alla sua terra d’origine, pur se lontano da essa.
Insieme a Giuseppe Piazza, Carlo Basicili, Federico De Maria, Yosto Randaccio e sotto l’egida del professor Angelo De Gubernatis, Tito Marrone divenne parte operante del cenacolo letterario che diede vita al movimento della rinascita elleno/latina ma l’adesione a detto tradizionalismo non significò per lui rinunzia alla sperimentazione poetica, allo svecchiamento dei versi dalla retorica per l’adesione al vero e, dunque, alla vita. Estrema rigorosità e sperimentalismo, dunque, le caratteristiche del lirico trapanese che vivendo a Roma forgia il suo spirito ai fermenti culturali dell’epoca ma che, al contempo - cosa ben più importante - trasferisce la sua vena innovatrice e creativa alla poesia del nuovo secolo, aprendo - si direbbe oggi - un 'filone' nel quale si sarebbero cimentati altri giovani poeti, come Sergio Corazzini, Fausto Maria Martini, Alfredo Tusti, Alberto Tarchiani, tutti venuti dopo di lui. Dal 1903 al 1907 pubblica su fogli e riviste letterarie alcune delle liriche tratte dalle raccolte ancora inedite 'Carnascialate', 'Poemi Provinciali', 'Favole e Fiabe' che soltanto nel 1947 gli valsero il riconoscimento del Premio Fusinato e che costituiscono, come oggi riconosce il prof. Farinelli, 'uno dei repertori più solidi del crepuscolarismo' (il riferimento è a 'Carnascialate' in 'Perché tu mi dici poeta?', Roma, 2005) . Nel 1906 un incredibile successo riscosse la traduzione che l’autore trapanese fece - in stretta collaborazione con Antonio Cippico - dell’ 'Orestiade' di Eschilo rappresentata, tra l’altro, al Teatro Argentina di Roma da compagnie di primissimo ordine e che ottenne numerosi riconoscimenti anche dalla critica. Dal 1907 il lungo silenzio del Nostro durato un quarantennio; silenzio che non significò mai inattività ma mera astensione dalla pubblicazione degli scritti - sia poetici che teatrali - che egli andava componendo. Silenzio con ogni probabilità cagionato dalla scarsa attenzione della critica nei suoi riguardi; critica, invece, sempre più attenta all’operato di altri giovani che, a loro volta, andarono via via traendo da Marrone ispirazione quanto a tematiche ed accenti contenuti nelle loro poesie. Il lungo silenzio, dunque, e così è stato!
L’assegnazione del Premio Fusinato nel 1947 rappresentò per Marrone una sorta di riconoscimento postumo, la restituzione al poeta in termini onorifici del suo essenziale contributo alla nascita ed allo sviluppo della nuova lirica d’inizio secolo detta 'crepuscolare'. L’interesse della critica nei suoi riguardi certamente si andò ravvivando nei primi anni del dopoguerra e ne è conferma l’ambito Premio Internazionale di Poesia 'Siracusa' vinto dal poeta trapanese nel 1949 per le liriche contenute in quella che è l’ultima sua raccolta 'Esilio della mia vita'. Le liriche della silloge vivono di autentici sentimenti e nessuna costrizione loro appartiene né tematica né metrica; l’autore è essenzialmente sé stesso; è uomo che ripiega sulla sua esistenza e dalle vicissitudini del passato trae il proprio personale linguaggio. Il Nostro in questi versi riesce a mettere a nudo - in chiara luce poetica - il dramma della sua vicenda umana, mai banalmente, però, bensì sempre ispirato dalla virginea fiamma dei sentimenti e confortato da un linguaggio puro, scevro da qualsiasi forma di retorica e di ripetitività. Questo è l’ultimo Marrone, il meraviglioso e drammatico autore che cessò la sua esperienza terrena il 24 giugno 1967 a Roma lasciando incompleti i suoi ultimi scritti in versi.
Merita di essere menzionato, infine, il suo splendido teatro -in massima parte ancora inedito-, frutto di una attività svolta in parallelo con quella poetica e che raggiunse - a detta dei critici che poterono avvicinarsi ai suoi testi - vertici di raffinata eleganza compositiva. Cito allora le tre commedie 'Cola Beretta' - scritta in collaborazione con Rosso di San Secondo -, 'Poveri fanciulli' e 'Le fidanzate', gli atti unici 'La ragna', 'Re Ferdinando', 'Le vedove', 'Finestra', 'Lo spettro', 'La statua del commendatore', 'Farmacia notturna' ed, infine, le scene singole 'Il francobollo', 'Aggiornamenti', 'Lume di luna', 'Si chiude'.
Ranieri Barghigiani
Inserito il 15 Dicembre 2007 nella categoria Relazioni svolte
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