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Ricordo di S. Quasimodo a 50 anni dalla morte (1968-2018)

Antonino Tobia ha relazionato su uno degli autori più famosi del XX secolo, considerato il maggiore esponente dell'Ermetismo.

Relatore: Prof. Antonino Tobia

Immagine riferita a: Ricordo di S. Quasimodo a 50 anni dalla morte (1968-2018)'La Sicilia e Milano: tra questi due poli estremi, sintesi di quasi ogni differenza (culturale, industriale, tecnologica ecc.) fra un nord e un sud ancora così distanti , si situa l’Italia di Quasimodo'.  Ma è il caso di aggiungere alle parole di Gilberto Finzi, che ha curato l’introduzione al volume Tutte le poesie per i tipi della Mondadori del 1960, che da questi due poli estremi la voce del poeta si è elevata oltre i confini della sua terra, per diventare messaggio universale di fratellanza. Ha scritto bene Louis Aragon, notando che in Quasimodo la Sicilia spiega il mondo; e Immagine riferita a: Ricordo di S. Quasimodo a 50 anni dalla morte (1968-2018)lo illumina, anche quando la sua luce non è che tenebre.Si mettano a confronto due liriche di due autori di formazione diversa: M’illumino d’immenso (G. Ungaretti) con Ognuno sta solo sul cuor della terra/ trafitto da un raggio di sole: / ed è subito sera.Entrambi i poeti cercano la luce, anelano a squarciare le tenebre che avvolgono le loro esistenze. Il primo si trova in trincea a respirare il tanfo della morte sotto un cielo nero di sangue e di violenza. Quasimodo sceglie questa poesia come titolo della raccolta di liriche apparsa nel 1942. Ungaretti utilizza appena due ternari per esprimere l’ineffabile. Il rapporto finito e infinito trova la sua sintesi in un’improvvisa esigenza del sovrannaturale, che  solleva il poeta in una dimensione  trascendentale, in cui non avverte più il lamento dei feriti e gli spari dei cannoni.L’uomo è accolto nelle braccia dell’Assoluto e non si sente più una 'corolla di tenebre'. Anche il poeta di Modica cerca la luce, sulla scia della lezione ungarettiana, ma la solitudine e le contraddizioni dell’esistenza lo trattengono al di qua dell’estasi. L’uomo vive nel cuore della terra, ne sente i battiti, ne percepisce il ritmo e le disarmonie. L’improvvisa illuminazione di un raggio di sole, che indica la via della speranza, è presto spenta, lasciando un dolore profondo, una fitta al cuore, che riporta la sera dove aveva per un attimo albeggiato.Questo senso di solitudine esistenziale, che si accompagna alla nostalgia del mito di una terra lontana, rappresenta la cifra principale della produzione lirica del poeta.Salvatore Quasimodo nacque a Modica (Ragusa) nel 1901 da Gaetano, capostazione delle ferrovie dello Stato, e da Clotilde Ragusa, di origine greca per parte di madre. A Messina, dove il padre era stato trasferito per riorganizzare la stazione ferroviaria distrutta dal terremoto del 1908, conseguì il diploma di geometra e successivamente si iscrisse alla facoltà di ingegneria a Roma. Qui ebbe la possibilità di frequentare l’Accademia dei nobili ecclesiastici e di iniziarelo studio del latino e del greco sotto la guida di Mons. Mariano Rampolla del Tindaro, la cui profonda assimilazione contribuì non solo a soddisfare la sua sete di cultura classica, ma a perfezionare il suo lessico e la sua metrica. - All’età di 21 anni fu iniziato alla Massoneria nella Loggia Arnaldo da Brescia di Licata, seguendo la tradizione paterna.Si trattò di una esperienza significativa ma breve perché tre anni dopo, il 12 novembre 1925 il Gran maestro Domizio Torrigiani emanò il decreto di scioglimento di tutte le Logge massoniche, a causa della feroce persecuzione del regime fascista. Per rendersi economicamente autonomo, accettòl’impiego al Genio civile, che lo costringe a viaggiare in varie regioni d’Italia.A Firenze, dove aveva la possibilità di essere ospitato dal cognato, Elio Vittorini, che aveva sposato sua sorella Rosina, fu introdotto nell’ambiente culturale della rivistaSolaria, dove conobbe tra gli altri Eugenio Montale e Alessandro Bonsanti, direttore della rivista. Nel 1930 presso le edizioni di SolariaQuasimodo pubblicò la sua opera prima: Acque e terre, alla quale seguirono Oboe sommerso(1932) ed Erato e Apollion(1936). preceduta da un’autorevole prefazione del critico Sergio Solmi, che così annotava: Poesia scarna e immediata, dove l’immagine colta isolatamente si affida tutta al tono della voce assorta che la pronuncia. Ma in cui, più che l’immagine, più che il verso, l’organismo costitutivo, la cellula elementare, è la parola.Già dal 1934 il poeta si era trasferito a Milano,dove aveva trovato il suo ambiente naturale, potendo frequentare intellettuali, poeti, artisti musicisti come lo scultore e pittore Arturo Martini, il pittore Aligi Sassu, il poeta ingegnere LeonardoSinisgallied altri. Quindi, lasciato il Genio civile,per qualche tempo fu segretario di Cesare Zavattini, che lo introdusse nella redazione del settimanale ilTempo.Nel 1938 vide la luce la raccolta Poesie, recensite da Oreste Macrì e in questo periodo, accanto alla sua attività di poeta, si colloca la sua esperienza di traduttore, iniziata con i Lirici greci, usciti per la prima volta nel 1940 con la prefazione di Luciano Anceschi.Nel 1941 venne nominato "per chiara fama" professore di letteratura italiana al Conservatorio "G. Verdi" e quasi contemporaneamente, nel 1942, tutte le poesie delle raccolte precedenti furono pubblicate nel volume Ed è subito sera, che prese il titolo dalla prima lirica che apre la raccolta. Quasimodo visse a Milano gli anni della guerra, immerso in un intenso lavoro di traduzione  dall’Odissea ai carmi di Catullo, dall’Edipo re di sofocle al vangelo di S. Giovanni. Tradusse anche dall’inglese opere di Shakespeare , e degli autori moderni tradusse il cileno Neruda, gli americani Eduard Cummings e Conrad Potter Aiken, vincitore nel 1930 del premio Pulitzer e il poeta rumeno Tudor Arghezi. Di certo Quasimodo non conosceva la lingua romena, ma egli ai suoi detrattori così rispondeva: … è meglio una traduzione che contenga una quindicina di errori, dove rimanga intatta la qualità poetica dell’originale, piuttosto che un manuale di fedeltà verbale, molto simile ad un elenco da dizionario. A qualcuno verranno in mente i colpi di fioretto che si scambiarono il Monti e il Foscolo sulla traduzione dell’Iliade. Dopo la fine del disastroso conflitto mondiale, Quasimodo innalzò la sua poesia a canto epico con la raccolta del 1947 Giorno dopo giorno, cui seguirono La vita non è un sogno (1949), Il falso e il vero verde (1956), La terra impareggiabile (1958), che gli fece meritare il premio Viareggio. L’anno successivo, 1959 al poeta fu assegnato il premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: "Per le sue poesie che, con ardore classico, esprimonoil sentimento tragico della vita del nostro tempo". Si trovava ad Amalfi,presidente di giuria di un premio letterario, quando un infarto gli stroncò la sua vita, il 14 giugno 1968. I suoi resti mortali riposano nel famedio del cimitero monumentale di Milano.Il pensiero e lo svolgimento della poetica di Quasimodo comprende due periodi. La sua prima raccolta di poesie Ed è subito sera rivela il mondo spirituale e la tensione lirica del poeta: un cupo pessimismo, un profondo senso di sfiducia nell’umanità e un bisogno estremo di ancorarsi a qualcosa cui credere. L’uomo sta solo sul cuore della terra e il 'pino distorto… col fusto piegato a balestra', che si staglia solo all’orizzonte in mezzo a tanto abissoè viva espressione autobiografica di solitudine interiore alleviata dalla presenza degli uccelli che di notte vi trovano rifugio : '… Ha pure un suo nido il mio cuore/ sospeso nel buio, una voce;/ sta pure in ascolto la notte ( Rifugio d’uccelli notturni). Il poeta fu costretto ancora giovane a lasciare la sua Sicilia per motivi di studio e di lavoro. La lontananza creò in lui la nostalgia dell’esule, che rivive con sofferto recupero memoriale i giorni della sua infanzia e della sua adolescenza. Così alla mente ritorna Tindari , 'Tindari serena torna;/ soave amico mi desta/ che mi sporga nel cielo da una rupe/ e io fingo timore a chi non sa/ che vento profondo m’ha cercato.' Il recupero memoriale va anche alle strade della mitica Agrigento, avvolte nel mistero della natura: Là dura un vento che ricordo acceso/ nelle criniere dei cavalli obliqui/ in corsa lungo le pianure, vento/ che macchia e rode l’arenaria e il cuore/ dei telamoni lugubri, riversi/ sopra l’erba… I telamoni rappresentano l’anima antica di Agrigentum, un’anima ormai derelitta che giace sull’erba al suono del marranzano che tristemente vibra/ nella gola del carraio che risale/ il colle nitido di luna, lento/ tra il murmure d’ulivi saraceni. Il paesaggio siciliano è ritratto realisticamente, senza alcun indugio parnassiano e privo dell’incedere melodioso del panismo dannunziano, sebbene sia presente nella sua memoria sempre come trasfigurazione poetica e nostalgica.Anche il mito antico di Quasimodo, scrive Gilberto Finzi, 'è un sentimento della solitudine che si fa canto e monodia sorgendo dalle macerie psichiche ed esistenziali dell’individuo'. Ma è con le raccolte Oboe sommerso ed Erato ed Apollion che il poeta viene riconosciuto come uno dei maggiori esponenti dell’Ermetismo.Questa corente poetica e critica nasce nel primo dopoguerra, ma acquista una sua organicità negli anni della dittatura fascista, soprattutto a Firenze con le riviste Solaria, Frontespizio e Campo di Marte. Sul piano letterario questa corrente mirava ad allontanare la poesia dal dannunzianesimo come dal ritmo apparentemente puerile della poesia pascoliana, sul versante linguistico voleva essere una denuncia alla gonfia e retorica verbosità della propaganda del regime ecercaav nuovi approdi negli autori del Simbolismo francese, Mallarmé, Rimbaud, Valery. La ricerca di una 'poesia pura' si collocava sulla scia tracciata da Giuseppe Ungaretti, tesa a restituire alla parola il suo significato primigenio, a sondare il valore di ogni singolo fonema per sentirne l’eco. L’Ermetismo si configura come un hortusconclusus, al cui interno il poeta si ergeva come sacerdote del verbo. I poeti ermetici, in questo modo, prendevano le distanza dalle vicende politiche, rifiutavano la realtà che sta al di là del loro confine intellettuale e spirituale. A loro non interessava comunicare, né svolgere la funzione romantica del poeta-vate. Facevano, anzi, dell’incomunicabilità la loro cifra esistenziale, che si traduceva in ardite analogie, in ricercate sinestesie, in espressioni essenziali e allo stesso tempo evocative. Questi poeti, Alfonso Gatto, Mario Luzi, il giovane Quasimodo, per citare i più importanti, si presentavano al lettore come monadi senza finestre, che chiedevano a se stessi la risposta alla loro disperata solitudine. L’ermetismo, come sinonimo di incomunicabilità, era assai distante dalla verbosità fascista, tuttavia, quegli stessi intellettuali, che in esso non si riconoscevano, non avvertivano l’esigenza morale di contrastare il regime, se non attraverso l’'assenza', il disimpegno, convinti dell’impossibilità dell’uomo a vincere la condizione tragica del suo destino. Da qui, quel senso di alienazione e di frustrazione che raggelava qualsiasi speranza in un mondo nuovo, e  avvolgeva i versi in un sofferto tono elegiaco, estraneo a quello sguaiato e celebrativo imposto dai tempi.L’immane tragedia della Seconda guerra mondiale segnava uno spartiacque nella poetica di Quasimodo e suggeriva al poeta un nuovo contenuto umano ed estetico della sua poetica, segnata dalle raccolte  del dopoguerra, Giorno dopo giorno, La vita non è sogno, Il falso e vero verde. Il Discorso sulla poesia, apparso per la prima volta in appendice al volume Il falso e vero verde del 1957, rappresentò il nuovo manifesto poetico di Quasimodo, oltre l’ermetismo.I filosofi, i nemici naturali dei poeti, e gli schedatori fissi del pensiero critico, affermano che la poesia (e tutte le arti), come le opere della natura, non subiscano mutamenti, né attraverso né dopo la guerra. Illusione; perché la guerra muta la vita morale d’un popolo, e l’uomo, al suo ritorno, non trova più misure di certezza in un modus di vita interno, dimenticato o ironizzato durante le sue prove con la morte….Le sue immagini forti... battono sul cuore dell’uomo più della filosofia e della storia". Il silenzio della poesia ermetica aveva fatto ormai il suo tempo e il poeta doveva ritornare sulla scena pubblica a parlare alla sua gente, a riprendere il canale della comunicazione.Siamo alla fioritura di una poesia sociale, afferma con forza il poeta, cioè che si rivolge ai vari aggregati della società umana. Non poesia sociologica, perché nessun poeta sogna di fare del sociologismo…, ma  sociale nel senso che aspira al dialogo più che al monologo… La posizione del poeta non può essere passiva nella società: egli modifica il mondo… Ma un poeta è tale quando non rinuncia alla sua presenza in una data terra, in un tempo esatto, definito politicamente. E poesia è libertà e verità di quel tempo  e non modulazioni astratte del sentimento.Queste nuove considerazioni estetichenon restano solo premesse retoriche, ma diventano  messaggi di un impegno umano che richiede un nuovo codice comunicativo, lirico ed epico allo stesso tempo, quello di Giorno dopo giorno (1947) e delle raccolte successive. A contatto con la violenza della guerra il respiro del poeta si è fatto più ampio e il vibrare del suo cuore trafitto è più intenso. Si legga la lirica 'Alle fronde sei salici': Il piede straniero sopra il cuore…, i morti abbandonati nelle piazze…, l’urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo, sono rapidissimi scorci di una tragica realtà, animata da una intensità tutta intima e allo stesso tempo universale. La voce del poeta non è il lamento del singolo a contatto con le macerie della guerra, ma si erge a denuncia dell’efferatezza di una umanità, impegnata in una continua lotta contro se stessa, autolesionista:  'Sei ancora quello della pietra e della fionda, /uomo del mio tempo… T’ho visto: eri tu,/ con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,/ senza amore, senza Cristo…(Uomo del mio tempo). Mai una voce è stata così intensae vibrante contro il DNA della violenza che caratterizza l’uomo, trasformandolo in un mostro assetato di sangue e di potere.'Per la sua poetica lirica, che con ardente classicità esprime le tragiche esperienze della vita dei nostri tempi' è la motivazione che ha accompagnato il conferimento dell’ambito premio Nobel per la letteratura nel 1959. L’anno successivo, l’Università di Messina conferì al poeta la laurea honoris causa in Lettere, seguita nel 1967 dall’Università di Oxford.Ma quanta invidia e triste livore tra gli intellettuali! Quasimodo fu il quarto scrittore italiano a meritare il premio Nobel, dopo Carducci, Deledda e Pirandello. Eppure non mancarono di farsi vivi i suoi detrattori, quanti ritenevano che un così alto riconoscimento sarebbe spettato con maggiore diritto ad Ungaretti o a Montale. Questi, che era alloraredattore capo della pagina letteraria del Corriere della sera, alimentò la polemica e pare avesse suggerito al famoso critico letterario Emilio Cecchi di ridimensionare la fama ormai universale che il premio aveva conferito al poeta. Cecchi commentò con perfidia l’avvenimento che onorava il popolo italiano: A caval donato non si guarda in bocca. Più ingiuriosi e cattivi furono i commenti di Ungaretti. In una sua lettera inviata il 4 novembre del 1959 al suo amico francese Jean Lescure, traduttore delle sue opere, il poeta di Allegriadefiniva Quasimodo un opportunista, che aveva collaborato col regime fascista, dal quale aveva ottenuto la cattedra di professore. Quasimodo era 'un pappagallo e un pagliaccio', che per opportunismo aveva indossato dopo la guerra i panni della Resistenza, prendendo la tessera del Patito Comunista. Quindi, non solo considerava immeritato il riconoscimento, ma offendeva senza mezzi termini la giuria, che aveva assegnato il premio a Quasimodo, come composta da ' quattro poeti ridicoli, gli altri sono uomini di scienza e il più cretino dei quattro è il segretario permanente'. E al colmo della bile, i suoi improperi raggiungevano l’acme della volgarità, offendendo il Premio come inutile merda.Insomma, il vecchio vate si sentiva trascurato e tradito, e lanciava frecce avvelenate contro i poeti del suo tempo, di cui egli si credeva il migliore in assoluto, l’unico degno di un riconoscimento internazionale: Jean Cocteau è un emerito porco. René Char scrive di coglioni impagliati. Alberto Savinio, un mediocre. Saba? È un cretino infinocchiato da Freud. Penna un grazioso pederasta. Montale una specie di pidocchio che si nutre delle proprie caccole.La disordinata vita sentimentale di Quasimodo dava adito ai suoi detrattori di accusarlo di essere un donnaiolo impenitente e di scarsa moralità.  La prima moglie di Quasimodo, Bice Donetti, visse col poeta anni difficili sia dal punto di vista economico, sia per la complicata situazione familiare. Infatti, Quasimodo ad Imperia aveva intrecciato una relazione con Amelia Spezialetti, dalla quale aveva avuto una figlia, Orietta e da poco aveva interrotto un altro turbolento legame con la poetessa Sibilla Aleramo. Non si conoscono i particolari della vita matrimoniale, che non dovette essere di serena convivenza.Nel 1936, separato da Bice, conquistò il cuore di Maria Cumani, una ventottenne milanese di buona famiglia, amante dell’arte e votata alla danza. Nel 1948, dopo la morte della prima moglie, Quasimodo e Maria si sposarono. Dal matrimonio nacque il figlio Alessandro, che ha recentemente curato il volume 'Il fuoco tra le dita', insieme con Mariacristina Pianta. Il libro raccoglie poesie, racconti, saggi, pagine diaristiche, appunti vari della danzatrice, che fu anche scrittrice, poetessa, coreografa e attrice con registi importanti, dai fratelli Taviani a Dino Risi, da Fellini a Rossellini. La comune vocazione artistica, però, ben presto fu offuscata dai continui tradimenti. Il figlio Alessandro, attore regista e poeta, nato fuori dal matrimonio il 22 maggio 1939, non è tenero nei confronti del padre, del cui comportamento sessuale cita episodi inediti. Quasimodo aveva bisogno di creare attorno a sé un gineceo. La sua sfrenata sessualità non conosceva alcun limite morale. Alessandro annota che durante la guerra suo padre era stato ospite del pittore Mario Sironi a Milano e in quella occasione si era portato a letto la moglie, la figlia e l’amante del pittore. Egli considerava i suoi tradimenti passatempi passeggeri, di cui aveva diritto. Infatti, fin dall’inizio del matrimonio aveva affermato questa sua esigenza di libertà sessuale' Ti darò il mio nome, sposandoti, ma quando uscirò la sera non chiedermi dove vado'. Sicuramente il rapporto con Maria era diverso dalle effimere relazioni che egli aveva con le amanti,profondamente convinto che la sola donna pura ch’era entrata nella sua vita fosse proprio lei.Ciononostante, non teneva in alcun conto che la donna che aveva rotto con la famiglia a causa di questa relazione, che aveva sacrificato le sue aspirazioni artistiche, che era stata tradita anche con la sua migliore amica  e che era stata costretta ad abortire ben cinque volte, non dovesse sentirsi offesa e profondamente sola e amareggiata dalla gelosia. Così Maia annotava nel suo Diario, con un’amara riflessione sulla gelosia che voleva condividere con le altre donne: … Se egli ci tradisce solo con il corpo e all’altra dà questa sensazione non di 'amore' segreto ma di bisogno, capriccio, di richiamo fisico, noi ecco, pur soffrendone possiamo sopportarlo, ma non che egli conceda a lei o illuda lei sull’averlo anche come mente e cuore'.Era diventato impossibile continuare ad essere umiliata dal marito, che continuava ad aggiungere nel suo carnet amatorio donne sempre diverse. Nel 1958 Quasimodo, colpito da infarto a Mosca, dove era stato invitato come conferenziere, non permise alla moglie di raggiungerlo, perché lo accompagnava un’altra donna e così pure quando fu invitato a Stoccolma per ritirare il premio Nobel Maria non andò, ma al suo posto era accanto al poeta l’ultima sua conquista. Forse questo turbinio di amanti, Maria cercava di spiegarlo a se stessa: serviva a soffocare la sua paura d’invecchiare e rispondeva al bisogno di essere amato da tutti. Maria decise alla fine di chiedere la separazione legale, che per il marito, uomo del Sud, fu un’offesa mortale. Lei era ancora ricca di energie, anche se stanca di soffrire e riprese la sua vita di donna libera, dotata di eccezionali qualitàintellettuali e umane, dedicandosi alla poesia e alla pittura, ma soprattutto alla danza, in cui la sua anima inquieta, in attesa di risposte,  aveva quiete. Alessandro ha voluto sottrarre all’oblio la memoria di sua madre, ma non vuole togliere nulla ai meriti poetici di suo padre, difendendolo dai detrattori, che avrebbero preferito a lui Ungaretti o Montale e lamenta chela sua terra si sia dimenticata del suo vate più illustre: In Sicilia hanno smarrito perfino il busto di mio padre, opera di Francesco Messina costata 30 milioni. Era in uno scatolone. E la casa di Modica non è valorizzata quanto merita».Noi condividiamo questa amara riflessione del figlio ed esprimiamo il doveroso omaggio al grande poeta, figlio della nostra terra. Prof. Antonino Tobia

Autore Legre

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Inserito il 23 Ottobre 2018 nella categoria Relazioni svolte