Il dott. Vincenzo Guzzo, studioso di simbologia, ha relazionato sui miti del cielo cogliendone il senso profondo, sacro, duttile, non dogmatico, fondamentalmente simbolico.
Relatore: Dott. Vincenzo Guzzo - Studioso di cultura esoterica
I MITI SIDERALI
Parlare oggi dei miti in cielo non rientra affatto fra le cose normali della quotidianità ma nel tempo antico, più che alla semplice normalità, appartenne alla dimensione del sacro. Si è perso infatti, nel corso dei millenni, il senso profondo di quel rapporto diretto tra l’uomo e il cosmo che rappresentava una dimensione sacra ed unitaria. Di conseguenza, non si è più fatto ricorso a quelle leggi dell’armonia che nel cosmo stesso avevano trovato ispirazione e si sono perse le aure che consentivano di cogliere la comunicazione fra le dimensioni celeste, terrestre e sotterranea attraverso molteplici epifanie del sacro quali i simboli, i riti, le arti, le geometrie, le architetture, la musica. Cosa rappresentò il mito? Non si trattò di una narrazione di eventi banali o di contenuto ordinario ma, al contrario, fu un racconto sacro, duttile, non dogmatico, fondamentalmente simbolico. Secondo Mircea Eliade, il mito, costituì una "ierofania" e cioè una vera e propria manifestazione del sacro. Da principio il termine "Mythos" significò "Parola". Poi questo significato passò al termine "Logos" e il linguaggio, progressivamente, si subordinò sempre di più al rigore della ragione. Nacquero la filosofia e quelle che, reggendo per millecinquecento anni, vennero, poi, chiamate le "Arti liberali" (da un lato: aritmetica, geometria, astronomia, musica e dall’altro: grammatica, retorica e dialettica). Così iniziò a sbiadire il tempo ciclico e mitico dell’uomo antico e con l’avvento delle religioni apocalittiche e, in buona parte, anche con un certo tipo di sviluppo filosofico, si impose una nuova concezione del tempo di carattere lineare, che prevedeva, per la storia dell’umanità e del mondo, un’origine ed una fine, senza alcun ritorno. AI mito seguì, dunque, la storia ma non si spense nell’uomo la capacità mitopoietica. E Carl Gustav Jung ha dimostrato per l’uomo di tutti i tempi, compreso il nostro, il fondamentale ruolo del mito nella psicologia del profondo. Tuttavia, in quel tempo antico, nel reciproco abbraccio tra uomo e cosmo, gli uomini vollero riconoscere i loro miti tra le stelle. Oggi sono pochi coloro che osservano il cielo notturno con l’intenzione di ritrovarvi le rappresentazioni mitiche fondanti delle varie culture antiche e tradizionali e di riconoscervi la fondamentale concezione archetipica del rapporto uomo - cosmo. L’uomo antico, sin dai tempi remoti, ha trasportato (ma sarebbe adeguato dire che ha "riconosciuto") in numerosi raggruppamenti di stelle, le forme dei protagonisti del mito. Egli concepiva le costellazioni come immagini luminose nel cielo notturno che denotavano la presenza reale ed eterna dei suoi Dei e dei suoi Eroi. Iniziamo, in ossequio al solstizio d’inverno, prendendo in considerazione la costellazione di Orione, un cacciatore gigantesco di cui si innamorò l’Aurora ma la loro unione finì presto perché, secondo la versione più diffusa del mito, il cacciatore venne ucciso, per volontà di Artemide, da uno scorpione. Si rileva come l’Orione celeste, accortosi dello Scorpione siderale, se ne fugga sempre all’altra estremità del cielo... Questa stessa costellazione però, presso i Sumeri, rappresentò l’archetipo della loro mitologia e cioè il gigante Gilgamesh e presso gli antichi egizi ebbe un ruolo non meno rilevante. Secondo alcune fonti si chiamò: "Xer-An", "Il guerriero che si gira", che si volge, cioè, verso la dimensione interiore e verso quella ctonia. Rappresentò Osiride che regge in mano il suo pastorale. Vicino a questa costellazione sorge la stella Sirio, la più luminosa del cielo, che gli egizi identificarono con la Grande Dea Iside, sorella e sposa di Osiride. Si rileva pertanto che potrebbe essere attendibile il riscontro, da alcuni ipotizzato, tra la disposizione delle tre grandi Piramidi di Gizah e le tre magnifiche stelle della cintura di Orione. Ci dice, infatti, Mìrcea Eliade che, presso gli egizi, i nomi dei luoghi si contemplavano dapprima in cielo. Si cominciava con il conoscere i cosiddetti "campi celesti" e poi li si identificava nella geografia terrestre e, da queste premesse, si realizzava la loro sacra riproduzione attraverso sapienti architetture. Stretta era infatti la connessione tra la dimensione siderale, quella litica e quella musicale e il mito fu il suo cantore. Mi sembra pertinente, riflettendo su stelle e mito, il rimando a quello che Schelling, nella sua "Filosofia del mito", chiama: "Zabismo" (e cioè l’antica religione astrale) che egli deriva da "Sabeismo", dai Sabei, il popolo della mitica regina di Saba, la Bilquis degli Arabi, la Macheda degli Etiopi, che suggestivamente e coerentemente con i fondamenti spirituali del più antico tempo delle Dee, sembra quasi trasmettere la sua segreta sapienza astrale nientemeno che al re Salomone, colui al quale si fa, autorevolmente, risalire la paternità dell’archetipico Tempio di Gerusalemme. Le religioni astrali ebbero come riferimento centrale la luce ma sembra appartenere ad una archetipica "stella" orientale, proprio la regina di Saba, il compito di ricordarci l’intima e segreta affabulazione del cielo notturno che domina ed esprime, come Iside, i misteri cosmici della vita e del femminile. E nell’antico Egitto si conserva anche un’altra e più antica rappresentazione di questo mito: la dea Nut, firmamento stellato, che si piega ad abbracciare la terra oppure che si china sul dio Geb che giace sotto di lei pronto a fecondarla. Tutto ciò prima che la dimensione celeste divenisse emblema del maschile con il dio vedico Varuna e con il dio greco Urano. Il cielo stellato non caratterizza solo le tombe egiziane ma è presente anche in Mesopotamia e nei templi mitraici. Appare poi nelle volte delle chiese cristiane, sino a tutto il Medioevo. Ne ritroviamo il motivo anche nel maphorion (il mantello blu stellato indossato da Maria, nelle rappresentazioni iconiche). Ancora oggi viene riprodotto nelle volte dei templi massonici. Con il solstizio d’estate, il Sole entrerà nel Cancro, costellazione d’acqua, dominata dalla Luna, simbolo del femminile. Si tratta dunque del periodo felicissimo dello "ieros gamos" delle nozze sacre per eccellenza dal punto di vista archetipico. Si uniscono infatti le polarità opposte e la simbologia celeste entra in rapporto armonico con le peculiarità meteorologiche dell’Estate. L’armonia di per sé comporta anche un forte riferimento etico e il mitologo Joseph Campbell sostiene che gli ordinamenti morali si fondino, da sempre, sui miti santificati come religione e pertanto possiamo dire che anche dal cielo giungeva, esplicito e armonioso, l’ammonimento etico. Appare inevitabile l’accostamento al motto kantiano: "...il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me". Osserviamo adesso il cielo estivo. In netta evidenza si mostra la costellazione del Cigno che è anche detta "Croce del Nord". Accanto a lei vi è quella dell’Aquila, animale sacro a Zeus. Il Cigno evoca il mito della trasformazione di Zeus in quel candido ed elegante volatile che finì col fecondare Leda. Ma vi sono anche altre letture e la più suggestiva vuole che essa rappresenti Orfeo. Infatti, vicinissima a questa vi è una costellazione, denominata: la Lira. Orfeo, dunque, suona ancora la lira in cielo e sembra che continui ad incantare tutti gli animali anche quelli siderali (il Leone, lo Scorpione, l’Aquila, l’Ariete, il Toro, il Capricorno, i Pesci, le Orse, i Cani, ecc.) II mito di Orfeo viene mirabilmente evocato nel "Flauto Magico" di W. A. Mozart allorché Tamino suonando, in questo caso il flauto incantato, vede danzare intorno a sé ogni sorta di animali. Sublime ed efficace metafora archetipica e psicologica. Un altro efficace esempio, tra i tantissimi possibili, è quello che riguarda un insieme di costellazioni che raccontano più miti in successione. Ed ecco che appare in cielo, come una grande lettera K, la rappresentazione siderale dell’eroe Perseo e accanto a lui Pegaso, il cavallo alato nato dal sangue di Medusa, appena decapitata dall’eroe. Perseo vede dall’alto una fanciulla incatenata ad uno scoglio, Andromeda destinata a scontare una tremenda pena non per colpa sua ma per la vanità di sua madre, Cassiopea, accanto alla cui costellazione appare anche quella del marito, il re etiope Cefeo. Questo insieme di costellazioni e di miti richiama una fase di transizione epocale, di grande rilievo storico-culturale e cioè il passaggio dal tempo della Grande Madre a quello degli Eroi. Siamo nella fase crescente del patriarcato che si pose già con l’arrivo degli Achei ma che si impose definitivamente con quello dei Dori. Infatti Medusa e Cassiopea rappresentano solo due dei numerosissimi riflessi della Grande Dea qui reinterpretati, però, in senso negativo. Tra il 1200 e il 900 a.C., soprattutto in seguito all’invasione dorica, si ebbe un capovolgimento della sfera dei valori e dei ruoli. Se prima erano creatrici e positive le Grandi Dee, poi divennero creatori e positivi gli dei di sesso maschile. Moltissime di quelle che prima erano dee madri diventarono dee vergini, come accadde ad esempio, ad Athena e ad Artemide. E a proposito del rapporto tra il giorno e la notte, provate ad esporre per un’ora una posa fotografica, con obiettivo tutto aperto sul cielo notturno senza Luna e senza luci artificiali nei dintorni. Vedrete che sarà come se aveste puntato l’obiettivo sul Sole splendente. Gli scienziati la chiamano: luce siderale. Tutto, nel cosmo, sembra contenere energia e l’energia parla anche con il linguaggio della luce. Archetipicamente e simbolicamente possiamo concepire anche questo fenomeno come armoniosa coincidentia oppositorum e ciò rimanda ancora ai principi assoluti di armonia, alla complementarietà del maschile e del femminile, alla sintesi tra il giorno e la notte, parallelamente ad un’ottica di assoluta corrispondenza tra macro e micro - cosmo. Tutto ciò nel connubio perfetto tra estetica ed etica, secondo canoni già intuiti ai perduti tempi del "sacro", e contemplati e diffusi da simboli e miti che nel firmamento stellato trovarono sublimi rappresentazioni. Ancor oggi, assieme alle strabilianti e continue acquisizioni astronomiche, in cui meglio si riconosce il nostro attuale spirito di ricerca, possiamo anche provare, affidandoci per un attimo al più innocente degli sguardi, una grande pace insieme, tuttavia, ad una sorta di inquietudine. Ciò sembra l’effetto di un richiamo che giunge da molto lontano, dai tempi del sentire mitico, che può consentirci di cogliere qualcosa di quel senso del sacro, forse mai del tutto perduto, e di quel sublime senso del mistero, verso cui la volta stellata sembra guidarci perennemente. Vincenzo Guzzo
Inserito il 14 Dicembre 2010 nella categoria Relazioni svolte
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