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Mens sana in corpore sano. Nausicaa ritorna

Le esibizioni sportive nel mondo greco e in quello romano. Ne ha parlato a lungo il prof. Antonino Tobia

Relatore: Prof. Antonino Tobia

 Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro». (Scritti corsari. Pier Paolo Pasolini)

 

[b]Oggi il calcio s’inserisce nel mondo dello sport come attività egemone, in quanto rappresenta la sintesi di un progetto, che richiede un’organizzazione fisica e mentale, muscolare e psicologica. Nessuna azione può essere vincente se non è coordinata con i compagni. Se è un solo giocatore a gettare la palla in rete, questo risultato è la sintesi perfetta di una tesi e di un’antitesi. La sacralità del calcio, di cui scrive Pasolini, deriva dalla stessa sacralità che dai tempi mitici accompagnava le gare sportive, legate tutte a particolari momenti religiosi. Il vincitore era celebrato da poeti e scultori e assumeva l’aureola di un semidio.[/b]Nel libro V dell’Eneide, Virgilio descrive i 'Ludi di Enea'. Il paesaggio è quello delle pendici del monte Erice, il pianoro che prese successivamente il nome di Pizzolungo, dal roccione isolato e appuntito che caratterizza la zona.Enea per la seconda volta di ritorno da Cartagine, dopo avere sedotto e abbandonato Didone,  approda nel litorale ericino e qui organizza i giochi funebri per commemorare il padre Anchise che l’anno precedente in questi luoghi era spirato, sotto lo sguardo amorevole di Afrodite, sua sposa e madre di Enea, dall’alto del tempio a lei dedicato. Qui Anchise era stato sepolto e oggi una misera stele, in una landa informe, ricorda ai posteri distratti il mitico avvenimento. Non sappiamo se Virgilio praticasse qualche sport e se amasse frquentare gli stadi. Forse si accompagnava qualche volta al suo amico e protettore Ottaviano che, a detta di Svetonio, amava le competizioni sportive e soprattutto era patito di pugilato, al punto che gli piaceva assistere ai litigi spontanei dei ragazzotti romani che per le vie della città si prendevano a pugni non certo con intenti sportivi. Il poeta mantovano, se non praticava alcuno sport, certamente doveva avere competenze sportive. È un fatto che nel libro V avverta il bisogno di indugiare nella descrizione deli  ludi, non come semplice osservatore, ma come abile  commentatore sportivo.Ogni attività sportiva ha bisogno del suo pubblico, che non funge solo da cornice, ma in alcuni momenti diventa esso stesso protagonista della gara con i suoi applausi, le grida di incitamento, le fischiate e le urlate a squarcia gola, le ola dei nostri giorni da parte degli spettatori che imitano l’andamento sinuoso dell’onda alzandosi e risedendosi a turno conle braccia protese.Le gare organizzata dal pio Enea si svolgono con una enorme partecipazione di pubblico vociante, accorso in parte per conoscere gli  Eneidi, in parte per iscriversi alle varie gare:

[b]laetocomplebantlitoracoetu[/b]

[b]VisuriAeneadas, pars et certare parati. (vv. 104-108) [/b]

 

[b]Tra i giochi in gara,  Virgilio descrive il carosello equestre dei giovani, l’incontro di pugilato, la corsa campestre, la regata delle navi. Non si fa cenno ad alcun gioco in cui intervenga anche la palla. Forse mancava il terreno adatto ad una simile competizione o forse perché questo sport mancava di un suo statuto o non rientrava nel rituale dei giochi funebri. Il gioco della palla era sicuramente noto, se già Omero nell’Odissea aveva narrato come Nausicaa giocasse allegramente a palla con le sue compagne, nell’attesa che i panni del suo corredo nuziale, sciorinato al sole, si asciugassero (Od. 6.100).  I greci chiamavano la palla sphaira, in analogia alla forma dell’astro solare e delle sfere celesti, che identificavano col medesimo termine.Nel mondo greco le pratiche sportive erano organizzate in particolari momenti dell’anno e i vincitori delle gare riscuotevano enorme fama e venivano glorificati con monumenti statuari eretti nelle piazze della città: si pensi ai Bronzi di Riace, eroi sportivi di allora,  agli onori tributati dai napoletano a Maradona oggi, il cui culto si è aggiunto a quello di san Gennaro.[/b]Pindaro, uno dei più grandi poeti della lirica corale greca, vissuto tra il VI e il V secolo a. C. , celebrò nei suoi epinici i successo di tanti atleti. Famose sono le sue odi olimpiche.Nell’Olimpica I, Per Ierone di Siracusa, vincitore nella gara del corsiero, leggiamo il seguente frammento:

[b][…]Ma tra coloro che[/b]

[b]debbono morire,[/b]

[b]perché mai un uomo[/b]

[b]dovrebbe lasciar passare[/b]

[b] una vecchiaia ingloriosa[/b]

[b]giacendo inutilmente[/b]

[b]nel grigiore,[/b]

[b]privo[/b]

[b]di tutti i piaceri ?[/b]

[b]Ma per me[/b]

[b]c’è da affrontare[/b]

[b]questa gara,[/b]

[b]tu dunque concedimi[/b]

[b]felice esito. […] (Olimpica I, vv.84-87)  [/b]

[b]Gareggiare significava mostrare la propriaaretè, ma anche elevare un inno di ringraziamento a Zeus, datore di vita. [/b]

[b]Le Olimpiadi si svolsero per la prima volta nel [/b][b]776 a.C. Venivano indette ogni quattro anni e durante il loro svolgimento giungevano ad Olimpia atleti da ogni parte della Grecia e venivano sospese le guerre. Inizialmente le Olimpiadi prevedevano soltanto la corsa a piedi. Successivamente compresero anche altre gare: la lotta, il pugilato, l’equitazione, il cosiddetto pentathlon, che racchiudeva cinque prove atletiche (stadion, gara di velocità su una distanza di 176 m.; lancio del disco; lancio del giavellotto; salto in lungo; lotta greca).[/b]Oltre alle Olimpiadi si celebravano in Grecia altri avvenimenti sportivi come le Pitiche, dedicate ad Apollo; le Nemee, dedicate a Zeus e le Istmiche, dedicate a Poseidone (Dio del mare). Molti termini sportivi, ancora oggi usati, sono di derivazione greca (atleta, palestra, ginnasio). Gli atleti greci erano tutti di sesso maschile, gareggiavano nudi e perciò era vietato l’ingresso negli stadi alle donne. Nell’antica Grecia le donne non partecipavano alle gare sportive, almeno che la gara non avesse un carattere religioso. Solo a Sparta le atlete potevano gareggiare liberamente in competizioni pubbliche. Pausania, storico e geografo greco delII secolo, autore dellaPeriegesis della Grecia, riferisce di una gara di corsa al femminile ad Olimpia, organizzata a sfondo religioso.Plutarco nella Vita di Licurgo  c’informa che il famoso legislatore spartano aveva previsto che le donne si esercitassero nella corsa, nel lancio del disco e del giavellotto e persino nella lotta, al fine di garantire la nascita di figli robusti e un adeguato allenamento per le madri che dovevano affrontare i travagli del parto.A Sparta erano stati istituiti 'ginnasi' femminili, in cui le fanciulle preparavano i loro corpi alla resistenza fisica attraverso le esercitazioni atletiche.Per i Greci, in generale, l’esercizio fisico era inteso come cura del corpo, come dimostrazione di coraggio, di agonismo e come educazione etica alla lealtà. Lo sport era avulso da finalità pratiche e di guadagno, ma solo votato alla gloria, celebrata dai poeti e immortalata dagli artisti.Ateneo di  Naucrati, erudito greco (II-III sec), tra i preziosi frammenti di autori e di opere perdute che ha conservato nella sua opera Sapienti a banchetto (deipnosofisti), a noi pervenuta, riporta un frammento del commediografo Antifane (IV sec. a. C.), in cui il poeta indossa gli abiti del cronista e riferisce alcuni momenti della partita di calcio: 'Presa la palla, la passava ed era gioioso, evitava un avversario e ne faceva cadere a terra un altro. Quindi allungava il braccio per aiutare il compagno a rialzarsi' intanto si alzavano le grida della folla che occupava la curva dello stadio: 'Fuori, Palla lunga, Alta, Bassa, Palla corta, Passala dietro'. Si trattava di una partita diepiskyros (con palla ovale), una gara a squadre, giocata in campo aperto senza un punteggio da assegnare.

[b]Giulio Polluce (II sec.), grammatico e lessicografo, in un frammento della sua opera Onomastikon, descrive i particolari del gioco: due squadre gareggiavano in uno spazio delimitato da tre linee segnate a terra col gesso: la prima linea divideva il campo in due, mentre le altre due segnavano il confine alle spalle di ciascuna squadra. Il punto veniva assegnato a chi riusciva a mandare la palla oltre la linea tracciata sul retro degli avversari. Il gioco era chiamato anche sphairomachia, perché con il lancio riuscito si conquistava il campo dell’altra squadra.[/b]I latini conoscevano diversi tipi di palla: ilfollis(Marziale,12,82.5), simile al nostro pallone pieno d’aria;la pila trigonalis, cosiddetta perché era gestita da tre giocatori disposti a triangolo (Marziale, 14.46.tit.); la paganica de pila (Marziale, 14.45), che consisteva in una piccola palla imbottita di piume o di lana;[b]lo harpastum(Marziale, 19.6), dalla radice del verbo greco harpazein (ghermire). Il giocatore doveva durante la competizione sottrarre all’avversario questa palla imbottita di lana o di stoppa. Era simile allaspheromachiadei greci. Ogni squadra era composta di dodici elementi. L’epigrammista Marziale (I-II sec.) definisce questo gioco pulvirulentum, dal momento che i giocatori nella foga della corsa sollevavano tanta polvere del campo sterrato. Per il poeta si trattava di uno sforzo eccessivo, di un vano labore cioè  di una sciocca fatica, che consisteva nel lanciare la palla oltre la linea del campo avversario. Il moralista, inoltre, fustiga il costume di una certa Filise, una prostituta che addirittura giocava a palla in mutande (ep. 67 v. 4: harpastoquoquesubligataludit), subligar era la fascia che copriva l’inguine (Plinio, Nat. 12-59, Marziale, 3.87.4).[/b]Si nota facilmente come il gioco della palla si svolgesse in vari modi con particolari azioni che ricordano il calcio moderno, ma anche il rugby e il football americano. Il gioco a squadre, come l’harpazo non era solo polveroso, ma anche abbastanza violento e pericoloso, se si pensa che i giocatori non erano ben equipaggiati per proteggersi dalle cadute o dai colpi dell’avversario. Ciononostante,  la partecipazione non era interdetta alle donne. Se i Greci associavano i giochi alle feste in celebrazione delle divinità, per i Romani le gare avevano un risvolto laico: gli stadi non erano luoghi aperti al rito, bensì al divertimento delle folle. In più, i giochi più violenti, che richiedevano uno sforzo muscolare più intenso, servivano ai gladiatori per esercitarsi e ai soldati che stazionavano negli accampamenti erano utili per mantenersi in allenamento.I Romani, a differenza dei Greci, i cui giovani atleti si esercitavano e si esibivano nudi nei ginnasi (gymnos = nudo),  non ammettevano le nudità degli atleti negli stadi. Gli spettacoli erano numerosi e aperti a tutti i cittadini e per lo più gratuiti. I giochi, numerosi a Roma, assunsero verso la fine della repubblica e soprattutto negli anni dell’impero un aspetto sempre più fastoso, cruento e spettacolare, atto a soddisfare i bassi istinti del popolo.'Panem et Circenses' gli imperatori offrivano alla plebe romana, per sfamarla e divertirla e soprattutto per guadagnarne il consenso. Anche Frontone (100-166), come Giovenale (I sec. d. C.), condannava i bassi istinti della plebe romana, cui interessavano soltanto annona et spectacula, vitto e spettacoli, lontani quest’ultimi dalla sobrietà repubblicana. Il calendario romano vantava una vastità di feste e celebrazioni e giochi quasi un giorno su tre. Negli stadi e nei circhi il popolo accorreva numeroso dando vita frequentemente a fenomeni di violenza legati alla tifoseria.Lo storico latino Tacito, negli Annali libro XIV, ci riferisce che un futile incidente provocò un orrendo massacro tra gli abitanti di Nocera e quelli di Pompei, durante un combattimento di gladiatori. Cominciarono a volare, prima parole ingiuriose, poi pietre e si finì con il venire alle armi. Il senato, a causa di quell’incidente, vietò alla città per dieci anni gli incontri sportivi, mentre gli organizzatori dei giochi furono mandati in esilio. Nella Satira X di Giovenale si legge il detto, ormai famoso: 'Men sana in corpore sano'. Non era certo la registrazione del modus vivendi del popolo romano.  I Romani erano più tifosi che sportivi, come lo siamo noi. Più che praticare l’attività sportiva, amavano assistere alle esibizioni altrui. I giochi preferiti erano le lotte dei gladiatori, i combattimenti con le bestie, le naumachie, le corse di carri, con intermezzi di mimi e pantomime Dalle testimonianze di Seneca e di Petronio risulta che i Romani conoscessero il gioco della palla, anche se le regole del gioco non ci sono state da lui tramandate. In una delle Epistolae ad Luciliumdi Seneca (1,7,1-5), il filosofo lamenta gli spettacoli immorali e violenti che venivano organizzati a Roma, ma di questi sicuramente non faceva parte il gioco della palla, che il filosofo indica con diverse espressioni 'pilammittere, accipere, remittere, repetere' (De beneficis 2.17.3).Casu in meridianum spectaculum incidi lusus exspectans et sales et aliquid laxamenti, quo hominum oculi ab humano cruore adquiescant: Contra est.( Seneca,Epistula ad Lucilium, 1, partim) .Ma ancora prima di Seneca, Cicerone nel De Oratore, usava l’espressione 'Pilae studio tenere (essere appassionato del gioco della palla)' (3.8). Generalmente sia Orazio e poi ancora Petronio usavano dire 'Ludere pila (giocare a palla)'.Nella letteratura italiana, Leopardi ci ha lasciato una canzone scritta nei suoi anni giovanili:A un vincitore nel pallone. Fa parte delle canzoni civili in cui il poeta celebra le azioni eroiche. In questo caso il poeta non interviene direttamente su come si svolgeva il gioco del pallone, ma si limita a celebrare la virtù eroica del vincitore sulla scia di Pindaro che celebrava i vincitori del giochi olimpici: […]Magnanimo campion[…]

[b]Te l’echeggiante arena e il circo, e te fremendo appella[/b]

[b]ai fasti illustri il popolar favore;[/b]

[b]te rigoglioso dell’età novella[/b]

[b]oggi la patria cara[/b]

[b]gli antichi esempi a rinnovar prepara[…] (vv. 8-13).[/b]

[b]Leopardi non ha conoscenza del calcio come lo si intende oggi, ma si riferisce al gioco del pallone col bracciale o della pallacorda, diffuso nelle Marche e soprattutto a Macerata, dove esiste ancora oggi il bellissimo sferisterio. Il pallonista famoso celebrato dal poeta di Recanati era originario di Treia, cittadina in provincia di Macerata, e si chiamava Carlo Didimi. Il gioco pare avesse in comune qualcosa col tennis. A Treia si svolge ancora oggi la Disfida del bracciale con squadre di tre o quattro giocatori che rappresentano i colori delle diverse contrade cittadine, come per il Palio di Siena. Questo è uno dei giochi sferistici di squadra più antichi, molto popolare in Italia fino al 1921. I pallonisti professionisti erano tra gli atleti più ricchi del mondo, accanto ai toreri spagnoli e ai lottatori di sumo giapponesi.[/b]Umberto Saba al gioco del calcio dedica ben cinque poesie. Il poeta coglie nel gioco del calcio la metafora del gioco della vita. Le passioni che si consumano sul campo verde, ma anche sugli spalti dove prendono posto i tifosi, sono ritratte con profonda intuizione psicologica. Così con tratti rapidi coglie i momenti più salienti di una partita, forse la prima cui assistette per far contenta la propria figliola. Giocava la sua squadra, la Triestina. L’ingresso in campo delle squadre, l’attesa del portiere, attento alla direzione del pallone, il momento del goal, l’esultanza dei tifosi scorrono come fotogrammi di una videoripresa. Drammatica è la rappresentazione del portiere che non è riuscito a parare il tiro avversario. È disperato, si abbatte al suolo e nasconde il volto per non vedere ‘ l’amara luce ‘.

[b]Goal[/b]

[b]Il portiere caduto alla difesa
ultima vana, contro terra cela
la faccia, a non veder l’amara luce.

Il compagno in ginocchio che l’induce
con parole e con mano, a rilevarsi,
scopre pieni di lacrime i suoi occhi.
La folla - unita ebrezza - par trabocchi
nel campo. Intorno al vincitore stanno,
al suo collo si gettano i fratelli.
Pochi momenti come questo belli,
a quanti l’odio consuma e l’amore, 
è dato
, sotto il cielo, di vedere.
Presso la rete inviolata il portiere
- l’altro - è rimasto
. Ma non la sua anima,
con la persona vi è rimasta sola.
La sua gioia si fa una capriola,
si fa baci che manda di lontano.
Della festa - egli dice - anch’io son parte.
[/b][b][/b]

Il calcio ha dato vita anche ad un suo specifico linguaggio, con una mescolanza di metafore, neologismi e anglicismi. Così,  il ‘calcio d’angolo’ diventa ‘corner’, la ‘traversa è ‘cross’, l’allenatore è il ‘trainer o coach’, il ‘fuorigioco e ‘off-side’, la ‘rete’ è ‘goal’ e il ‘commissario tecnico’ è il ‘manager’. La ‘melina’ sta ad indicare il continuo e lento passaggio della palla tra i giocatori della stessa squadra al fine di fare scorrere momenti preziosi per mantenere il risultato acquisito, oppure per dare adito ai giocatori di riprendersi dalla fatica. Il codice linguistico anglosassone naturalmente ha conquistato il gioco del calcio, dal momento che il football è nato in Inghilterra e le regole  furono codificate  ufficialmente il 26 Ottobre 1963 dai capitani e dai rappresentanti di diverse squadre di Londra e sobborghi. Addirittura, nel racconto breve di James Joyce 'Eveline', scritto nei primi anni del ‘900, si hanno dei riferimenti  al gioco del calcio. Scrive l’autore del famoso Ulisse:Eveline è una ragazza di 19 anni che ha l’opportunità di cambiar vita, ma non se la sente di lasciare la famiglia che vive a Dublino. Un giorno si sentiva alquanto depressa e, mentre stava riflettendo sulla sua vita affacciata alla finestra, vide alcuni ragazzi chr giocavano a football…Lo scrittore ricorre all’immagine del calcio per contrapporre la vitalità  e il dinamismo dei giovani calciatori con la scialba apatia di una vita inerte.Forse può sembrare  azzardato avvicinare il calcio alla filosofia. Tuttavia qualche spunto filosofico questo sport lo suggerisce. Pensiamo al ruolo difficile del portiere, il quale si trova in una continua tensione psicologica, perché deve sempre scegliere come disporsi all’interno dell’area della porta. Questo suo perenne 'Aut-Aut' ricorda da vicino il pensiero di Kierkegaard: uscire o restare in porta? E soprattutto, il dilemma si fa più drammatico  e aumenta l’indecisione se è chiamato a parare il rigore: lanciarsi a destra o sinistra? Angoscia prima e dannazione dopo assalgono il suo animo se il rigore non è stato parato. La medesima condizione psicologica è quella vissuta da chi è chiamato a tirare il rigore. Entrambi passano dall’angoscia all’esaltazione massima se ottengono il risultato desiderato. In questo caso in essi prevale la volontà di potenza del superuomo nietzschiano.Eppure il calcio, oltre ad esprimere i moti dell’animo, risponde ad una sua interna razionalità, che l’allenatore organizza prima di ogni incontro con calcoli strettamente geometrico-matematici. Se la palla è rotonda e quindi si presta a tante varianti, l’allenatore fa in modo che i suoi studi tecnici possano decidere favorevolmente le sorti di una partita. Così stabilisce la posizione che i giocatori devono tenere in campo e anche chi dovrà tirare eventuali rigori, perché ne conosce l’abilità di conferire al tiro il giusto effetto parabolico. Così pure, viene accuratamente scelto il giocatore che sarà di volta in volta  impegnato nei calci d’angolo. È qui che entrano in gioco i seni e i coseni, le tangenti e le cotangenti e il moto uniformemente accelerato del pallone.

C’è una grande legge fisica dietro ogni piccolo gesto del calcio, come spiegano Nicola Ludwing e Gianbruno Guerriero in 'La scienza nel pallone'. Ce n’è una dietro il famosissimo 'cucchiaio' di Totti: si chiama effetto Magnus, dal nome del fisico tedesco che scoprì condizioni ed effetti della variazione di una traiettoria di un corpo rotante in un fluido in movimento. In un linguaggio meno tecnico, colpendo la palla 'di taglio' il calciatore le imprime una più o meno accentuata incurvatura della traiettoria.Non sempre il fenomeno sportivo è stato visto come un momento di gioia, di festa, di integrazione, di socializzazione.Nel 1936, per esempio, i tedeschi trasformarono l’Olimpiade di Berlino in una grandiosa manifestazione di propaganda nazista. Fu quella l’ultima edizione delle Olimpiadi  prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Riprenderanno nel 1948 con i Giochi olimpici di Londra e nel 1960, Roma fu la sede delle Olimpiadi.La violenza è un fenomeno purtroppo diffuso in ogni attività sportiva, ma soprattutto nel calcio. La violenza la si vede tra i tifosi che lanciano fumogeni, petardi, e oggetti vari durante le partite, non per esprimere sani sentimenti di tifoseria, ma per dare sfogo ad atti vandalici e a scontri fisici. Anche i giocatori stessi a volte cedono alla violenza, quando non accettano le decisioni dell’arbitro. La violenza non mira a suscitare idee e valori, non risponde alla logica di causa ed effetto, ma solo esprime la parte più animalesca dell’uomo, quando il super-io e l’io non sono più capaci di contenere quello che Freud definisce Es. La vittoria e la sconfitta generano sentimenti opposti, che in termini freudiani corrispondono alla dialettica eros-tanathos, nel cui ambito si dipana la nostra esistenza.Il calcio resta lo sport più popolare in Italia e nel mondo, ancor più oggi che il calcio femminile è stato riconosciuto a livello professionale, assicurando alle calciatrici di serie A uno stipendio adeguato, lontano, tuttavia, dai compensi milionari dei loro colleghi.  Le brave calciatrici hanno ancora una volta smentito le false insinuazioni del pensiero maschilista: Il calcio non è per signorine, frase (riportata da Gianni Brera) che risale al 1909, pronunciata dal mediano Guido Ara della Pro Vercelli.Il calcio femminile, come sport agonistico tra squadre, nasce negli anni della prima guerra mondiale in Inghilterra. Gli uomini erano impegnati al fronte e le donne, che nelle fabbriche avevano sostituito gli operai, nell’orario di pausa cominciarono a giocare co pallone. Nacque così la prima squadra di calcio femminile con le ragazze della fabbrica Dick Kerr, da cui il nome Le signoredel Kerr. In Italia il calcio femminile prese il via dopo la seconda guerra mondiale con le prime due squadre femminili costituitesi a Trieste nel 1946. I Triestini utilizzarono le due squadre per levare alta la loro voce d’italianità. I cittadini della Venezia Giulia non poterono partecipare alle elezioni dell’Assemblea Costituente. Il 10 febbraio del 1947 fu firmato il Trattato di pace dell’Italia, che istituì il Territorio Libero di Trieste.Il 27 agosto ha preso il via il campionato di serie A di calcio femminile 2022-23. Le donne ancora una volta hanno occupato il sacro recinto dei maschi.Se noi tutti, tifosi e non, conosciamo i nomi di Maradona, Pelè, Ronaldo, pochi sanno che la migliore calciatrice del mondo nel 1995 è stata eletta l’italiana Carolina Morace, nata a Venezia nel 1964.Nausicaa è tornata a giocare a palla con le sue amiche, e questa volta non stupirà solo Ulisse, ma quanti credono nello sport e sanno ammirare con rispetto e passione  ogni atleta che si cimenta in un agone sportivo.prof. Antonino Tobia

Autore Legre

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Inserito il 17 Febbraio 2023 nella categoria Relazioni svolte