'La ricerca della verità e la lotta contro le bugie' è il tema che il prof. Antonino Tobia ha affrontato nella sua relazione densa di riferimenti storici e appropriate riflessioni
Relatore: Prof. Antonino Tobia
La ricerca della verità e la lotta contro la bugia
Le bugie hanno le gambe corte, ma sono veloci e vanno lontano. Nel momento in cui Eva cedette alle parole ingannevoli del serpente, inostri progenitori furono cacciati dall’Eden e il mondo cominciò a popolarsi di bugie. Adamo ed Eva allora scoprirono che la veritas non poteva andare in giro nuda, ma andava coperta.
Presso gli antichi Greci la parola menzogna rispondeva al vocabolo pséusma e pseudés era il bugiardo, che il padre Zeus, divinamente bugiardo, non proteggeva, come ci fa sapere Omero nell’Iliade. In italiano tale lessema è stato recepito soprattutto in parole composte della terminologia scientifica, ed indica somiglianza apparente o ingannevole (pseudoangina, pseudoartrosi, pseudodramma, ecc.). La bugia è mancanza di verità o espressione ingannevole, come ci suggeriscono ancora una volta i Greci:alétheia è la verità, formata dall’ alfa privativo e dalla radice del verbolanthànocol significato di nascondere; la verità, quindi, non si nasconde, non sfugge all’osservazione, ma manifesta ciò che è la realtà effettuale. La lingua italiana ricorre a due termini per significare ciò che è falso: bugia, dall’antico termine provenzale bauzia e menzogna, dal latino mendacium. Né la lingua greca né la latina né la lingua del sì vengono oggi usate per dichiarare falsa una notizia; infatti, l’espressione che prevale nella stampa e nel conversare comune risponde all’aggettivo inglese fake, da cui fake news, false notizie, informazioni, inventate, pseudonotizie.La storia dell’umanità galleggia su un mare di bugie e di menzogne. C’è chi ama vivere tra le bugie, perché ne trae vantaggio, c’è chi è vittima della bugia, c’è chi crede di vivere nella verità e, al contrario, è immerso in una nuvola di menzogne e, quando se ne rende conto, cerca disperatamente di ritrovare la sua identità con ogni mezzo, come avviene a Vitangelo Moscarda, il protagonista di Uno nessuno e cento mila di L. Pirandello, che, per strappare dal suo volto le centomila maschere a lui attribuite, decide di ritrovare la sua unicità escludendosi dal mondo.
Nell’Iliade Ulisse inganna i Troiani ricorrendo al cavallo di legno che nascondeva nel suo ventre gli eroi achei. Ad Omero, il figlio di Laerte non appare menzognero ma abile, uomo che sa usare bene la méthis, cioè l’ingegno, la scaltrezza.Così pure tutte le volte che supera la forza bruta di Polifemo, l’ingannatrice Circe o il canto melodioso delle Sirene non viene giudicato pseudés, bensì uomo dal multiforme ingegno, dotato di méthise perciò caro ad Athena, la dea della sapienza. Di diverso parere è, invece, Dante che colloca Ulisse nella bolgia dei consiglieri fraudolenti, accusato del furto del Palladio e dell’inganno del cavallo di Troia. La scelta etica dell’Alighieri risponde alla sua concezione cristiana della vita, opposta a quella del mondo greco, che celebrava la virtù dell’uomo in senso umanistico (areté). Dante riconosce al figlio di Laerte il possesso di virtute e canoscenza, ma queste doti non lo salvano dalle fiamme dell’Inferno. Dante lo relega tra le anime dei consiglieri fraudolenti, punito soprattutto per la sua tracotanza, la hybris, che lo ha spinto a tentare il folle volo solo con argomenti umani.
Una nobile menzogna è il mito, che nasce ancor prima della filosofia. I nostri antenati si immergevano in fantasiose narrazioni vaghe e indistinte, di per sé poetiche,che rispondevano all’esigenza di spiegare i fenomeni naturali e il significato stesso della vita. Esiodo crea l’Olimpo dei Greci con la sua Teogonia, Platone inventa il mondo iperuranico delle idee e della perfezione, contrapposto alle copie imperfette del mondo contingente.Platone ricorre al mito come a una forma letteraria-filosofica per spiegare in modo verosimile e attraente ciò che non può essere spiegato razionalmente. Nella Repubblica introduce il mito di Er, un soldato morto in guerra e resuscitato, per descrivere il mondo dell’aldilà con argomenti orfici e pitagorici, rivisitati successivamente dalla religione cristiana. Col mito della caverna affronta il tema della vera conoscenza, diversa dalle false percezioni, che ingannano l’uomo se resta chiuso nella caverna dell’ignoranza, priva della luce del sole, che illumina la verità. Nel Simposio Platone affronta il tema dell’eros, cioè dell’amore. Se per i Cristiani Dio è amor che move il sole e l’altre stelle, creatore non creato, cui tendono tutte le sue creature, per Platone Eros è un antico demone, che sta in mezzo fra il dio e il mortale, cui gli stessi dei sono soggetti, è l’impulso che spinge gli uomini alla ricerca della felicità. Socrate, presente alsimposio, dà su Erosla sua versione ai convitati: Poros, il dio dell’astuzia e dell’abbondanza, durante la festa per la nascita di Afrodite, si ubriacò e della sua ebbrezza approfittò la dea della povertà,Penìa, per unirsi con lui. Così nacque Eros, un essere demoniaco, che risiede nell’anima dell’uomo, e lo spinge eternamente a desiderare la bellezza, di cui è privo,per essere felice. È costantemente filosofo, non 'sofòs', cioè sapiente, ma 'filos', che ama e aspira alla sapienza. In quanto fu concepito il giorno in cui nacque Afrodite, è amante del bello. Eros, come figlio di Penia è povero, disperato, sempre peregrino, pronto a qualsiasi sacrificio; come figlio di Poros è risoluto, astuto, coraggioso, intraprendente, bugiardo. Eros fiorisce e vive nello stesso giorno, a volte muore e poi risuscita. Eros spinge l’uomo ad innamorarsi e la persona di cui ci si innamora appare bella e in lei vediamo la bellezza anche quando la bellezza fisica sfiorisce. In questo caso,l’amante va oltre la bellezza fisica ed è spinto a contemplare la bellezza invisibile della donna amata, perché amore e bellezza non possono essere disgiunti. Questo nuovo impulso che viene dall’amore aiuta l’innamorato ad ascendere alla contemplazione della vera bellezza, quella che si trova al di là di questo mondo, nel mondo delle idee.Si tratta di una favola affascinante, che ha definito quello che ancora chiamiamo amore platonico e che ritroviamo nella concezione della donna-angelo degli Stilnovisti.
Ma come è nata la donna, creatura simile all’uomo, eppure tanto diversa da lui? Anche a questa domanda non si può rispondere che ricorrendo alle belle favole, bugie ingenue che placano in parte il desiderio di conoscenzae di verità. Nella Genesi si legge che la donna è stata plasmata dal Creatore da una costola di Adamo, e perciò essa è carne della sua carne. Dio non scelse una parte della testa dell’uomo, perché la donna non fosse superiore a lui; né trasse la materia dai piedi, perché lei non gli fosse sottoposta; ma decise di utilizzare una costola, perché centrale e vicina al cuore. Nel Simposio, la spiegazione è più articolata. In origine esistevano tre sessi, uno maschile, uno femminile e uno androgino, che possedeva caratteristiche femminili e maschili. Gli esseri umani avevano una forma sferica con due teste, quatto braccia, quattro gambe e due organi sessuali.Tale condizione li rese a tal punto superbi, da sentirsi superiori agli dei e tentarono di scalare l’Olimpo. Per punire la loro arroganza, Zeus li divise in due. Si trovarono così separati, alla ricerca ciascuna dell’altra metà corrispondente. Platone in questo modo afferma che l’amore è uno solo, uno stimolo al desiderio di trovare la metà mancante, definendo naturale il desiderio dell’uomo di unirsi alla donna, se era all’inizio androgino, o alla metà dello stesso sesso, femminile o maschile, a seconda dell’unità originale. Una bella favola, che eticamente giustifica l’eterosessualità e l’omosessualità come istinti naturali e non come vizio, malattia o perversione.
La ricerca della verità è la lotta contro la bugia, specialmente quando questa può condizionale la vita di un uomo. È il caso dei figli adottivi, cui si nasconde la verità della loro nascita. È un classico la vicenda di Edipo, che Sofocle presenta sulla scena della sua tragedia Edipo re.
Abbandonato alle bestie in una foresta, per ordine di suo padre Laio, re di Tebe, cui l’oracolo aveva vaticinato la morte per mano del figlio e le nozze del figlio patricida con la madreGiocasta, Edipo viene allevato alla corte del re di Corinto, Polibo e dalla moglie Peribea. Edipo crede che questi siano i suoi veri genitori finché un suo nemico invidioso non l’accusa di essere un trovatello. Edipo è turbato, vuole scoprire la sua vera identità, e si reca perciò al santuario della Pizia a Delfi. Atterrito dal vaticinio della sacerdotessa, per evitare di uccidere quello che crede essere suo padre e di profanare la madre, decide di non tornare a Corinto , ma di recarsi a Tebe. Edipo così continua a vivere inconsapevolmente vittima della menzogna, che scambia per verità. Ucciderà il padre Laio, da lui non riconosciuto e, sconfitta la Sfinge, entrerà a Tebe, accettando come sposa Giocata.Compiuto l’oracolo, la verità non tarda a venir fuori e quando Edipo scopre di aver vissuto un’esistenza falsa e terribile e viene a conoscenza della verità, il dramma esplode: egli è parricida eprofanatore della madre.La menzogna l’aveva reso potente, la verità lo annienta.Si rende conto che con gli occhi aveva visto fino ad allora una realtà intrisa di bugie, pertanto, quegli occhi andavano strappati e, avviluppandosi nelle tenebre della cecità, avrebbe finalmente ritrovato la verità e se stesso.
Il termine storia deriva dalla radice – F id del verbo greco orào che significa vedere. Lo storico quindi testimonia ciò che ha visto direttamente o ciò che da altre fonti ha appreso. Da qui la necessità dell’attento vaglio delle fonti, per distinguere il falso dal vero.Le menzogne hanno contribuito spesso a celebrare grandi personaggi storici. Lo storiografo scrupoloso avvisa il lettore sul suo metodo d’indagine e lo guida a scindere ciò che è per lui credibile da quanto non lo sia. Prendiamo ad esempio la vita di Alessandro Magno, l’eroe macedone, che si gloriava di essere discendente di Achille da parte della madre Olimpia.
Curzio Rufo, uno dei tanti storici del giovane condottiero, autore delle Storie di Alessandro Magno, unisce nella sua narrazione fatti realmente accaduti e le tante leggende che Alessandro alimentava con bugie inventate allo scopo di ingigantire la sua persona, fino a deificarla. Ma lo storico romano dell’età imperiale precisa: Equidempluratranscriboquam credo: namnecadfirmaresustineo, de quibus dubito, necsubducere, quaeaccepi (9, 1, 34): in realtà riporto più notizie di quelle in cui credo: infatti, né cerco di affermare le notizie di cui non sono certo, né di trascurare quelle che mi sono giunte. Una di queste notizie era che il cadavere di Alessandro, disteso nel sarcofago da sei giorni, non aveva subito alcuna corruzione, nonostante il caldo. Già Erodoto (5° sec. a. C.) storico delle guerre persiane e padre della storiografia greca, aveva dichiarato che egli, in quanto storico, era tenuto a trascrivere quanto veniva detto, ma non era tenuto a credere a tutto. Lo storico della guerra del Peloponneso, Tucidide, al contrario, rifiuta tutte le notizie che non hanno un fondo di verità e sostiene che le bugie, come i miti, vanno bandite dall’analisi storiografica degli avvenimenti, perché traggono in inganno. Il favoloso che si trova in Erodoto rende più piacevole la lettura, perché l’uomo ama essere ingannato. Per Tucidide lo storico deve solo interessarsi alla verità effettuale, anche se talvolta più indigesta.
Nel Crepuscolo degli idoli Friedrich Nietzsche esalta la severa oggettività dello storico greco, per avere rifiutato nella narrazione degli avvenimenti ogni mistificazione. Secondo lo scrittore tedesco, occorre avere il coraggio di guardare in faccia la realtà, evitando menzogne e falsità che ne nascondano il suo essere, perciò gli appare codardo Platone, che si rifugia dal reale nell’ideale, mentre celebra la potenza narrativa di Tucidide, legata esclusivamente al reale, incurante del diletto che il favoloso produce nei lettori. Anche Tacito nelle Historiae seguirà il metodo dello storico greco e annoterà:conquirere fabulosa et fictisoblectarelegentiumanimosprocul gravitate coeptioperiscrediderim (II, 50), riterrei poco serio per l’importanza dell’opera intrapresa, andare alla ricerca di eventi favolosi e dilettare gli animi dei lettori con fatti inventati. Così pure lo stoico Seneca si fa scudiero della verità, che per sua natura è semplice e non ha bisogno di interpretazioni: veritatis simplex oratio est, ideoqueillamimplicari non oportet(Ep. 49, 12), il linguaggio della verità è semplice e non occorre renderlo complicato. Solo la bugia e il discorso ingiusto, poiché sono malati dentro, hanno bisogno di artifici per apparire conformi al vero (Euripide, Fenicie, v. 472).Insomma, L’oscurità del linguaggio è funzionale alla bugia.
La bugia è il mezzo di cui si serve chi vuole ingannare, mirando a far credere vero o falso ciò che vero o falso non è. L’ingannatore aggiunge frequentemente alla voluntasfallendila voluntasnocendi. In determinati contesti storici, la bugia serve a proteggere se stessi; non si tratterebbe quindi di inganno per nuocere, ma di una dissimulazione che Torquato Accetto nel seicento definisce 'onesta'. La dissimulazione onesta si identifica con la prudenza e rappresenta un’arma per difendersi dalla oppressione dei potenti. Acquista un chiaro significato politico il fatto che Benedetto Croce abbia riesumato il libretto di Accetto Della dissimulazione onesta, scritto nel 1641 a Napoli sotto la dominazione spagnola, e ne abbia curato una nuova edizione nel 1928 sotto il regime fascista. L’autore distingue la dissimulazione, intesa come omissione di alcune cose e prudenza nel non dire tutto quello che vorremmo, dalla simulazione che si nutre di falsità e di finzioni allo scopo di ingannare. Accetto tiene presente nella sua analisi Il Principedi Niccolò Machiavelli, ma usa la dissimulazione e non fa esplicito riferimento all’opera del Segretario fiorentino, che era stata messa all’Indice dei libri proibiti dalla Santa Chiesa. I destinatari dei due scrittori erano, comunque, diversi: Machiavelli indirizzava il suo trattatoal Principe, Accetto al popolo. Per Sallustio, la dissimulazione e la simulazione sono due atteggiamenti entrambi negativi di una personalità infida: Catilina, il protagonista del suo trattato sulla Congiura di Catilina, oltre ad essere descritto come subdolo, avido, incostante, è altresì cuiuslibet rei simulator ac dissimulator.
Il personaggio di Iago nell’Otello di Shakespeare è il classico esempio di simulatore e dissimulatore. Egli finge di amare il suo signore: Benché io lo odio come odio le pene dell’Inferno, tuttavia per le necessità della vita devo mostrare una bandiera e un segno d’amore, che in realtà e solo un segno. Dissimulando e simulando rispetto e lealtà, riesce a rovinare la felicità di Desdemona e a vendicarsi di Otello, fiero condottiero militare della Repubblica di Venezia, che Desdemona aveva sposato. Iago odia Otello, perché il Moro ha preferito promuovere luogotenente Cassio al posto suo. Così, senza mentire, organizza il suo piano di vendetta, facendo cadere in inganno le sue vittime.
Una forma di dissimulazione onesta può essere giudicato il comportamento pavido di Don Abbondio, che utilizza il suolatinorumper ingannare Renzo e salvare la sua pelle. La cultura come potere, l’ignoranza come sottomissione.
Un capolavoro della letteratura per ragazzi è il romanzo di Collodi, Le avventure di Pinocchio.Il burattino di Collodi, Pinocchio, incarna il bugiardo per eccellenza. In questo caso, sostengono gli psicologi, le bugie servono al burattino per relazionarsi con il mondo esterno, per coglierne i difetti e giungere alla verità. Il libro letto e amato da tutti i bambini del mondo si rivela, perciò, un processo iniziatico, attraverso il quale la materia si sgretola e gradualmente acquista forma umana.'Le bugie, ragazzo mio, spiega la Fata a Pinocchio, si riconoscono subito, perché ve ne sono di due specie: visono le bugie che hanno le gambe corte, e le bugie che hanno il naso lungo'. A Pinocchio si allungava il naso ogni qualvolta diceva una bugia. Gli psicologi sostengono che i bambini pervengonoal concetto di verità solo dopo avere acquisito la nozione di inganno e di errore, come capita a Pinocchio, che oltre a dirle le bugie, ne subisce di terribili dal Gatto e la Volpe.
È il caso di chiedersi perché tanta gente si ostina a dire bugie. C’è chi mente per acquistare denaro con l’inganno, c’è chi mente su se stesso, esibendo meriti che non possiede. Gli esempi sono tanti. Renzo Bossi mentiva su una laurea che non aveva mai conseguito. Oscar Giannino, giornalista esperto di economia, ha millantato titoli accademici che non possedeva. Valeria Fedeli, senatrice del PD, ministro della Pubblica Istruzione, dell’Università e della ricerca, nel governo Gentiloni, fu accusata di aver mentito sul possesso di titoli scolastici e accademici. Ma oggi si costringe anche il corpo a mentire spudoratamente. Donne del mondo dello spettacolo espongono glutei perfetti, seni sferici e labbra procaci, ingannando la natura del loro corpo. Così pure la moda spasmodica di tatuare il proprio corpo mira ad abbellirne l’aspetto o a segnare sulla pelle un momento di cambiamento nella propria vita. Ma, se queste possono essere definite spiritose invenzioni plastiche, debolezze veniali, o bisogno di comunicare qualcosa che non l’originale non riesce a comunicare, gravissima, per le sue conseguenze di ordine mondiale, è stata la menzogna di George Bush padre e di Collin Powell, segretario di Stato USA,sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Quella bugia mise in moto una enorme macchina da guerra contro il dittatore iracheno.Il potere ha bisogno di circondarsi di alloro e non tollera che la sua immagine possa essere offuscata dalla scoperta di misfatti indecorosi eticamente e vituperabili politicamente. Il caso Wikileaks ne è una prova. Il problema riguarda le bugie che il governo di un grande e potente Paese ha utilizzato per nascondere verità scomode. Gli Usa, ricorrendo anche alla CIA, hanno cercato di eliminare in tutti i modi Julian Paul Assange, giornalista australiano e fondatore della organizzazione divulgativa Wikileaks, accusato di spionaggio per aver pubblicato documenti riservati, riguardanti crimini di guerra commessi dalle forze armate. In un paese che si dichiara democratico per costituzione il processo a Julian Assange si configura come un attentato al diritto della libertà di espressione.
Unesempio remoto di menzogna storica, rilevante per i suoi effetti politici, è offerto dalla Donazione di Costantino.
La Donazione di Costantino era un falso editto, attribuito all’imperatore Costantino, contenente concessioni alla Chiesa di Roma. Tale documento venne utilizzato dai papi per giustificare l’esercizio del loro potere temporale. Si trattava di un testo apocrifo, di cui il filologo umanistaLorenzo Valla testimoniò la falsità, annotando che lo scritto filologicamente non poteva essere stato redatto nel IV secolo. Eppure la bugia continuò a sostenere il potere temporale del papa re, cessato con la breccia di Porta Pia nel 1870.
Il diritto alla libertà di parola rappresenta una conquista democratica di immenso valore. Questo diritto va tutelato anche quando consente la divulgazione di notizie false, che possono risultare di grave nocumento alla collettività. È il caso delle cosiddette fake news che si sono diffuse e continuano a girare sulla pandemia di Covid-19, che da circa due anni flagella la popolazione mondiale. In questi casi occorre che la forza della verità si apra un varco in mezzo alle bugie, ricorrendo all’arma della testimonianza e della persuasione.
Ma di fake news è stracolma la storia dell’umanità. Alcune sono rimaste impresse nella nostra memoria.
La prima bugia storica che da bambini ci insegnavano a scuola era che i re di Roma fossero sette: Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco marzio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo. Poiché la monarchia a Roma durò circa 250 anni, dal 753 a. C., data varroniana della fondazione di Roma. al 509, anno della cacciata di Tarquinio il Superbo e della instaurazione della repubblica, sembra difficile pensare che ogni monarca abbia regnato per una media di 35 anni ciascuno, in un periodo in cui la lotta per il potere si concludeva con l’assassinio del sovrano. Di sicuro, vi saranno stati altri re, di minore importanza o non romani di nascita, o assassinati per tempo, che tennero il potere per alcuni anni. La stessa fine di Romolo è avvolta nella leggenda.Nella Vita di Romolo Plutarco racconta che durante un’assemblea di popolo era scoppiato un terribile temporale che aveva offuscato il sole. La folla impaurita si disperse per trovare riparo, ma quando la bufera cessò e tornò a risplendere il sole, di Romolo non c’era più traccia alcuna. I patrizi convinsero il popolo che il loro re era asceso in cielo e bisognava venerarlo come un dio.Romolo fu divinizzato nella figura di Quirino, dio sabino, che i Romani celebravano durante i Quirinalia, istituiti da Numa Pompilio, succeduto a Romolo. Del resto, anche l’origine del fondatore di Roma era stata dai Romani divinizzata. Si era creata la leggenda che era figlio di Rea Silvia, discendente dell’eroe troiano Enea, e del dio della guerra Marte. Roma non poteva essere stata fondata dal figlio di una lupa, sinonimo di prostituta.
Così pure sarebbe una grossa bugia quella legata alla leggenda dell’iusprimaenoctis: questa usanza di origine medievale era riferita al diritto del feudatario di giacere con le spose dei suoi servi la prima notte di nozze. In effetti, mancano riscontri documentali su tale diritto. La leggenda è nata forsedalla tassa matrimoniale che lo sposo doveva pagare al suo signore, per ottenerne la licenza di matrimonio.Da non dimenticare che, al contrario, durante il fascismo veniva imposta la tassa sul celibato ai maschi che non si sposavano prima dei ventotto anni. La misura legislativa mirava all’incremento del tasso di natalità, con effetti però deludenti.
Anche la frase attribuita a Galileo Galilei 'eppur si move' pare sia stata inventata dal critico letterario del ‘700, Giuseppe Baretti, per salvaguardare la dignità dello scienziato pisano, costretto ad abiurare le sue tesi sull’eliocentrismo dinanzi al tribunale dell’Inquisizione. Baretti, nella sua antologia, The italianlibrary, pubblicata a Londranel 1752, tra l’altro scriveva sulla vicenda di Galileo: Quando fu liberato, egli alzò lo sguardo al cielo e giù verso terra e battendo il piede, con animo contemplativo disse: Eppur si move, intendendo la terra … stillitmoves, meaning the earth'.
Nell’anno in cui si commemora il padre della lingua italiana, non si può non menzionarlo riguardo al tema che qui si tratta. Dante dedica il trentesimo canto dell’Inferno ai bugiardi e ai falsari, collocandoli nella decima bolgia dell’ottavo cerchio.Tra i dannati il poeta focalizza con una lente speciale l’anima di maestro Adamo, condannato per avere coniato monete false per i conti Guidi di Romena. I suoi signori, infatti, l’avevano spinto a coniare i fiorini d’oro, togliendo a ciascuna moneta tre dei ventiquattro carati, sostituiti con vile metallo. Scoperto l’inganno e catturato fu arso vivoa Firenze nel 1281 Dante aveva allora sedici anni e probabilmente aveva assistito al rogo. Il poeta assegna ai falsari pene di diverso genere, a seconda del tipo e della gravità della falsificazione compiuta. Maestro Adamo è affetto dall’idropisia, che gli deforma in modo grottesco l’ immagine a forma di liuto. Il ventre enorme gli impedisce di spostarsied è per di più tormentato da un’ incessante sete, accresciuta dall’odio che prova per i signori che lo indussero a 'batter li fiorini/ ch’avevan tre carati di mondiglia'. A questo punto, Dante chiede a maestro Adamo chi siano le anime che gli stanno accanto. Egli risponde che si tratta di due falsari della parola, due bugiardi che mirarono al male altrui. Si tratta della moglie del dignitario egizianoPutifarre, la qualeaveva accusato ingiustamente il giovane Giuseppe, schiavo del marito, di averla insidiata. Si era così vendicata per essere stata respinta. Caso analogo all’amore disperato di Fedra, moglie di Teseo, invaghitasi vanamente del figliastro Ippolito. L’altra anima, che sta alla destra di maestro Adamo, è quella di Sinone, il grande bugiardo che aveva convinto i Troiani ad accettare il cavallo di legno come dono propiziatorio a Posidone, Egli, fingendo chei Greciavevano deciso di porre fine alla guerra decennale, aveva fatto credere ai Troiani che era fuggito per sottrarsi ad un’ingiusta condanna a morte. Nell’ordine della tipologia dei falsari, Dante pone due soggetti, falsari della persona, con i quali apre il canto XXX: Mirra, personaggio mitologico greco, 'scellerata che divenn/ al padre, suo del diritto amore, amica/ . Questa a peccar con esso così venne,/ falsificando sé in altrui forma'. La passione incestuosa di Mirra ha ispirato una delle tragedie meglio riuscite di Vittorio Alfieri. Contemporaneo di Dante è invece l’altro personaggio, Gianni Schicchi, anch’egli falsificatore di persona. Schicchi era un cavaliere fiorentino, famoso per le sue simpatiche imitazioni di amici e concittadini. Avvenne che, essendo Buoso Donati moribondo, vedovo e senza figli, col rischio che lasciasse tutti i suoi notevoli beni al vicino convento dei frati, Gianni fu richiesto dal nipote Simone di intrufolarsi nel letto dello zio moribondo, e sotto mentite spoglie di dettare un testamento a suo favore dinanzi al notaio. A lui, come ricompensa, sarebbe toccata solo la più bella giumenta dell’armento di Buoso, della quale era invaghito. Se Dante non avesse inserito nella bolgia dei falsari questo personaggio, nessuno si sarebbe preso la briga di tramandarne ai posteri il ricordo e non avremmo avuto l’opera comica in un atto di Giacomo Puccini,Gianni Schicchi, di cui ascolteremo in chiusura di questa serata la romanza 'O mio babbino caro', cantata dalla figlia di Gianni, la quale,innamorata di Rinuccio, nipote di Buoso Donati, prega il padre di accettarne la falsificazione.
Mendaciumverbaindignationem omnium proborumhominumexcitant
Trapani, 5 venerdì 2021prof. Antonino Tobia
Inserito il 05 Novembre 2021 nella categoria Relazioni svolte
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