Il prof. Salvatore Corso ha ricordato Marco Augugliaro, il maestro elementare e saggista di storia della città di Trapani
Relatore: Prof. Salvatore Corso
Si riporta qui di seguito la relazione integrale del prof. S.Corso:"Certamente questo maestro elementare va ricordato per aver lasciato traccia di educatore appassionato e di cultore delle memorie della sua città, Trapani.Vi era nato l’11 novembre 1870 ed aveva frequentato la Scuola Normale che dal 1867 era nell’ex Convento dei Crociferi, con annesso un Convitto femminile. Gli si apriva la carriera di maestro elementare che intraprese nelle Scuole elementari maschili nell’ex Convento San Domenico acquistato dal Comune dopo la soppressione degli ordini monastici e riadattato, con una spesa considerevole per renderlo funzionale, nel 1877 quando primo direttore fu l’avvocato Nunzio Nasi (1850-1935). Egli stesso ricorda tra i maestri rinomati Nicolò Di Bella e Antonio Zichichi, della generazione che lo aveva preceduto nell’insegnamento.Sposato con un’ericina minorenne di anni 16, figlia di un possidente e casalinga, Antonietta Maria Ferlito (11 novembre 1880 - 11 gennaio 1943), era costretto, dato lo stipendio ristretto di L. 1120 percepito come insegnante elementare, ad impartire lezioni private per mantenere la sua famiglia che si andava consolidando con i figli, il primo Alberto, imposto dalla consuetudine per 'pagare' suo Rimase vedovo e visse con una figlia nubile a casa, fino alla morte avvenuta il 22 febbraio 1944, dopo pochi mesi dallo sbarco degli Americani a Gela.Che Augugliaro sia stato un maestro dei vecchi tempi, tutto scuola e casa, si evince da due dei tre scritti superstiti e reperibili anche con l’aiuto del figlio della penultima diretta erede, la figlia Caterina, anch’essa defunta, la quale negli ultimi tempi si prodigò a sostenerlo anche nelle sue richieste culturali. Si comprende come il maestro coltivasse da sempre gli studi di storia locale e contemporaneamente non tralasciasse di aggiornarsi sugli aspetti didattici del suo insegnamento. Lo ricordano a passeggio quotidiano con Carlo Guida (1879-1949), medico e primario del reparto dermosifilopatico dell’Ospedale a Trapani, sindaco dal 1920 fino all’avvento del podestà nel settembre 1923, quando si dedicò alle ricerche sulla storia di Trapani di cui approntò alcuni saggi, a parte altri di specifica impronta professionale in Bollettino Medico, una rivista da lui fondata.Proprio per delineare questo maestro e appassionato di storia locale occorre procedere da queste sue specificità, anche perché non rimangono ricordi significativi, pur richiesti indirettamente ai pochissimi nipoti superstiti e sparsi in varie sedi.Nel primo dei due lavori prettamente scolastici, Monografia scolastica, Tipografia Fratelli Messina, Trapani 1903, afferma di attuare un disegno a lungo coltivato e manifestato in famiglia ed in conversazioni amichevoli. L’occasione gli è offerta dalla Legge 19 febbraio 1903 n.45, emanata dal concittadino, da lui ammirato con la maggioranza della popolazione e della classe dirigente, Nunzio Nasi che era divenuto deputato e più volte Ministro, ora della Pubblica Istruzione dal 1901. Il punto di osservazione, da cui esamina le norme della Legge n.45/1903, appare chiaro da un inciso ripreso da un discorso del re Vittorio Emanuele III, che appone in copertina dell’opuscolo e riprende alla fine: Giova al decoro e alla salvezza dello Stato che chi lo serve fedelmente sia, per sanzioni legislative, preservato dall’arbitrio e dal favore e che, nella tranquilla certezza delle proprie sorti, alle oneste fatiche trovi incoraggiamento e sostegno. Appunto il trentenne maestro rivendicava la sua fedeltà e chiedeva di essere incoraggiato e sostenuto contro arbìtri e favori, che sarebbero derivati se il Comune di Trapani non avesse conformato con le nuove norme i suoi regolamenti per la nomina degli insegnanti. La Legge, infatti, aboliva la patente normale inferiore conseguita per effetto della Legge 12 luglio 1896 n.293 e concedeva la patente superiore ai maestri che, come lui, da quel tempo la possedevano. Ciò comportava la fine della differenza di grado nelle scuole elementari, che riservava alle ultime classi i maestri in precedenza forniti della patente superiore. L’equiparazione aveva come conseguenza l’affidamento dell’intero corso elementare, dalla 1ͣ alla 5ͣ classe, ad un solo maestro.Erano esigenze che Augugliaro ricavava dalla pedagogia teoretica appresa e dalla pratica personalmente vissuta. Partiva dai Programmi ministeriali e dalle istruzioni allegate per le cinque classi e rilevava un unico intendimento pedagogico, a parte le materie distribuite gradatamente: svolgere e sviluppare con ordine, con armonia e con determinati mezzi il pensiero e l’azione del fanciullo. Se, ora, la formazione del carattere è il fine, chi nella scuola elementare opera deve svolgere e sviluppare tutte le potenze e le facoltà del bambino. Pedagogia d’avanguardia e non solo relativa al suo tempo, questa, che, come arte dell’educare, si basa sulla fisiologia e sulla psicologia. L’esercizio di tale arte comporta, peraltro, lo studio fisiologico-psicologico fatto sul singolo bambino attraverso procedimenti razionali, per constatare tendenze, bisogni, potenzialità, tanto che si possa raggiungere una conoscenza di tipo scientifico orientata a suggerire e adoperare mezzi adeguati. E come la prima educazione appartiene alla sola madre, così la prima educazione scolastica deve appartenere ad un solo maestro, senza escludere l’aiuto validissimo della famiglia e di altri che favoriscano l’educazione. Maestro unico perché il bambino riceva un’educazione alla fine armonica proprio nell’età dello sviluppo in cui è attivo e potrebbe essere danneggiato dal mutare degli insegnanti impossibilitati a seguirne indole e tendenze; maestro unico che deve impegnarsi affinché ogni grado sia coordinato ed affinché all’educazione individuale corrisponda la socializzazione, a costo di non lesinare il tempo trascorso con i suoi alunni. Ma ciò non può realizzarsi quando il maestro è costretto a lasciarli, dopo due o tre anni, ad un altro metodo d’insegnamento che solo dopo alcun tempo il nuovo maestro saprà adattare. Tanto più che con i programmi d’istruzione s’impongono ritmi quotidiani, mentre taluni alunni stentano ad adattarsi e finiscono per abbandonare la scuola.C’è poi da considerare come la conoscenza del bambino generi, ma solo gradualmente, affetto, autentica potente leva educativa che Augugliaro rimanda all’esperienza personale di ciascuno dei colleghi a cui si rivolge. Ed invita i colleghi a valutare la propria esperienza di alunni, esperienza ossia ricordo del proprio maestro capace, secondo il detto popolare, di pigliarci per il nostro verso. In una classe assiepata, come la prassi imponeva, da cinquanta e fino a settanta bambini, il maestro deve passare dall’istinto protettivo che in ogni padre diviene affetto, a conoscere i singoli come figli. Perché è chiaro per lui che, anche se agli inizi insisterà sul sentimento del dovere, diventerà un buon maestro, artista di mente e di cuore, solo dopo aver constatato i risultati del suo lavoro. Del resto ogni maestro sa che didattica e pedagogia sono collegate a tal punto che con l’affetto riuscirà a farsi intendere più presto e con piacere. Per questo Augugliaro è consapevole che solo gli insegnamenti avvalorati dall’affetto penetreranno come riferimento per la vita. Conoscenza ed affetto, allora, unitamente a rispetto, a costo di sacrifici personali, confidenza coniugata con autorevolezza ossia influenza suggestiva ed invitante al dialogo ordinato e disciplinato, appagamento della curiosità: sono tutti preliminari ad equanimità e giustizia nei confronti di tutti, preludio della soddisfazione provata dal maestro alla fine dell’itinerario educativo in quinta classe. Ed è pur vero che, da parte di ogni alunno, non mancheranno una concezione altissima della scuola ed una capacità di orientamento, sia nel proseguire gli studi sia nel volgersi ad un’arte o un mestiere. Sì, riconosce Augugliaro, sussistono obiezioni contro il maestro unico. Ma la specializzazione e l’abilità raggiunta con l’insegnamento continuativo, sempre nelle classi inferiori o sempre in quelle superiori, possono apparire conformi alla divisione del lavoro ed agli indirizzi nella moderna società, mentre, a detta degli esperti che non manca di citare, generano atrofizzazione delle capacità. Inoltre non vale per la scuola elementare l’insegnamento per materie adottato nelle scuole secondarie, sia per lo sviluppo conseguito dagli alunni che le frequentano sia per le finalità di sviluppo intellettuale che vi prevalgono, quando il maestro elementare, al contrario, svolge tutte le materie e deve dare, per così dire, il battesimo alla prima educazione, sì fisica che intellettuale e morale. Augugliaro con queste espressioni chiude la prima parte e si dedica ad illustrare, in seguito, altre argomentazioni per sostenere il maestro unico. Anzitutto si schiera contro il criterio del merito o anzianità di servizio per il passaggio dalle prime classi al gruppo delle altre. Specialmente ora che con la nuova Legge n.45/1903 anche i maestri inferiori otterranno la patente superiore, automaticamente, e non si dovrà ricorrere, pena grande ingiustizia, a promozioni per merito o per titoli, perché si camufferebbero protezioni e favoritismi nelle mani del Comune da cui dipende la nomina. In più si alimenterebbe il bisogno di intrighi e di servilismo da una parte, mentre dall’altra permarrebbero sfiducia e avvilimento. Atteggiamenti, piuttosto veri atti d’ingiustizia, che si riverserebbero sulla scuola e sui suoi scolari. Il rimedio suggerito da Augugliaro sarebbe estendere ai maestri l’abolizione delle promozioni per merito, ritenuta dannosa per gli impiegati dello Stato nel Memorandum presentato al Ministro delle Poste e Telecomunicazioni il 27 maggio 1903. Tanto più perché i maestri sono dipendenti del Comune, dove sono determinanti le vicissitudini dei partiti locali. Il Comune, poi, da oltre vent’anni ha abbandonato la promozione per esami, sia per pressioni esercitate sulla Commissione esaminatrice composta da cittadini, sia perché non sempre si teneva conto dell’attitudine didattica e dell’abnegazione del candidato maestro. Nel proporre la promozione dal grado inferiore a quello superiore, a norma della Legge n.45/1903, Augugliaro è consapevole che rimarrebbe l’emulazione tra colleghi, accettabile e proficua se non degenera in invidia e se è usata in un clima auspicato di affratellamento e di scambio di metodologie e didattiche. Occorrerà piuttosto incrementare non la divisione dei maestri in tre categorie, perché l’art.1 della nuova Legge stabilisce che i posti debbano essere conferiti a seguito di concorso e non più per nomina ad incaricato e poi effettivo. A ciò si associano questioni retributive che non possono fondarsi sul merito, in quanto ogni maestro, che studia e vuole farsi avanti, può prepararsi per gli esami di direttore didattico o ispettore scolastico, oppure ottenere l’abilitazione all’insegnamento secondario. Non resta che ribadire l’urgenza di istaurare il maestro unico e, contestualmente, di prendere in considerazione, per ragioni di giustizia, di convenienza e di opportunità, l’abolizione delle disparità di stipendio, riconoscendo uguali capacità a quelli finora collocati come maestri inferiori che, invece, devono faticare di più per adattarsi ai bambini più piccoli. Per il resto ricava anche queste ultime considerazioni dal disegno di legge della Commissione parlamentare per l’aumento degli stipendi ai maestri, non tralasciando di ripetere la frase del re apposta in copertina. Non resta ad Augugliaro che la perorazione finale alla Commissione comunale incaricata del Regolamento per le scuole elementari: maestro unico, equiparazione degli stipendi, stipendi non inferiori a quelli degli impiegati d’ordine degli uffici provinciali.In definitiva per Augugliaro era questo il modo circostanziato per affrontare, anche con citazioni sindacali e dotte, questioni di sussistenza e di promozione degli insegnanti, richiamandosi agli impegni individuali e sociali in cui si sentiva coinvolto. La valenza delle sue argomentazioni, a parte le richieste amministrative di equità nel trattamento tra lavoratori delle stesse mansioni, affonda nella psicologia e nella pratica pedagogica e didattica, tuttora da ritenere nella dovuta attenzione. Ne risalta la figura di un maestro consapevole che, nel rivendicare diritti, espone la sua visione da cui ricava l’opportunità del maestro unico in tutte le sue prerogative. Evidentemente il tempo in cui operava era retaggio di una società ancora non investita dal mutare rapido e multiforme delle esperienze, da cui sarebbe derivata la corrente del modulo pedagogico con più insegnanti per favorire apporti diversificati nella formazione scolastica primaria. Né, tanto meno, la dirompente multimedialità si era affacciata all’orizzonte, per la quale dal maestro dell’alfabeto si deve prospettare ora, almeno nelle scuole d’avanguardia, il maestro alfa-mediale che sia in grado di preparare ad attivarsi nei linguaggi alfabetici e ugualmente nei linguaggi onnicomprensivi della multimedialità, ora che ciascuno vi è spinto dal telefonino e dal personal computer e da internet. Ciò non toglie che Augugliaro, per il suo tempo rappresenti un testimone convinto della traduzione nella pratica scolastica delle istanze psicologiche, pedagogiche e didattiche del suo tempo.Su questa impostazione ritornava Augugliaro a distanza di tanti anni, in pieno regime fascista, a cogliere una prescrizione della Riforma Gentile del 1923 sull’apprendimento della cultura locale da coniugare con la cultura nazionale. Appronta, a tal fine, un’esile antologia di 90 pagine in caratteri chiari e senza illustrazioni, Suolo Natio, Trapani 1927. Augugliaro aveva coltivato da sempre la preoccupazione delle difficoltà di tutti gli alunni nell’essere immessi su conoscenze generali e talora astratte, cui opponeva l’orientamento a procedere da conoscenze immediate sulla vita e sulle caratteristiche della propria città. Era il metodo per spaziare in seguito su argomenti generali.Ciò gli derivava dalla sua esperienza didattica che nel 1914 gli suggeriva di dedicare ai giovani allievi, in particolare, un volumetto di sintesi sulla storia e le prerogative di Trapani, appunto Guida di Trapani. Aveva lamentato: Nelle nostre scuole poi, lungi dal fare volgere lo sguardo del discente alla terra nativa, lungi dall’insegnare la storia della città in cui si vive […] si insegna invece assai per tempo e bene la storia romana e greca, la geografia del mondo in generale […] deplorevole trascuratezza fa sì che il giovinetto che esce dalle scuole popolari e secondarie, mentre ha un corredo svariato di cognizioni che riguardano altre città e altri popoli, sconosce però del tutto la storia della sua città […] Quando invece la storia s’insegnasse prima su quello che il ragazzo vede ed osserva tutti i giorni, non solo l’insegnamento di questa disciplina riuscirebbe più vivo, più reale, più interessante, ma nascerebbe nello scolaro il desiderio […] La storia così insegnata diventerebbe per davvero un mezzo per educare il sentimento patrio, per avvezzare il ragazzo al rispetto di tutto ciò che lo circonda, per prepararlo a ricevere una cultura più generale e più vasta. Per questo aveva dedicato il volumetto del 1914 ai cittadini, ai forestieri ed, in particolare, ai giovanetti studenti, esprimendo così la consapevolezza pedagogica che ogni insegnamento dovesse partire dall’esperienza concreta di quanto il ragazzo percepisce attorno, sia per suscitare il suo interesse sia per rendere vivo ed indelebile l’apprendimento, ma anche per il futuro culturale e per l’orientamento civico. Ora nel lavoro del 1927 il maestro si proponeva di inculcare direttamente all’alunno le nozioni rudimentali che lo invoglieranno più tardi a studiare e a leggere altri libri per conoscere la storia e la geografia dell’Italia, dell’Europa, del mondo. Un disegno che il maestro avviava attraverso l’orientamento geografico generale e la rappresentazione topografica, premesse alcune conoscenze geometriche ed altre sulla casa e sulla città in cui si vive. Dopo un breve studio sula geografia fisica, guidava da maestro gli alunni a conoscere il territorio attraverso quattro passeggiate scolastiche descritte in apposite letture di preparazione, nelle quali forniva elementi essenziali sulla struttura e sulla storia dei luoghi da visitare. Partiva dalla torre estrema della città e poneva attenzione ad uno spazio verde che formava la villa divisoria con la nuova espansione; passava, poi, alle saline caratteristiche e da qui al vicino borgo Paceco. Entrava quindi in città e percorreva vie, piazze, edifici ragguardevoli, stabilimenti, per fissare l’attenzione sul Comune ed il suo territorio, con una breve visione di Monte San Giuliano/Erice. All’amministrazione civica, a quella provinciale ed allo Stato dedicava poche pagine. Si dilungava, invece, sulla storia della città e si misurava con copiosi profili di uomini illustri, anche viventi, additati tutti quali simboli di riferimento patriottico e morale. Pagine didatticamente produttive per struttura e contenuti, a parte alcune ridondanze per il riconoscimento al regime fascista in cui Augugliaro appariva integrato. Del resto era stato mosso dall’esigenza di adeguarsi come maestro ai dettami della Riforma del 1923 e vi era giunto disponendosi a redigere un’antologia quale sussidio didattico per sé ed i colleghi, con le rispettive classi. Un servizio che ora compiva, con la stessa competenza e con la stessa passione, come l’altro opuscolo del 1903 sul maestro unico.Tutte queste riflessioni erano maturate nel lungo intervallo tra i due impegni di pratica didattico-pedagogica, quando aveva dato alle stampe Monografia scolastica, Tipografia Fratelli Messina, Trapani 1903 e, dopo tanti anni, l’esile antologia Suolo natio, Trapani 1927. Nel frattempo il maestro, seguendo gli identici principi pedagogici, aveva lavorato intensamente per uno studio di alto valore civico, teso a far conoscere la città, studio che avrebbe voluto ampio e documentato dalla bibliografia via via consultata. Non gli mancava da parte dei suoi familiari l’appoggio per il completamento delle singole parti che, verosimilmente, avrebbero richiesto ulteriori ricerche, a cui il maestro e il padre di famiglia non era in grado di sobbarcarsi. Finché si decise, proprio in questo intervallo di impegni didattici, a pubblicare un sunto della stesura più corposa, cui attendeva da vecchia data, riservandosi di mandare alle stampe, tra un paio di anni, la versione integrale arricchita di annotazioni, documenti ed illustrazioni. Progetto che non vide mai la luce, per motivi ignoti ma intuibili, ossia la mancanza di tempo da dedicare alla ricerca ed al perfezionamento dell’opera e, non meno, l’impegno finanziario superiore alle sue forze. Appunto alla fine la decisione: mettere in circolazione, fresca di stampa, Guida di Trapani, Stab.Tipografico a vapore F.lli Messina § c., Trapani 1914. La dedica alla venerata memoria del padre Alberto consacrava un debito di riconoscenza non altrimenti dichiarato.Ecco, quindi, la nuova pubblicazione del 1914. Prima di lui un insigne cultore aveva approntato un’opera assai vasta e documentata, dello stesso genere e quasi con lo stesso titolo, Giuseppe Maria Di Ferro(1772-1836), Guida per gli stranieri in Trapani, presso Mannone e Solina, Trapani 1825. Nella quale la dedica per gli stranieri tradiva l’intento del Di Ferro: illustrare agli stranieri che vengono in folla a visitare questi luoghi così celebri negli annali dell’antichità, di cui la città era fiera e di cui - a suo dire - gli scrittori locali e siciliani precedenti non avevano fornito una storia ragionata, quella cioè fondata sulla ragione superiore ad ogni qualunque autorità. L’insigne aristocratico già aveva esposto la sua concezione estetica e sociale ed ora richiamava continuamente, con varie esemplificazioni artistiche e monumentali, un’opera sua pregevole in due volumi, Delle Belle Arti, Palermo 1807 e 1808. Rimane consolidato per Di Ferro il metodo critico nell’affrontare la storia della città e quello descrittivo nella presentazione della vita economica e delle opere d’arte, diverse per stile, ma tutte in grado di suscitare emozioni tanto nel cittadino che nello straniero. Appunto i due soggetti ai quali si indirizzava, senza nascondere l’orgoglio della sua appartenenza a questa città di cui vanta il possesso di alcuni cimeli di storia e di arte. Interlocutori del Di Ferro erano i suoì cittadini, ma soprattutto gli stranieri, invitati esplicitamente a misurare storia e patrimonio artistico con altre città, agli uni ed agli altri pressoché ignoto. Certo in Di Ferro non potevano mancare, ma solo in senso generico, l’intento didattico e la pratica pedagogica nel modo di disporre ed adattare la materia in un disegno unico. Muoveva, infatti, da un lungo saggio storico, dalla colonizzazione dei Fenici fino all’auspicio per la città di ottenere in quell’anno 1825 la cattedra vescovile, che sarà concessa dalla Sede Apostolica Romana nel 1844. Di Ferro proseguiva la descrizione del sito e il porto, da cui alle produzioni commerciali ed alle risorse naturali: miniere, terme, acquedotti, cave di marmi. Inoltre, attraverso la descrizione di sepolcreti, di antiche iscrizioni e monete superstiti, si soffermava brevemente sul culto, da cui passava a conventi, monasteri, Orfanotrofio e Reclusori, Ospedali, Monte di Pignorazione, Accademie, Scienze e Belle Arti. In questo modo riteneva che il viaggiatore avesse già l’orientamento ad ispezionare i luoghi che caratterizzano la città. Anzitutto l’isolotto della Colombaia all’ingresso del porto. Da qui invitava il viaggiatore straniero a soffermarsi ai pubblici edifici, ossia chiese, giudecca e palazzo di città, per incamminarsi, infine, per raggiungere il convento dell’Annunziata fuori le mura, per tornare poi agli oggetti d’arte e di valore conservati nei palazzi nobiliari. Esposizione, questa, corredata dalla citazione delle fonti a piè di pagina e da note storico-critiche alla fine del volume. Dinanzi a questo saggio corposo e documentato anche da incisioni, Augugliaro avvertiva subito la necessità di una sintesi e di un adattamento alle esigenze dei suoi interlocutori. Per questo, senza tralasciare l’impianto storico-critico, prendeva la pedagogia a fondamento di scelte e di linguaggio. Gli premeva concentrare nel suo saggio quanto riteneva essenziale sapersi, dai cittadini e dagli stranieri, ma, per esplicita dichiarazione, soprattutto dal giovinetto trapanese che si avvia ad un corso di studii. Così lo sguardo del maestro era rivolto agli alunni più fortunati che, dopo aver fatto tesoro di quanto appreso, saranno in grado di proseguire, quasi a recriminare l’inevitabile trascurata conoscenza della città, cui egli stesso non sempre aveva ovviato completamente, per l’impegno incalzante a svolgere il Programma nazionale. Il giovinetto - ne era sicuro - sarebbe stato colpito dalla conoscenza attiva e dettagliata di ciò che lo circonda e che lo proietta all’intero Paese di cui ha acquisito un corredo svariato di cognizioni. Appunto Augugliaro vedeva innanzi a sé il suo ex-alunno e quello di tanti colleghi, che sconosce del tutto la storia della sua città, gli uomini illustri che la onorarono e gli avvenimenti interessanti che hanno avuto ed hanno una stretta relazione fra la città in cui vive e le altre della regione e del paese, a cui essa politicamente e geograficamente appartiene. Anzi auspica una didattica della storia, che dovrebbe tener conto dell’esigenza di muovere da conoscenze quotidiane per divenire mezzo di ogni altro apprendimento e dell’autentica formazione: il maestro dovrebbe muovere da ciò che il giovinetto osserva attorno a sé per stimolare in lui interesse ed ammirazione, quale mezzo per educare al rispetto di tutto, alla visione della Patria e ad aprirsi ad una cultura più vasta. Per questo è consapevole di avere usato la necessaria chiarezza espositiva nel saggio che presenta, aggiungendo che ritiene implicita l’esortazione perché ciascuno si adoperi ad ogni miglioramento per la città. Facilmente avrebbe dimenticato la fatica impiegata nella suo quotidiano impegno di maestro, se solo avesse contribuito a far conoscere ed amare la città, dagli stranieri e dai cittadini, fra i quali soprattutto i giovanetti usciti dalle scuole ed avviati ai diversi compiti nella vita.A riprova di questi intendimenti, essenzialmente pratici, stanno le dimensioni del libretto, circoscritto in un tascabile di cm. 10x11, dove Notizie necessarie con indirizzi utili, da Alberghi a Vini Marsala, costituiscono le prime pagine che addirittura precedono l’Indice. Qui appaiono in corsivo i paragrafi, chiaramente indicativi del disegno generale e della visione unitaria della storia e della topografia della città, con ampi riferimenti al porto ed alle fortificazioni già abbattute dal moderno ampliamento verso levante. All’interno di ciascun paragrafo le descrizioni non trascuravano i particolari. Ovviamente non poteva mancare, all’inizio, Cenni storici, 43 dense pagine sintesi di tante consultazioni: dal nome e dalle origini mitologiche, ai primitivi abitanti, ai Fenici con le prime fortificazioni, alle colonie greche di cui Trapani vantava l’alleanza, al passaggio dei marinai per celebrare Venere ad Erice, ai commerci scambievoli con l’Africa e con Cartagine in particolare, alle guerre puniche ed ai Romani vincitori, alla loro organizzazione ed alla guerra per ottenere i diritti civili, alle prime colonie di ebrei ed all’affermazione del cristianesimo dopo Costantino, al dominio bizantino con la parentesi ventennale dei Goti, alle conquiste araba nell’827 e normanna nel 1060 con il nuovo assetto amministrativo, alle crociate che portarono commerci e insediamenti, agli Svevi prodighi di privilegi, finché erano insorti i Baroni nel travagliato trapasso dagli Angiò ai Vespri Siciliani e all’avvento degli Aragonesi. Da qui in poi si dilungava appena per spiegare il nuovo assetto urbano dal 1286, gli sbocchi di potere e le discordie fra famiglie, le imprese e le benemerenze anche nei titoli, l’artigianato in tutte le dimensioni, le fortificazioni da Carlo V in poi e la trasformazione della città, le insurrezioni popolari del 1672/73, i mutamenti dinastici che portarono ai Savoia e poi ai Borboni, le rivoluzioni per l’unità d’Italia e le famiglie emergenti, tra tutte Fardella, l’impresa garibaldina e il proseguimento con l’annessione di Venezia e Roma, per finire con l’auspicio dell’annessione delle altre province irredente.Anche per lui questa carrellata storica sarebbe risultata sufficiente per una prima informazione, dove non mancavano documenti indirettamente o direttamente citati.Seguono nel libretto Cenni topografici, sul sito primitivo delle abitazioni adiacenti alla lingua di terra arcuata che contraddistingue Trapani tra le città prospicienti sul mare. Proprio da queste premesse passava a sottolineare la forma quadrata via via assunta dalla città, senza trascurare l’ampliamento aragonese disposto nel 1286 con le fortificazioni susseguitesi nei secoli, per finire sull’assetto postunitario e l’atterramento delle mura con l’espansione alle falde del Monte Erice. In particolare anche la descrizione del Porto muoveva dalla storia e dalle funzioni svolte nelle diverse epoche, per prospettare le attese sistemazioni per lo sviluppo della città.Conduceva, così, a La città allo stato presente partendo dall’abbattimento delle fortificazioni e passando alle opere pubbliche realizzate da quella data: acquedotto, ferrovia, polizia urbana, illuminazione a gas, riordinamento degli uffici comunali, Scuole, Biblioteca, Museo, il commercio nel porto, numerosi stabilimenti, banche, mercato del grano, altre iniziative da realizzare. La descrizione delle strade e delle piazze non tralasciava la presentazione della Villa Margherita e della singolare passeggiata alla Marina. Si arriva al Palazzo del Municipio ed alla breve visita delle chiese, quindi alla presentazione del Museo, degli Ospedali e degli Istituti di beneficenza, del Teatro, delle Scuole e della Biblioteca, degli uffici pubblici, delle Caserme e dei Palazzi nobiliari. Con gli Stabilimenti industriali ed i cenni all’artigianato e ai traffici del porto si conclude l’itinerario per la città. Restano le escursioni: la torre di Ligny, il Lazzaretto, la Colombaia e il Monte San Giuliano. Utile anche il vocabolarietto delle strade con l’indicazione di appartenenza ad uno dei tre quartieri tradizionali.Fin qui la struttura del libretto che si snoda in un racconto lineare e quasi visivo, pur ampliato occasionalmente da cenni storici e dall’attuale destinazione. Una rassegna rapida che talvolta si carica di costatazioni spiacevoli del mancato ripristino e tal’altra si compiace delle trasformazioni intervenute a beneficio in primo luogo dei cittadini. Al di sotto, a parte l’indirizzo pedagogico e l’insistenza sulla preparazione delle nuove generazioni, Augugliaro si mostra attento ricostruttore della storia attraverso l’assidua consultazione degli scrittori locali che lo hanno preceduto. Altresì conoscitore degli angoli più remoti della città, ammiratore di quanti hanno contribuito allo sviluppo della convivenza e dell’ornamento di chiese e palazzi, attento alle istituzioni che designano e scandiscono la vita. Comune, Scuole, Biblioteca, Museo, Caserme, Stabilimenti, Artigianato, Porto quale sbocco dei commerci: sono soste indelebili della memoria da tramandare. Non ha particolare versatilità nella descrizione delle opere d’arte e nella menzione degli artisti. Di questo si era occupato agevolmente Di Ferro, profondo conoscitore e catalogatore di quanto era sedimentato nella storia, assai dotato di spiccato senso critico. Ad Augugliaro basta raccogliere le notizie e fornire indicazioni. Per questo va ammirata la capacità di sintesi e di presentazione in un linguaggio comprensibile dai destinatari dei suoi scritti sempre adattati ai loro interessi: cultori di pedagogia, colleghi maestri, amministratori, cittadini, visitatori della città, giovinetti che l’avevano conosciuto maestro. Se ne possono cogliere cenni di apprezzamento nella recensione apparsa in 'Drepanitana. Organo dell’Associazione Magistrale Femminile', un periodico di settore con rare firme maschili, in cui Riccardo Castorina presenta il volumetto (15 novembre.1914, anno III, n.18,3).A tutte queste motivazioni bisogna aggiungere che la valenza della sua produzione risiede anche nella testimonianza delle situazioni e delle attese di quel tempo. Quelle dell’istruzione e della Scuola riflesse nell’opuscolo del 1903 e l’altra prettamente didattica del 1927 dove si prefiggeva la metodologia della gradualità naturale della conoscenza, da ciò che circonda a vicissitudini ed ambienti distanti. In ambedue le circostanze Augugliaro si misura con la metodologia didattica, quella del maestro unico e quella dell’apprendimento occasionale e progressivo. Era così consapevole degli indirizzi pedagogici su cui si era formato e di cui andava sperimentando la validità, anche se non citava alcun riferimento specifico. Ma lavorava alla conoscenza storica del suo ambiente come presupposto di approfondimenti più vasti. Questa la sua pedagogia alla base della sua concezione della storia e degli scenari di vita quotidiana di cui si sentiva partecipe.Fuori dubbio che il bagaglio culturale, cui si ispirava, provenisse dalla Scuola Normale che aveva frequentato a Trapani, istituita nel 1867, da cui era uscito come uno dei pochi maestri tra tante maestre che si erano avvantaggiate del convitto annesso. Ne menzionava il primo direttore, Salvatore Martorana (1814-1887), distintosi nella rivoluzione del 1848 tra i rappresentanti della borghesia medio-alta e tornato dall’esilio nel 1860, capo di una loggia massonica ed uno dei promotori della Banca del Popolo nel 1883. Accanto a lui ricordava due insegnanti particolarmente influenti nella formazione dei futuri maestri, Vito Pappalardo (1818-1893) e Carlo Cordaro ( ) ricordato come garibaldino e impegnato nell’azione sociale.Alla Scuola Normale si seguivano i programmi governativi e vi erano stati annessi, per il tirocinio pratico, un corso elementare modello e un giardino d’infanzia improntato alla metodologia dell’educatore e pedagogista tedesco Friedrich Froebel (1782-1852). Per i programmi governativi bisogna riferirsi al metodo diffuso in tutta la Sicilia dal 1836 e noto come mutuo insegnamento. Era stato il pedagogista inglese Andrew Bell (1753-1820) che l’aveva importato dall’India e lo aveva diffuso, finché gli tolse il monopolio Joseph Lancaster (1778-1838), un operaio fattosi educatore dei poveri, che adottò propriamente il metodo dei monitori (monitore era il ragazzo che collaborava con il maestro ad istruire i compagni), simile al metodo di Bell. Da qui la rivalità scambievole che produsse, tuttavia, notorietà al metodo chiamato per antonomasia mutuo insegnamento, adatto alla classe proletaria per il risparmio di energie e mezzi. A Trapani le scuole lancastriane erano state impiantate dal 1820 per impulso dato dal Tenete Generale Giovan Battista Fardella (1762-1836), insieme all’Istituto per l’educazione delle fanciulle ed all’Istituto Nautico. Maggiore diffusione dell’istruzione popolare venne subito dopo l’unificazione nazionale sotto l’amministrazione comunale in cui fu assessore il letterato e filologo Alberto Buscaino Campo (1826-1895), quando giunse un’eccezionale benemerenza tra tutti i Comuni del Regno per l’operosità dimostrata nel campo educativo. Dal punto di vista della pedagogia teorica Augugliaro non poteva ignorare l’opera educativa di Giovanni Agostino De Cosmi (1726-1810), quantomeno per la consapevolezza dell’intrinseca connessione tra opera educativa e la realtà socio-ambientale. De Cosmi si era battuto per un’educazione progressiva e dinamica per passare dalla sensazione alla riflessione, allo scopo di evidenziare le abilità di ciascun ragazzo e si era ispirato al filosofo inglese Jonh Locke (1632-1704) prestigioso rappresentante dell’illuminismo europeo che ebbe interpreti e cultori ragguardevoli anche a Trapani.Tutte annotazioni, queste, che Augugliaro mescola alla storia ed all’incremento della vitalità urbana. Anche per queste implicite connessioni tra ambiente e cultura, Augugliaro assolse certamente al ruolo di intermediario, sia come insegnante sia come divulgatore del patrimonio conservato e quasi sconosciuto della sua città. Non è, infatti, solo un’azione didattica la sua, ma è abbinata alla comunicazione dei valori storico-sociali insiti nella compagine urbana in via di sviluppo. Sviluppo urbanistico ed ambientale di cui resta testimone significativo nel trapasso verso l’assetto che non poteva ignorare l’antico retaggio. Questo il messaggio che tramanda alle nuove generazioni: apprendimento graduale, dal particolare all’universale, storia quale fondamento di ogni conoscenza, desiderio di contribuire come educatore alla rinascita della sua città.Nel momento in cui Trapani, a più riprese, tenta di riappropriarsi della sua storia e dei personaggi emergenti, l’attenzione mirata soprattutto alla principale opera di Marco Augugliaro, Guida di Trapani, inquadrata nelle sue mansioni di educatore e di divulgatore storico, intende additare il maestro unitariamente all’attento autore di un compendio quasi visivo di storia patria, orgoglioso di trasmetterne le vicissitudini e le benemerenze ai cittadini, agli stranieri, ma soprattutto ai giovani.-Salvatore Corso
Inserito il 30 Gennaio 2018 nella categoria Relazioni svolte
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