L'avv. A. Pappalardo, la dott.ssa L. Di Carlo e il dott. R. Gargano hanno trattato, con dovizia di argomentazioni, il tema del Convegno, sulla crisi europea
Relatore: Avv. Aurelio Pappalardo - Bruxelles
. Aurelio Pappalardo
Si riporta qui di seguito la relazione del dott. Rodolfo Gargano
EUROPA: QUALE FUTURO ?
Se predire il futuro non è certamente un compito facile, descrivere quel che sarà l’Europa di domani dal punto di vista del progetto di unificazione avviato il secolo scorso è comunque quanto meno una scommessa: possiamo tutt’al più individuare delle linee di tendenza, a cominciare da quegli aspetti che, seppur prevalentemente a livello nazionale, sin d’ora emergono ora dalle classi politiche ora dai diversi movimenti della società civile. In realtà
l’Europa si presenta oggi più che altro frastornata: e questo, in una scena internazionale nella
quale le nuove potenze emergenti tendono fra l’altro inevitabilmente ad emarginarla. Questa appare dunque la principale linea di tendenza, fatta di diffuso scetticismo e scarsità d’impegno civico, che ben si salda con quella 'società liquida' di cui parla nelle sue opere sul post-moderno Zygmunt Bauman.
Dopo il crollo dei miti connessi alle vecchie ideologie e alle
sanguinose dittature del passato, l’Europa democratica rinata dalle ceneri del secondo conflitto
mondiale sembra persino aver perso di vista l’unico ambizioso progetto che in quegli anni era
stato elaborato, auspice Altiero Spinelli, quella della sua definitiva unità in forma federale. Né la
costruzione dell’Unione europea ha poi reso effettivo ed irreversibile tale progetto: tant’è che
l’attuale configurazione istituzionale dell’Unione ci dice molto poco sulla sua effettiva essenza,
che comunque non pare che si distacchi a rigore dal suo aspetto complessivo, abbastanza simile
a quello di una confederazione di Stati sovrani, pur con aspetti istituzionali (Parlamento
europeo, Corte di Giustizia) e di contenuto (moneta unica e diritto comunitario prevalente
rispetto agli ordinamenti giuridici nazionali) che ne fanno un’organizzazione sui generis, una
confederazione 'sofisticata' o una 'federazione incompiuta'.
In realtà, è facile riscontrare che il metodo comunitario inventato da Monnet e che rappresenta
la 'filosofia' di base dell’Unione si è isterilito oggi in un prevalente approccio intergovernativo,
giustificando il dubbio quindi che tale metodo sia giunto con la moneta unica ad un punto
terminale. E di fronte ad un’improvvisa gravissima crisi economica che con un deliberato
attacco all’euro ha coinvolto con inusitata violenza i Paesi periferici dell’Eurozona il sistema ha
mostrato platealmente tutti i suoi limiti, cui solo un rinnovato direttorio franco-tedesco ha
tentato di porre rimedio: naturalmente imponendo le sue ricette a tutta Eurolandia, giuste o
sbagliate che siano, 'commissariando' come si è detto con una certa efficacia i Paesi più deboli,
perché più fortemente indebitati o avvezzi a condotte meno che virtuose. Dopo l’Irlanda, la
Grecia che è stata facile preda, e a seguire il Portogallo, la Spagna e ora anche l’Italia – che è
gravata da un debito gigantesco, pari al 120% del PIL - hanno così subito l’assalto dei mercati
convinti di potere condurli al temuto fallimento (default). Ragione avrebbe voluto che prima di
creare la moneta unica l’Europa avesse creato la Federazione europea, cioè in sostanza un vero
governo europeo, autonomo rispetto ai governi nazionali e in grado di esercitare pienamente (e
democraticamente) una fetta di sovranità nei settori comuni della politica economica generale,
della difesa e della politica estera. Ma la crisi dell’euro è in realtà non la crisi di una moneta che
a confronto delle altre aree valutarie (dollaro, yen, ecc.) si è comportata benissimo, mantenendo
un tasso di cambio del tutto rispettabile rispetto alle altre principali monete del mondo, e
nemmeno è la crisi di una congiuntura economica sfavorevole, destinata quindi a rientrare in
breve tempo al mutare di condizioni alimentate da fattori contingenti. Come ha detto
correttamente Trichet, il governatore uscente della Banca centrale europea, la crisi piuttosto ha
tutte le caratteristiche di una crisi sistemica.
Se questo è il contesto in cui si situa l’attuale crisi economica che investe l’Europa comunitaria,
certo la più grave dopo quella famosa del 1929, non appare tuttavia facile porvi rimedi efficaci
che non vadano oltre limitati aggiustamenti tecnici. La questione infatti non è solo un problema
di liquidità (che pure ha avuto ed ha ancora il suo peso nel favorire o scoraggiare un sistema di
mercato in cui è essenziale l’ordinata circolazione di mezzi finanziari a livello globale); e non è
nemmeno un problema di semplice rigore nella gestione dei bilanci nazionali (che pure è
necessaria per evitare che le zone fragili dell’Unione monetaria possano ulteriormente
indebitarsi senza aumenti di produttività). La crisi nasce come crisi di fiducia in un sistema
bancario internazionale che tiene in grembo titoli tossici ancora non ben individuati, ma è anche
ormai crisi dei debiti sovrani degli Stati dell’Unione monetaria europea, una specialissima zona
monetaria, come si è detto senza alcun governo, e con una sola Banca centrale che allo stato non
è prestatore di ultima istanza e ha diversi limiti istituzionali, come quello di non poter favorire
nemmeno una modesta inflazione aumentando il circolante. E a tutto questo va ad aggiungersi,
per i Paesi più duramente colpiti dall’assalto all’euro, una preoccupante tendenza alla
contrazione della produttività nazionale, in un momento in cui solo una vigorosa crescita
potrebbe invece garantire la ripresa dell’economia scongiurando, con l’inevitabile stretta di
rigore sui bilanci nazionali, la caduta nella recessione e gli elevatissimi costi sociali che già si
preannunciano in tutta l’eurozona.
In sostanza, occorre individuare anzitutto il livello primario d’intervento, oltre il tipo e le
modalità di adozione dei provvedimenti decisi, che devono dunque consentire di incentivare la
crescita del PIL in percentuali significative, rendere socialmente sopportabile qualsiasi misura
che non si limiti ad una mera politica di austerità dei bilanci pubblici, e soprattutto apparire
adeguati ed efficaci ai mercati internazionali in modo che di fronte ad un’evidente crisi
complessiva di credibilità venga pienamente ristabilita una piena fiducia anzitutto verso
l’Europa monetaria oltre che verso il governo nazionale. E sotto tale aspetto è del tutto evidente
che il principale quadro di intervento per bloccare l’attacco all’Europa dell’euro non può essere
quello nazionale dei singoli Paesi, che per definizione non sono in grado di fronteggiare da soli
una situazione nazionale deteriorata, ma il livello europeo in cui possono realizzarsi più
efficacemente sia quei meccanismi stringenti di rigore nei bilanci pubblici, che tengano conto di
principi di solidarietà tra classi e tra territori, senza indulgere a condotte opportunistiche dei
singoli Paesi, sia quel rilancio anche dei Paesi periferici in termini di competitività, crescita ed
innovazione che solo potrà consentire il graduale superamento della crisi economica e la
riaffermazione dell’Europa sulla scena internazionale.
Per tutti questi motivi, accanto alle misure di ordine economico e finanziario, che comunque
oggi occorre assolutamente assumere senza esitazioni anche a livello nazionale, appaiono
essenziali quelle di carattere strutturale e sistemico che attengono al quadro politico
complessivo, quindi europeo piuttosto che nazionale. Oltre Lisbona e la crisi economica,
dunque: del resto, come ha ricordato Sergio Fabbrini, la stessa struttura dell’Unione non è più
quella originaria, e di fatto va a modificarsi anche rispetto al trattato di Lisbona. La modifica più
rilevante infatti ci mostra un Esecutivo bicefalo dove a poco a poco il Consiglio europeo
acquista giorno dopo giorno sempre maggiore rilevanza rispetto alla Commissione, in sostanza
relegata sempre di più a un ruolo tecnico e sostanzialmente marginale, non ultimo anche a causa
della sua composizione di un Commissario per Stato. Si tratta dunque di riprendere in qualche
maniera quel processo costituente basato sui rappresentanti popolari dell’Europa che sia pure a
tratti si è sempre affiancato al processo di integrazione diretto dai Governi nazionali, dalla
Comunità Politica Europea formulata dall’Assemblea ad Hoc del 1953 al Progetto Spinelli
approvato dal Parlamento europeo nel 1984 e per finire alla vicenda delle due Convenzioni che
condussero l’una alla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione e l’altra alla Costituzione
Europea trasfusa nel Trattato del 2004 malauguratamente poi non più ratificato.
Conclusivamente, come recentemente ha ribadito Habermas su Le Monde, non si può
trasformare il progetto europeo nel suo contrario, un’alleanza elitaria di alcuni governi nazionali
tesi ad esercitare una forma di dominio post-democratico: assai meglio e più doveroso
proseguire la democratizzazione dell’Unione e così realizzare l’affidamento dei destini
dell’Europa all’unico e vero interessato che è il popolo europeo. Rodolfo Gargano
Trapani, 8 novembre 2011
Inserito il 08 Novembre 2011 nella categoria Relazioni svolte
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