Il concetto di 'negritudine' secondo il grande Senghor, nella relazione dell'avv. Leonardo Poma
Relatore: Avv. Leonardo Poma
LEOPOLD SEDAR SENGHOR - POETA DELLA NEGRITUDINE
STATISTA - ACCADEMICO DI FRANCIA – PALMES ACADEMIQUES
LEGION D’ONORE
Sembra un caso, ma proprio a gennaio di quest’anno 2013 la programmazione cinematografica ha distribuito nelle sale due film americani di grande spessore e contenuto, entrambi premi Oscar, con una comune ispirazione di base, seppur diversi nella loro storia. Mi riferisco al film 'Django' di Tarantino e al film 'Lincoln' di Spielberg: il primo, un racconto a volte ironico, a volte più serioso sullo sfondo del Mississipi, non per nulla già location di 'Via col vento', e il secondo la biografia degli ultimi mesi del grande presidente americano. Entrambi rivolti a narrare la condizione dei negri schiavi dei bianchi e considerati soltanto come oggetto di proprietà e sottospecie razziale, ma entrambi come testimonianza e documento di uomini coraggiosi che fra i primi, anche a rischio della propria vita, lottarono per l’abolizione della schiavitù e per la libertà del popolo negro.
A questo punto e in via preliminare desidero leggervi i primo quattro articoli della
DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL’UOMO
adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948
Articolo 1
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
Articolo 2
1. Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.
2. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del Paese o del territorio cui una persona appartiene, sia che tale Paese o territorio sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi altra limitazione di sovranità.
Articolo 3
Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.
Articolo 4
Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; La schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma.
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
entrata in vigore il 1° gennaio 1948
Art. 3 – 1° comma
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
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Oggi noi, parlando del grande Leopold Sedar Senghor, e facendo a Lui doveroso omaggio, parleremo di un negro africano e della sua negritudine con la volontà del riscatto della propria dignità e della propria libertà, simbolo ed emblema di un’Africa, che non si chiude in se stessa, ma che si affaccia all’occidente con la forza della sua cultura e delle sue tradizioni,
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Leopold Sedar Senghor (1906–2001) va ricordato fra gli uomini più illustri dell’Africa del ‘900 e certamente uno dei più grandi uomini di colore di tutti i tempi, quale assertore dei principi di libertà nella pace, di concordia fra i popoli, di coscienza del proprio essere (negro) in armonia con gli altri popoli soprattutto dell’occidente nei cui confronti ebbe rapporti di comunione intellettuale, sociale, politica e insomma di civiltà. Idee in buona parte presenti in quel concetto della negritudine – come vedremo più avanti - di cui egli e altri illuminati furono con grande dignità portatori. Non a caso l’appellativo Sedar significa 'colui che non può essere umiliato'.
Nacque a Joal nel Senegal (allora colonia francese) il 9 ottobre 1906 da una famiglia cattolica di agiati proprietari terrieri (commercianti di arachidi); frequentò inizialmente le scuole in un collegio cristiano e nel 1922 entrò in seminario a Dakar, ma non ritenne di rimanerci a lungo; infatti continuò i suoi studi liceali a Parigi preso il liceo Luis Le Grand, distinguendosi nelle materie letterarie (Francese, Latino, Greco) e nell’Algebra. Lì conobbe il compagno di studi Georges Pompidou, futuro presidente della Repubblica francese e ne divenne amico. Avendo conseguito una borsa di studio al termine del liceo, continuò a studiare in Francia, a Parigi, dove alla Sorbona si laureò in lettere nel 1935. Quale primo uomo di pelle nera ad acquistare la cittadinanza francese, potè dopo due anni insegnare nei licei e nelle università francesi. In questo periodo frequentò altri intellettuali africani e non, e recepì, fece suo e diffuse il termine negritudine, in verità coniato dall’amico Aimè Cèsaire, che divenne subito corrente letteraria, di pensiero e di vita.
Dopo un periodo di arruolamento nell’esercito francese nel 1939 e di prigionia da parte dei Tedeschi, fu congedato nel 1942 per motivi di salute ed e entrò nella resistenza e conobbe De Gaulle di cui fu subalterno, iniziando così un’ascesa anche politica parallela alla sua fama di poeta. Durante la prigionia tedesca ebbe tuttavia l’occasione di studiarne a fondo la sua cultura e il grande Goethe. Riprese quindi la carriera di insegnante: ottenne, infatti, una cattedra di lingue e civiltà negro-africane all’Università per la Francia d’oltremare e alla Scuola superiore d’amministrazione.
Iniziò nel 1945 la sua carriera politica e per la sua cultura, per la sua sensibilità anche ideologica, per l’attaccamento al suo paese, forte dell’esperienza maturata un tanti anni di permanenza in Francia, Senghor, divenne nel 1946 deputato dell’Assemblea Nazionale francese e dopo due anni precisò la sua idea politica fondando un proprio movimento che chiamò Blocco Democratico Senegalese. Fu rieletto in Parlamento nel 1951, e nel 1956, conclusasi la legislatura, fu eletto sindaco della città di Thies in Senegal. Nel 1958 fu nel governo di Charles De Gaulle come ministro-consigliere.
Sempre aperto all’occidente, ma mai dimentico della sua africanità, fu propugnatore del federalismo degli stati africani (ricordiamo che era quello il periodo della indipendenza che i territori già coloniali stavano conquistando) e nel 1959 divenne presidente della Federazione del Mali (Senegal e Sudan francese). Fu un’esperienza breve perché la federazione ebbe una durata effimera. E quindi nel 1960 fu eletto all’unanimità presidente, il primo della neonata repubblica del Senegal. La bandiera adottata dal Senegal, a tre colori verticali sul modello francese, vuole significare il verde come il colore della savana, il giallo come il sole della speranza e il rosso come il colore dell’Africa. L’inno nazionale fu scritto dallo stesso Senghor ed è un poetico richiamo ai valori ancestrali, un ruggito di libertà fra i popoli dell’Africa ma anche un appello alla pace fra tutte le genti.
In una situazione di obiettiva confusione e precarietà del suo paese (modeste risorse economiche, dipendenza sotto certi aspetti dalla Francia, analfabetismo) Senghor fece di tutto per realizzare un socialismo umanistico e cristiano (e il Senegal era ed è in grande maggioranza – 95% - di fede musulmana), lasciando tuttavia ampio spazio alle esigenze spirituali e religiose del suo popolo: cercando insomma una sintesi fra socialismo e negritudine. Nell’evoluzione del suo pensiero si avvicinò alle idee di Pierre Teilhard de Chardin (il cosiddetto 'gesuita proibito', filosofo e scienziato), assertore di un umanesimo evoluzionista e di interazione fra le menti umane (noosfera) e del nostro Danilo Dolci di cui apprezzoò la 'pianificazione dal basso' che secondo molti intellettuali negri poteva essere trapiantata nel continente nero.
Il suo partito, dopo un fallito tentativo di colpo di stato, rimaneva l’unico legale, ma Senghor, nel 1976 anche sotto la spinta di contestazioni studentesche, fu costretto a reintrodurre un pur limitato multipartitismo. Fu rieletto ancora presidente della repubblica e nel 1980, poco prima della conclusione del suo quinto mandato, ritenendo che le cariche non possono durare una vita, rassegnò le dimissioni in favore del suo vice Abdou Diouf. Sposato con la francese Colette Hubert, sorella della moglie di Pompidou, si ritirò a vivere in Francia, sua seconda patria, tra Parigi e la Normandia ove possedeva una proprietà presso Gonneville.
Nel 1983 fu nominato membro dell’Accademie francaise, e fu il primo africano ad entrare in tale prestigioso consesso. Ma i riconoscimenti avuti sono innumerevoli, sia in patria che all’estero, e fra i tanti: Gran maestro e cavaliere di gran croce dell’Ordine del Leone (Senegal), Cavaliere di gran croce dell’Ordine della Legion d’onore, Commendatore dell’Ordine delle arti e delle lettere, Croix du combattant (Francia), Cavaliere di gran croce decorato di gran cordone dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana (Italia), Gran Collare dell’Ordine di San Giacomo della Spada (Portogallo), Collare dell’Ordine di Isabella la Cattolica (Spagna).
Per il suo esempio di libertà (era cattolico mentre il suo paese era al 95% musulmano), di tolleranza e intelligenza aprì la via alla democrazia.
Più volte candidato al premio Nobel, trascorse gli ultimi anni della sua vita proprio in Normandia, regione della Francia dalla quale fu sempre attratto, e lì morì il 29 dicembre 2001 per le conseguenze di un ictus. La sua salma fu trasferita a Dakar, capitale del Senegal, laddove furono celebrati solenni funerali. Fu e viene ricordato come uomo politico, come illuminato statista, come uomo di cultura e come poeta di quella negritudine di cui fu cantore e propugnatore. Alla sua morte il presidente francese Jacques Chirac disse: 'La poesia ha perso uno dei suoi maestri, il Senegal un uomo di stato, l’Africa un visionario e la Francia un amico.'
LA SUA CULTURA
'Civis Romanus sum'
Fu africano e si sentì sempre africano, ma non irretito in preconcetti che lo chiudessero ad altre culture. Comprese come l’Africa avesse tratto molto dal mondo occidentale apparentemente più civilizzato, ma era anche convinto che l’Africa, tutta l’Africa, avesse, a sua volta, dato molto all’occidente con la sua arte, le sue ataviche tradizioni e insomma con tutta la sua umanità, in un concetto non di eterogeneità ma, se possiamo dirlo, di panafricanità. Con questi ideali ritenne quindi indispensabile e ovvia la cooperazione con l’occidente in una piena osmòsi di arte e cultura. Vi sono caratteristiche africane certamente tipiche e indelebili, ma è giusto – sosteneva Senghor – che vi sia una sorta di assimilazione con le altre culture per conoscerle e quindi per crescere insieme in una reciproca compenetrazione e scambio di idee ed esperienze. Insomma, quale poeta-pensatore, riteneva che le sue opere dovessero collocarsi in un umanesimo universale più ampio e accogliente, recependo e integrando la cultura e civiltà occidentale, ove echi di altre antiche civiltà, di mondi ancestrali, lontani ma comuni si ritrovano insieme, eternamente presenti nel cuore dell’uomo. Abbiamo già detto della sua simpatia verso la Francia che lo vide come studente, docente, deputato, scrittore e poeta. E non solo in francese, ma anche in latino, lingua, fra l’altro, che egli, cattolico fervente e grandemente versato negli studi classici e umanistici rese obbligatoria come materia di studio e come strumento di integrazione culturale nel suo Senegal quando ne divenne presidente della repubblica. La stessa lingua italiana fu introdotta fra le lingue facoltative. E quindi ben meritata la cittadinanza onoraria di Roma che gli fu conferita, tant’è che egli si definiva 'civis romanus'.
Ma il tutto non dimenticando mai il concetto di negritudine che costituisce la base originale della sua filosofia culturale. Fu una sorta di mecenate nel campo delle arti, sostenendo e finanziando artisti e attività culturali. Famosa la sua Ecole de Dakar quale raggruppamento e cenacolo degli artisti africani. Favorì esposizioni internazionali delle opere d’arte e fondò il celebre Museo Dynamic per la diffusione del suo pensiero e dell’arte nazionale cui aveva dato inventiva e impulso.
Questa primavera culturale senegalese, direttamente e fermamente ispirata dal presidente Senghor, si sviluppò fra il 1960 e il 1980. A lui si deve, fra l’altro, il primo Festival Mondial des Arts Nègres che ebbe luogo a Dakar nel 1966, quale manifestazione di arte, musica, danza e teatro con la partecipazione di varie nazioni dell’Africa sub sahariana. Negli anni successivi la manifestazione assume davvero il livello internazionale nel contesto di mostre itineranti.
Contemporaneamente, tuttavia, cominciò a sorgere un movimento critico verso quella che veniva ritenuta una costrizione degli artisti a seguire il modello Senghor, e cioè si recriminava una mancanza di libertà creativa dovuta ad una ripetizione di medesime tendenze artistiche in ossequio alle ideologie del Presidente e della negritudine. Per questo motivo, Senghor, forse come tutti i grandi capi carismatici – fu molto amato ma anche disapprovato. Accusato di essere troppo filoccidentale, quasi sottomesso all’occidente, fu invece portatore di una politica illuminata e intelligente nei tempi difficili della nascita della Repubblica senegalese.
Con il successore di Senghor alla presidenza della repubblica e cioè con Abdou Diouf la cultura subisce meno l’influenza politica, ma su un percorso ineludibile ormai iniziato, continuano ancora le attività culturali di alto livello come la nascita della Biennale di Dakar, ancor oggi fra le più importanti manifestazioni di arte contemporanea africana con la partecipazione di artisti, galleristi e critici d’arte provenienti da tutte le parti del mondo. Ma tutto questo – non dimentichiamolo - è fondamentalmente iniziato da Senghor, quale uomo illuminato che volle riscoprire e far capire agli altri cosa significasse nascere in Africa ed essere negro.
La sua poesia fu, in un certo senso funzionale alla politica, e di questo si rammarica Senghor, che la politica sottrasse tempo alla sua poesia. Il poeta italiano Andrea Zanzotto, grande estimatore di Senghor, che considerava fra i primi a livello mondiale, ebbe a dire di Lui: 'Si deve a Senghor la presa di coscienza della realtà nazionale del Senegal e della necessità di convivenza di due culture diverse: quella perdente, l’africana, seppe imporsi ed essere valorizzata. Proprio questa cultura perdente rispetto a quella dominante divenne la base dell’originalità del Senegal.'
LA NEGRITUDINE E LA POESIA
Si può facilmente comprendere il concetto di nègritude (negritudine) se, per un momento pensiamo al concetto di sicilianità. L’orgoglio di essere siciliani come l’orgoglio, la consapevolezza di essere negro con l’affermazione delle proprie peculiari caratteristiche e quasi come un senso di riscatto di secoli di asservimento ai colonizzatori e spesso sfruttatori europei.
La parola negritudine si deve, tuttavia, non a Seghor, ma ad Aimè Cèsaire che per primo la coniò nel 1935 per la rivista L’Etudiant Noir – Lo studente nero, che sarà di supporto al movimento della negritudine. Cèsaire non era però africano di nascita essendo della Martinica, anch’essa colonia francese. Ed era proprio questo senso di affermazione della propria identità e desiderio di affrancazione dal colonialismo francese che ispirò Cèsaire, dapprima, e poi tanti altri fra cui il nostro Senghor che ne fece il suo credo e stile di vita riversandolo subito nella poesia e in particolare nei famosissimi Chants d’ombre (Canti d’ombra) del 1945. E successivamente nel 1948 pubblica l’Antologia della nuova poesia negra e malgascia di lingua francese, opera fondamentale per la poesia africana, ove negritudine significa nero alla ricerca di se stesso, sforzo di risalire alle proprie radici, riscoperta della propria identità e peculiarità antropologica e culturale.
Il concetto fece presto un giro amplissimo, non solo fra i popoli africani, che venivano così riuniti, ma anche in Europa e ovviamente in Francia, quale nazione più e maggiormente interessata al colonialismo. E intellettuali di tante nazioni si aprirono all’idea della negritudine e la studiarono, divenendo, la stessa, corrente letteraria e di pensiero. Il filosofo Jean-Paul Sartre, con cui Senghor instaurò un rapporto ddi amicizia e collaborazione, la definì molto acutamente come la negazione della negazione dell’uomo nero. E lo stesso Sartre ebbe modo nei suoi studi di approfondire il concetto, sostenendo la necessità di infrangere le diversità culturali fra europei e negri. Sartre curò, fra l’altro, la prefazione all’antologia Orfeo negro, quasi strumento per decolonizzare le coscienze.
Merita attenzione la definizione che Senghor dà della poetica negra: 'i poeti negri sono anzitutto degli auditivi, dei cantori. Essi sono fortemente sottomessi alla musica interiore, e quindi per prima cosa al ritmo. Ricordo che i poeti del mio villaggio, i più primitivi non riuscivano a comporre che nell’estasi del ritmo del tam-tam'. E poi, ancora: 'è questa la particolarità del poeta negro…c’è nella poesia degli africani la presenza solenne degli spiriti.' Un po’ come avviene per la musica di origine tribale.
Dopo Senghor la negritudine costituisce il valore etico culturale che accomuna tutti i popoli dell’Africa nera indipendentemente dalle diversità politiche. Ciononostante non mancarono voci di dissenso dalla negritudine intesa da autorevoli pensatori neri come una sorta di razzismo in antitesi al razzismo propugnato dai bianchi, partorito da mentalità ancora intrisa e sofferente di colonialismo (il poeta nigeriano Wole Soyinka, premio Nobel per la letteratura e lo stesso Cèsaire che, pur creatore del termine, a poco a poco se ne allontana). I più accesi nazionalisti parleranno con toni un po’ beffardi e antitetici di 'tigritudine' .
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Aime Cèsaire (Martinica 1913 – 2008): 'Negro sono, negro resto'.
Merita un pur breve cenno.
Come abbiamo già detto, Martinicano, poeta, scrittore, drammaturgo, e politico. Di idee comuniste e come tale iscritto al partito comunista francese, da cui poi si dissocerà, quando i carri armati sovietici invasero l’Ungheria. Studiando a Parigi anch’egli, fa la conoscenza di Leopold Sedar Senghor e con lui e con altri intellettuali negri, dopo avere appreso e scoperto, attraverso la letteratura europea, i tesori artistici, spirituali e ancestrali dell’Africa negra, conia e diffonde il concetto etico-sociale di negritudine che appare per la prima volta sulla rivista 'L’etudiant noir'. Studiò, come Senghor, il filosofo tedesco Hegel di cui ammirò molto la frase 'non dalla negazione del singolo che si va all’universale, ma dall’approfondimento del singolo'. E su questa scia Cèsaire soleva dire 'vedi, più saremo negri, più saremo degli uomini'. E ancora 'il razzismo imperialista non si sconfigge con un razzismo di segno opposto. Cuore mio, preservami completamente dall’odio, non fare di me un uomo d’odio, per il quale provo soltanto odio. Ciò che voglio è contro la fame universale, contro la sete universale'.
Insomma non bisogna vergognarsi del proprio essere, ma affermare questo, la propria identità, in un concetto più generale di libertà e universalità. Ed eravamo in un’Europa tra due guerre mondiali ed ove imperversavano le dittature.
Si battè contro la negazione della libertà, contro il razzismo, il sopruso, l’umiliazione assunta a sistema di potere, si battè per l’indipendenza della Martinica dal colonialismo francese, pur diventando deputato della sua isola all’Assemblea generale francese. Fu anche sindaco della capitale Fort-de-France dove mori nel 2008. Nel 2005, per la sua coerenza e dirittura morale e intellettuale, si schierò contro la legge della destra francese che trattava degli aspetti positivi della colonizzazione e non volle ricevere il ministro degli interni francese di allora Nicolas Sarkozy che aveva approvato tale legge.
Grande e copioso come poeta (fra i maggiori del XX secolo), scrittore e drammaturgo, assertore dei valori e della cultura negro-africana negati dalla ideologia colonialista, si interessò alla letteratura europea pur privilegiando opere riguardanti la condizione dei negri e degli schiavi. Non a caso il suo poema più noto è il Diario del ritorno al paese natale (1939), il cui titolo, di per se stesso, è abbastanza significativo e pieno di speranza: 'E’ per voi che parlo / la mia bocca sarà la bocca dei dolori che non hanno bocca / la mia voce la libertà che si affaccia al buio della disperazione'. Il poema divenne negli anni sessanta il simbolo dell’indipendenza africana. Pensate a quanti negri dell’Africa nei secoli scorsi sono stati a forza deportati nel nuovo continente, come oggetti di mercimonio, e così ferocemente allontanati per sempre dal loro luogo natio, dalla loro gente, dai propri affetti! E questa era la cosiddetta civiltà europea! Le sue opere - per il loro contenuto universale - sono state tradotte in diverse lingue, fra cui l’inglese, l’italiano, lo spagnolo, il tedesco ed altre ancora.
SENGHOR E LA SICILIA
Senghor venne più volte in Sicilia e a Palermo in particolare anche attraverso la mediazione del Consolato del Senegal per la Sicilia.
L’allora magnifico rettore dell’Ateneo palermitano Ignazio Melisenda Giambertoni -come ricorda il prof. Adelfio Elio Cardinale in un articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia nel 2006 in occasione del centenario della nascita di Senghor - gli conferì la laurea honoris causa in lettere, quale proposta scaturente dalla facoltà di Lettere e Filosofia presieduta da Antonino Buttitta con la seguente motivazione: 'Poeta e letterato, politico e uomo di stato, ha contribuito col pensiero e con l’azione al processo di liberazione dell’Africa e al rafforzamento dei vincoli con l’Europa, fedele ad un progetto di integrazione culturale e di socialismo umanistico. Confluiscono nella sua opera poetica la tradizione africana e gli influssi della lirica europea, soprattutto del surrealismo. In Leopold Sedar Senghor l’Ateneo di Palermo vuole onorare la grandezza del poeta e la saggezza del politico, che con coerenza ed onestà di tutta una vita ha gettato un ponte tra i due continenti e le due civiltà.' Era il 21 gennaio 1986 alla presenza della commissione di laurea e di tutto il Senato accademico. Per l’occasione parlò a braccio il prof. Giusto Monaco che in latino pronunciò la laudatio, affascinante e calorosa.
Il cardinale Salvatore Pappalardo che incontrò Senghor in arcivescovado parlò sulla stampa della 'lezione del poeta negro', che seppe contemperare e diffondere in terra d’Africa i valori cristiani che non conoscono razze e colori di pelle, fondando così le basi per un futuro rinascimento fra le stesse sponde del Mediterraneo e gli stessi Paesi. Per l’occasione il Comune di Monreale gli conferì la cittadinanza onoraria.
Eco nazionale ed internazionale ebbe poi lo storico incontro a palazzo Butera fra Senghor e Leonardo Sciascia, il quale definì il suo illustre interlocutore come il 'Leopardi africano', mentre, a sua volta, Senghor definì l’opera del famoso scrittore siciliano 'realismo lirico'.
Nella sua lectio magistralis, pronunciata nell’ateneo palermitano, il grande Africano si nomò come civis romanus e cittadino del mondo, volendo nel suo messaggio di vita integrare le due culture, africana e occidentale, come in passato fecero, fra gli altri, Terenzio e Sant’Agostino, e puntualizzando la secolare importanza della Sicilia, per la sua centralità geografica e storico-ideologica e per le plurime esperienze passate dei vari popoli che l’hanno abitata e che quindi l’anno fatta diventare il modello di simbiosi biologica e culturale di tutto il bacino del Mediterraneo. Concludendo il suo pensiero in un auspicio di pace fra i tre continenti che si affacciano su quel mare che era ed è nostrum.
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Nel centenario della nascita, e cioè nel 2006, si svolse a Bagheria un interessante convegno proprio sull’opera e sulla vita del grande Africano, e l’anno successivo furono pubblicati gli atti. L’evento fu organizzato dal Centro Culturale Francese di Palermo e gli atti furono curati da Muriel Augry, vice direttore del Centro, e da Tommaso Romano, noto poeta e saggista siciliano.
Fu ricordato, per l’occasione, come Senghor abbia incarnato l’anima negra, trasfondendola nei valori dell’universalità, raccontando le vicende patite dal suo popolo in tre secoli di abietta deportazione dei negri africani in America, argomento di cui abbiamo più sopra già parlato. Ha voluto così riscattare la sua gente e il Senegal, facendone 'un popolo, uno scopo, una fede', quale espressione che divenne l’inno dell’Africa nera. Come cittadino romano e del mondo, nel suo sentirsi parte dell’universale, ma senza dimenticare la sua identità, Senghor dimostra che ogni negro è potenzialmente bianco e viceversa, che è istintivo il concetto di pace e di umana fratellanza, pensando e scrivendo in latino al ritmo del tam tam (ma avendo come sua lingua di base il francese, lingua neolatina, il percorso gli fu in certo senso più facile e naturale).
Insomma, ecco la grande utopia di Senghor: ridare al popolo africano la propria identità ma nel contesto della realtà odierna. E per questo egli amava la Sicilia, anch’essa terra del cosiddetto 'meticciato', ove l’ibridismo di razze diverse confluisce verso l’unità e la condivisione.
SENGHOR E TRAPANI
Prima di concludere queste brevi note su Leopoldo Sedar Senghor, desidero, e con molto piacere, ricordare i rapporti che il grande africano ebbe con uno stimato e recentemente scomparso nostro concittadino, il prof. Melchiorre Sanci, docente emerito di Latino e Greco al liceo classico Ximenes. Certamente si stimavano a vicenda, inizialmente magari sorpreso il nostro prof. Sanci di come un uomo della lontana Africa nera conoscesse così bene la lingua dei nostri padri, il latino. Tant’è che Leonardo Sciascia, che conobbe personalmente Senghor, in una lettera inviata al prof. Sanci dopo una serata culturale trascorsa insieme, si compiacque che Egli avesse ricordato Senghor e la scuola del Senegal, a fronte della barbarie da cui noi siamo presi (ed era un lontano luglio del 1979).
Senghor e Sanci si scambiavano corrispondenza epistolare in francese e in latino, che ancor oggi ci stupisce e ci commuove. Ho, quindi, il piacere e l’onore di mostrarvi una lettera di Senghor e una di Sanci, conservate dalle figlie che ringrazio per la loro cortesia.
E a questo punto, concludendo, mi piace immaginare che il grande Poeta africano e il nostro grande Latinista trapanese discutano insieme nelle valli Cielo, magari parlando in latino, mentre lontani echeggiano i suoni del tam tam e di ciuri ciuri…
Leonardo Poma
(relazione tenuta il 5 aprile 2013 per la Libera Università Tito Marrone di Trapani)
Dedica alle figlie del Prof. Melchiorre Sanci: 'Maximo in clari magistri Melchiorre Sanci filias studio.'
Inserito il 05 Aprile 2013 nella categoria Relazioni svolte
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