La struttura della tragedia nello studio di Giuseppe Abbita
Relatore: Dott. Giuseppe Abbita
Questa tragedia, che mette le povere donne in balia di un’inevitabile fatalità, non ha una trama drammatica propriamente detta. La struttura di questa tragedia non potrebbe essere più semplice e più facilmente intelligibile. La maggior parte dei personaggi rimane sulla scena per la durata di un solo episodio: Cassandra è presente unicamente nel primo; Andromaca nel secondo; Elena e Menelao nel terzo. È dunque innegabile la pluralità di quadri, da cui deriva l’impressione di momenti giustapposti l’uno all’altro in una struttura paratattica che conferisce alla tragedia una struttura a polittico. L’unità della tragedia è stata in passato negata, talora aspramente, né la presenza costante sulla scena di Ecuba, l’ unico personaggio in tutta la tragedia, e 'catalizzatore' delle vicissitudini dei personaggi che si susseguono nello spazio scenico, non è in grado di dare unità poetica alla composizione. L’unità è piuttosto da ricercare all’'esterno', o per meglio dire nella profonda certezza che noi spettatori continuiamo a sentire e che, in ultima analisi, dà unità al dramma: e cioè che l’eroismo dei vinti e la loro immensa disgrazia sorpassano in bellezza l’apparente vittoria del vincitori. Ecuba non lascia la scena per un solo momento e sembra incarnare il Dolore.La vecchia Ecuba, prostrata davanti alla sua tenda, piange sul suo destino mentre cerca invano di rassegnarsi ad essa; V[i]engo trascinata via dalla reggia/come schiava,/io, una povera vecchia,/con il capo raso, pietoso a vedersi….[/i] La regina viene circondata dalle prigioniere troiane, divise in due semicori.Le prigioniere si stanno avviando verso le navi, mentre quelle di alto lignaggio attendono il responso che le designerà a sorte, come schiave, ai comandanti Achei.Ecuba sembra per un tratto rassegnarsi al suo destino. E se fossi destinata ad Atene, l’illustre , felice terra di Teseo? A Sparta, l’odiosissima dimora di Elena , si augura proprio di non giungere mai. In secondo luogo, dopo Atene, si augura di potere giungere alla vallata dell’Olimpo e quindi in Sicilia, l’etnea terra di Efesto.L’araldo Taltibio giunge con l’atteso verdetto. Ecuba chiede, ansiosa, il destino delle sue figlie. Cassandra è stata scelta da Agamennone come concubina; a Polissena invece è stato imposto di servire alla tomba di Achille, il che significa che la principessa è stata sgozzata sulla sua tomba. Ma la sventurata regina non ha ancora capito la perifrasi e pensa che la figliola sia ancora in vita. Andromaca andrà invece a Neottolemo, figlio di Achille.Ecuba infine è stata assegnata, per sorteggio, ad Odisseo, da lei definito: un essere immondo, subdolo,/nemico della giustizia,/un mostro senza legge.[i] [/i]Le parole di Ecuba ben si adattano a questo personaggio, tessitore di trame, senza scrupoli, amorale. Non sa ancora, poverina, quale altra atrocità, quale altro crudele dolore, Odisseo le ha riservato.Nella successiva scena Cassandra, in preda al delirio, tenendo alta una torcia accesa, invoca le nozze con Agamennone, consacrando questa face ad Imeneo, dio tutelare del matrimonio e ad Ecate, divinità legata al mondo dei morti e alla magia. Le sue non saranno nozze d’amore, ma di morte. Ecuba non la distolga dai suoi propositi. Le nozze con Agamennone saranno nozze amare: coloro che sono per me e per te i più odiosi, con le mie nozze io li distruggerò. Cassandra si prepara ad immolarsi per distruggere i suoi nemici, e vendicare i fratelli e il padre. Mentre gli Achei morivano lontano dalla loro patria, rimanendo spesso insepolti e senza onori, i suoi compatrioti, i Troiani, conobbero invece la gloria più alta: morivano in difesa della loro patria, la gloria più bella, sul patrio suolo avevano l’abbraccio della terra.Cassandra inoltre predice che la madre non raggiungerà la casa di Odisseo ma morirà in patria, e all’odioso Odisseo predice dieci anni di peripezie e di sventure. Libera quindi le bende sacre al vento e chiede di imbarcarsi al più presto per la sua destinazione.Continua il lamento di Ecuba che, da regina felice ed onorata, si vede ridotta in schiavitù. Ha visto cadere i suoi figli sotto la lancia greca ed ha reciso i suoi capelli sulle tombe dei loro corpi. Ha visto Priamo sgozzato sul focolare dell’altare domestico e le figlie le sono state strappate dalle mani. Ora sarà costretta serva alla porta a custodire le chiavi, a preparare il pane, a dormire per terra, indossando laceri cenci su un corpo lacero. Pronuncia infine la massima di soloniana memoria: 'di quelli che sono fortunati non ritenete nessuno felice, prima che muoia'.Il coro intona ora un epicedio, un canto funebre per Troia e per le sue vittime innocenti, eseguito dalle protagoniste del dramma sulle macerie fumanti della città.Atipico è l’incipit di questo canto funebre con una inusuale invocazione alla musa.L’apostrofe alla Musa è insolita per una ode tragica, così come è particolare l’immagine della Musa in tragedia. [i]'Circa Ilio, o Musa,/con lacrime cantami/una melodia funebre di nuovi inni'[/i]. Dopo avere raccontato i momenti felici e di festa con cui fu accolto il cavallo degli Achei, il quadrupede carro, il ligneo simulacro, il coro ricorda, subito dopo, i momenti funesti e sanguinosi della distruzione della città con la descrizione di immagini di eventi sciagurati per i Frigi: bimbi impauriti che si attaccano ai pepli delle madri, teste mozzate, fanciulle deportate. ..[i]un grido lugubre/invase tutta Pergamo./E bimbi affettuosi verso la madre le mani sgomente/protendevano ai pepli:/dall’agguato usciva Ares,/opera della vergine Pallade./Presso gli altari stragi dei Frigi,/e nei letti solitudine di teste mozzate/recava serto di fanciulle/all’Ellade che nutre giovani,/lutti alla patria dei Frigi.[/i] - Questi versi erano molto conosciuti ad Atene. Secondo quanto riferisce Plutarco alcuni prigionieri ateniesi della spedizione in Sicilia dovettero la propria salvezza ad Euripide, perché ottennero acqua e cibo cantando i suoi versi. Tra i quali, quasi di sicuro, ci saranno stati i versi del canto funebre per Troia, gli ultimi ascoltati a teatro dagli Ateniesi, prima della partenza per la fatale spedizione. Giuseppe Abbita - Continua.
Inserito il 10 Giugno 2020 nella categoria Relazioni svolte
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