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L'ammitu di San Gnjuseppi

Una celebrazione pagana che risale alle 'iniziazioni' consacrate a Dioniso, a Demetra Pomona e a Persefone. Ne ha parlato il prof. Michele Russo

Una devozione popolare tra sacro e profano

                     Ogni qual volta il nostro pensiero va ai dodici mesi dell’anno, finiamo sempre con l’associarli ad una festività. Marzo 'pazzerello' è associato alla Primavera e alla festività di San Giuseppe, nella quale sopravvivono tante tradizioni legate alla religiosità popolare come la 'Cena di San Giuseppe', meglio conosciuta nella nostra lingua, come 'l’ammitu di San Giuseppi'.
In tale devozione il 'sacro' del rituale cristiano – cattolico si fonde col  contesto sociale tradizionale del popolo siciliano, che affonda le sue radici in un passato, autoctono, greco e romano, ma che è anche eredità araba, normanna e spagnola. Sul significato e il senso di questa Immagine riferita a: L'ammitu di San Gnjuseppitradizione ci sono varie ipotesi remote e meno, pagane e cristiane.
Tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere che è, senza dubbio, una celebrazione pagana legata all’attività agro pastorale, ai riti dei campi che celebrano annualmente la periodicità cosmica e umana. L’abbondanza delle pietanze, con la presenza sempre di una spiga, infatti, simboleggia l’auspicio per un buon raccolto. Pertanto, alcuni la fanno risalire alle 'iniziazioni' consacrate a Dioniso e a Demetra Pomona e a Persefone che trovano la massima espressione nei Misteri Eleusini.
In Sicilia il culto della dea delle biade  sopravvisse nella nuova religione. Nell’era cristiana non fu facile, infatti, abbandonare o distruggere riti e costumanze, che rispondevano ai bisogni ed alle aspirazioni di un popolo dedito in gran parte alla vita agricola e che offrivano occasione ad allegre feste delle plebi in onore di chi dava loro il pane e la farina.
E così, di anno in anno, di secolo in secolo, gli abitanti della Sicilia continuarono a preparare gli altari di ringraziamento per il ritorno della fertilità della terra divenendo sempre più belli e ricchi e offrendo a chi aveva fame tante pietanze, tutte provenienti dal mondo vegetale, perché è su di esso che regna Demetra e a grande influenza Dioniso. In seguito la stagione del risveglio della natura si chiamò Primavera e la sua festa, così fortemente sentita dagli uomini, perché indispensabile al loro sostentamento, continuò ad esistere con tutti i suoi simboli di altari votivi di ringraziamento ad una divinità
La Chiesa cattolica, consapevole dell’impossibilità di far dimenticare questo rito, lo ha valorizzato e  ha elevato San Giuseppe a santo dei lavoratori e custode della famiglia, attribuendogli la protezione dei poveri e degli orfani, e la sua festa è diventata la più rappresentativa e conosciuta fa quelle che hanno come elemento principale il pane, anzi è diventata la festa più famosa che celebra il vero trionfo del pane. I pani, la cena e gli altari in onore del santo sono diventati il simbolo nella nostra terra, un misto di sacro e profano, di storia e  tradizione.
In essi si stabilisce il nesso tra paganesimo e cristianesimo. Le forme pagane simboleggianti la rinascita vegetale, quali fiori, frutti, baccelli, alla base della antichissima devozione alla triade Dioniso-Demetra-Persefone, si fondono con quelli simboleggianti Cristo e la vita dello Spirito, quali il crocifisso, l’ostensorio, l’ostia consacrata da grappoli d’uva, i candelabri simboleggianti la luce dell’anima.
Questa simbologia incentrata intorno alle immagini della fecondità e del rinnovamento rende chiaro il senso profondo della festa del Patriarca, malgrado la riproposizione dei suoi significati entro i valori cristiani della devozione al Santo e della carità verso i diseredati. È riconducibile a questi valori, infatti, la presenza e l’importanza dei poveri per i quali la Cena veniva preparata e per i quali il mangiare piuttosto abbondante, almeno una volta e nelle feste padronali, si configurava come straordinario e unico.
Misticismo, fantasia e tradizioni compongono, infanti, un quadro ordinato, multicolore, ricco di elementi che testimoniano la ricchezza della genuina e spontanea cultura contadina.
Il compendio di tale culto è la data del 19 marzo, che precede di un solo giorno l’equinozio di primavera e che rappresenta il risveglio della natura e l’inizio del processo di maturazione dei frutti e, quindi, la raccolta dei prodotti agricoli.
Il tempo della festa rappresenta una dimensione speciale dell’esistere in cui il cibo diviene elemento di un diverso codice di accesso alla realtà, al sacro, riproponendo la periodicità della vita, il 'dramma' ciclico della creazione.
Il banchetto preparato dalle donne per la Sacra Famiglia in cui dominano le primizie di frutta e ortaggi, i legumi e i cereali, i pani finemente intagliati a raffigurare l’intero creato (astri, animali, piante, uomini), il grano fatto germogliare al buio in un piatto,conferma l’originaria valenza della festa. Essa è in ultima analisi un rito d’inizio d’anno, di celebrazione dunque del nuovo tempo e della nuova vita in tutti i suoi aspetti stagionali e umani. D’altro lato i segni della fertilità e della ricchezza alimentare e non,  mostrati negli spazi della festa, assolvono alla funzione di rifondare annualmente, nella comunità contadina, i valori della vita e della rinascita. In tale visione bisogna anche tenere presente il consumo collettivo di grandi quantità di alimenti che oltre ad essere letto in chiave augurale alla festa, va visto come partecipazione alla rigenerazione della vita. Da qui l’abbondanza, l’eccesso, lo spreco. La dimensione 'orgiastica' che connota a vari livelli i rituali di San Giuseppe, assumono, in sostanza, per coloro che vi partecipano, il senso del rinnovamento periodico del mondo e del proprio universo comunitario.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 Questo è il vero 'miracolo' della 'Cena'. E in questo miracolo le donne assumano un posto particolare.
 Anche se la festa di San Giuseppe è la festa al Capo famiglia, all’uomo, essa è soprattutto l’omaggio/apoteosi alla moglie, alle donne, in quanto procreatrici . Esse sono associabili infatti simbolicamente alle forze cosmogoniche e agli emblemi della vita espressi dalla copiosità alimentare e in genere dalla ricchezza.
Nel pomeriggio inizia il via vai dei visitatori degli 'altari'. Soste più o meno lunghe per ammirare il gusto dell’addobbo, ma anche per chiacchierare. Infine a tutti viene offerta una formetta di pane lavorato e benedetto.
Inoltre, sia durante la cerimonia che per tutto il pomeriggio, poeti - contadini, ormai sempre più rari, recitano dinanzi agli altari lunghi componimenti poetici a soggetto sacro in rima baciata o alternata, che mettono in risalto la bontà del Santo, la virtù della Madonna, il sacrificio di Gesù. Queste lunghe strofe in dialetto siciliano sono tramandate oralmente da padre in figlio e vengono comunemente chiamate i ' parti di San Giuseppe'. Sono composizioni che hanno sfidato i secoli e sono arrivate fino a noi malgrado nessuno le avesse mai scritte dal momento che gli autori – contadini non sapevano né leggere né scrivere.
La testimonianza delle centinaia di composizioni poetiche che vengono recitate e cantate sostengono le origini molto antiche della cerimonia. Molte sono le affinità tra le 'parti' e i vecchi canti dei contadini e carrettieri, che erano delle vere e proprie suppliche a Dio e che venivano cantate nelle aie durante la trebbiatura o durante il trasporto del grano con i carretti.
La festa ha anche un aspetto ludico . Alcuni giochi, ormai dimenticati dai giovani, tutti presi da quelli multimediali, vengono riproposti, con lo scopo di far rivivere la festa come si
Infatti, la sera del 18 marzo, al suono della campana della chiesa parte una fiaccolata che converge in un luogo prestabilito ove si fa la 'vampata' cioè si brucia una enorme catasta di legna. Una volte, soprattutto ad opera dei ragazzi, il falò veniva preparato negli incroci di due strade, molto tempo fa, direttamente in campagna. Quando le fiamme si affievolivano si faceva a gara a saltare la catasta di legna accesa e, mentre si passava attraverso le fiamme, si lanciavano grida inneggianti al Santo. Tale gesto, interpretato dai giovani di ieri e di oggi, come atto di coraggio, in effetti, è l’ atto di purificazione, che si ottiene passando attraverso il fuoco, che dà la possibilità di partecipare alla festa.
Oltre alla consuetudine dei falò, la tradizione ricorda lo svolgimento di tre giochi di abilità: 'la gara nel mangiare gli spaghetti con le mani legate dietro la schiena', 'u jocu di pignateddi' ( il gioco della rottura delle pentole) e 'u jocu a ‘ntinna' (l’albero della cuccagna).
La festa di San Giuseppe si celebra ancora ai nostri giorni e, rispetto a tante altre, resta la più sentita anche se fino a pochi decenni fa era tutt’altra cosa. Infatti il tempo trascorso, le trasformazioni subite dalla società, il minor impegno religioso delle masse, i nuovi interessi e il modo nuovo di vivere la vita hanno fatto venir meno gli elementi essenziali che sostenevano ed arricchivano la cerimonia. La festa oggi va sempre più assumendo i connotati di un vero e proprio spettacolo Ha perduto parte della sua spontaneità, ma rimane ancora un’occasione di letizia, una manifestazione che oppone ad un mondo che va di fretta momenti di suggestione e di meditazione. La partecipazione, seppure massiccia, è più distaccata. Si stanno affievolendo le 'intese' che creavano nell’ambiente un rapporto intimo e familiare fra i partecipanti. Tuttavia, rimane l’ultima occasione che si aggancia alla cultura contadina di un tempo, ricca di espressioni di cui si vanno perdendo i veri significati.
 Spetta a noi tramandare queste tradizioni e riproporle alle nuove generazioni perché possano riviverle con piacere, orgogliosi di essere discendenti della civiltà contadina ricca di valori umani e religiosi, di solidarietà, generosità, di comunione di spiriti capaci di guardare oltre che al passato anche al futuro.       Michele Russo

 

Autore Prof-Greco

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Inserito il 26 Marzo 2012 nella categoria Relazioni svolte