Logo generale del sito:Libera Università “Tito Marrone“ Trapani

Libera Università Tito Marrone > Relazioni svolte > L'amore, filo conduttore della Divina Commedia

Il logo della sezione del sito denominata  L’amore, filo conduttore della Divina Commedia

L'amore, filo conduttore della Divina Commedia

Un'esaltante relazione all'insegna del sommo poeta fiorentino, condotta dal nostro Presidente, prof. A. Tobia

Relatore: Prof. Antonino Tobia

<_div style="mso-element:para-border-div;border:solid #EEEEEE 1.0pt;mso-border-alt: solid #EEEEEE .25pt;padding:7.0pt 14.0pt 0cm 0cm;background:#E1EFF7">

Nessuno ha il diritto di privarsi di quella felicità, la Commedia, di leggerla in modo ingenuo. Poi verranno i commenti, il desiderio di sapere cosa significa ogni allusione mitologica, di vedere come Dante ha preso un grande verso da Virgilio e forse lo ha migliorato traducendolo. Dapprima dobbiamo leggere il libro con la fede di un bambino, abbandonarci ad esso; poi ci accompagnerà fino alla fine. È con me da tanti anni e so che non appena lo aprirò domani troverò cose che non ho trovato fino ad ora. So che questo libro andrà oltre la mia veglia e le nostre veglie.

Jorge Luis Borges,Siete Noches

Immagine riferita a: L'amore, filo conduttore della Divina CommediaCari amici, da quando abbiamo intrapreso il nostro percorso culturale e amicale, dal lontano 2013, abbiamo sempre riservato un posto d’onore alla memoria del poeta fiorentino, di nascita e non di costumi, come egli teneva a precisare. Ed in effetti Dante non appartiene ad una sola città, ma rappresenta il profeta dell’Italia unita, il padre della lingua italiana, cui ha dato una struttura sintattica, un ampio vocabolario e un modo elegante di verseggiare con l’invenzione della terzina incatenata, detta proprio terzina dantesca. Inoltre, col trattato Monarchia, ha indicato all’umanità interna la via politica da perseguire per assicurare la pace tra i popoli attraverso il sistema federale, a cui oggi noi cittadini europei con difficoltà tendiamo. Non potevamo, quindi, chiudere questo breve corso di conferenze, senza onorare, nella modestia delle nostre possibilità, la memoria del Sommo poeta insieme a voi, a 700 anni dalla sua morte

Questi nostri incontri, al di là dell’aspetto culturale, esprimono la volontà di stare insieme, legati dalla stima reciproca e soprattutto da sincera amicizia, dove l’aggettivo deriva dal latino sine cura, vivere cioè momenti senza alcuna preoccupazione, mentre il lessema amicizia conserva l’etimo del verbo amare, e rappresenta il tema che Dante tratta come filo conduttore del suo viaggio ultraterreno, nelle varie sfaccettature, in cui può esprimersi. Questo forte sentimento si può manifestare come passione, dettata dall’attrazione fisica, come delicato sentimento di dedizione verso la persona amata, o ancora come tendenza della creatura a ricongiungersi col Creatore, che è di per sé amore, anzi l’amor che move il sole e l’ altre stelle

Il progetto della Commedia ha il suo incipit nel desiderio, anticipato nella Vita Nova,di rendere eterno il ricordo di una donna, Beatrice, da Dante amata fin dal loro primo incontro nella più tenera età e morta giovane a soli ventiquattro anni. La morte non spegne l’amore, che non conosce confini né spaziali né temporali. Beatrice continua a vivere nella mente e nel cuore di Dante e, a distanza di 700 anni, è viva anche nel nostro letterario conversare grazie al Sommo poeta

Erano le tre di pomeriggio, quando Dante all’età di diciotto anni incontrava Beatrice che passeggiava con due donne più adulte. Apparve al poeta come una visione celestiale, vestita di bianco, simbolo della purezza. Quella dolcissima sensazione, sublimata dal saluto, si trasferì immediatamente in sentimento e in virtù poetica:

I’ mi son un che quando/ amor mi spira, noto, e a quel modo/ ch’e’ ditta dentro vo significando (Pg. XXIV 52-54). Era già questa la disposizione d’animo del poeta nei confronti della poesia, come voce del cuore, e da qui il mirabile sonetto:

«Tanto gentile e tanto onesta pare

la donna mia, quand’ella altrui saluta,

ch’ogne lingua devèn, tremando, muta,

e li occhi no l’ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,

benignamente e d’umiltà vestuta,

e par che sia una cosa venuta

da cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi sì piacente a chi la mira

che dà per li occhi una dolcezza al core,

che ’ntender no la può chi no la prova;

e par che de la sua labbia si mova

un spirito soave pien d’amore,

che va dicendo a l’anima: Sospira.»

Beatrice. la figlia del ricco banchiere Folco Portinari, diventa l’anima stessa di Dante, e sarà lei la vera e unica guida del Poeta. Per amore, Beatrice, spirito celeste, non disdegna di scendere nel Limbo e di esortare il poeta latino Virgilio a guidare con la sua esperienza e la sua ragione l’amico suo disperato, in preda alle passioni terrene, che gli offuscano la coscienza e gli impediscono di scalare il colle illuminato dai raggi del sole. Anche in questo sentiamo Dante a noi contemporaneo, nel ruolo di protagonista che riserva alla donna. a dispetto della posizione sociale estremamente secondaria, cui erano soggette le donne nell’età dei Comuni.

La donna, considerata inferiore all’uomo dalla società medievale e dal diritto canonico, è da Dante valorizzata nella sua operosità salvifica nei confronti dell’uomo.

Immagine riferita a: L'amore, filo conduttore della Divina CommediaTre donne si prendono cura dello smarrimento di Dante: prima fra tutte la Vergine Maria che, alla fine dell’ itinerario ultraterreno intrapreso da Dante, gli consentirà di godere della visione estrema e di cogliere il mistero della Trinità,nella sua unità : la divina podestate (Padre), la somma sapienza (il figlio) e il primo amore (lo Spirito Santo) (Inf., III 4-6). Maria, madre misericordiosa, allegoria della grazia preveniente, si rivolge a Lucia affinché provveda alla salute del suo devoto. La Santa a sua volta sollecita l’intervento di Beatrice, la donna che in vita aveva profondamente conquistato l’animo di Dante con la gentilezza del suo saluto, l’onesta dei costumi, l’umiltà dell’atteggiamento. La poetica della Scuola siciliana e la frequentazione degli amici stilnovisti avevano indirizzato Dante a concepire la donna nella sua autonomia spirituale e ad attribuirle la funzione di donna-angelo, creatura demiurgica tra la terra e il cielo. Il poeta è lontano dall’atteggiamento misogino predicato dai Padri della Chiesa ed è pronto a comprendere ogni volta il dramma delle donne che introduce nella sua Commedia. Si tratta di numerose figure sospese tra cronaca e immaginazione. In particolare, tre donne rimangono scolpite nella memoria del lettore: Francesca, Pia e Piccarda, e attraverso queste presenze femminili il Poeta rappresenta modi diversi di intendere l’amore.

Con l’episodio di Francesca Dante affronta il tema dell’amore come passione sensuale, che allo stesso tempo è piacere carnale, ma anche peccato quando gli amanti la ragion sommettono al talento.

Nel canto V dell’Inferno, il dramma di Francesca da Rimini è presentato in tutta la forza espressiva della parola amore, che l’anafora introduce icasticamente nelle tre terzine, tra le più note della Commedia:

<_div style="mso-element:para-border-div;border:solid #EEEEEE 1.0pt;mso-border-alt: solid #EEEEEE .25pt;padding:7.0pt 14.0pt 1.0pt 0cm;background:#E1EFF7">

Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,

prese costui de la bella persona

che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.

<_div style="mso-element:para-border-div;border:solid #EEEEEE 1.0pt;mso-border-alt: solid #EEEEEE .25pt;padding:0cm 0cm 0cm 0cm;background:#E1EFF7;margin-left: 13.6pt;margin-right:0cm">

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,

mi prese del costui piacer sì forte,

che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Amor condusse noi ad una morte.

Caina attende chi a vita ci spense».

<_div style="mso-element:para-border-div;border:solid #EEEEEE 1.0pt;mso-border-alt: solid #EEEEEE .25pt;padding:0cm 0cm 0cm 0cm;background:#E1EFF7">

Francesca è una donna innamorata, colta, giovane, incline alla gentilezza. Di contro la sua ingenuità e la delicatezza del suo animo sono state violentate dalla rozzezza di uno sposo impostole per ragion di stato.

Paolo, fratello del marito, è l’unica persona che sa corrispondere ai bisogni dell’animo sensibile della giovane sposa, ingannata nel suo sogno d’amore. Si stabilisce fra i due cognati una corrispondenza affettiva, incoraggiata dal comune interesse per la lettura:

Noi leggiavamo un giorno per diletto

di Lancialotto come amor lo strinse;

soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fïate li occhi ci sospinse

quella lettura, e scolorocci il viso;

ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disïato riso

esser basciato da cotanto amante,

questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi basciò tutto tremante.

Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:

quel giorno più non vi leggemmo avante».

È difficile comprendere lo sconvolgimento che può accadere nell’animo umano, quando il ’talento’ soffoca gradualmente la ragione.Le manifestazioni della passione scorrono come onde elettriche,  che agitano  il cuore e annebbiano la mente. Il rapido movimento degli sguardi, il tono della voce spezzato, il pallore del volto, un leggero tremore che attraversa tutto il corpo sono i primi cenni di una passione che monta, come già secoli prima ha mirabilmente cantato Saffo innamorata. Basta un minimo intervento esterno, un’occasione galeotta a far  esplodere il desiderio, che diventa passione irrefrenabile. Chi ama sente che la persona amata è la parte mancante del suo io, il completamento della sua anima, come plasticamente si legge dall’abbraccio che tiene stretti Paolo e Francesca, incuranti della bufera infernale. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse. Dante ha voluto conoscere i particolari che portarono i due innamorati a rivelare i loro sentimenti e la via che li condusse a dare sfogo alla loro passione. La vera protagonista di quest’amore è Francesca, mentre Paolo si limita ad accompagnare col pianto le parole della sua amante.

È Francesca che pronuncia il postulato dell’amore: Amor a nullo amato amar perdona. Così Francesca spiega e giustifica il suo adulterio, senza alcun tentennamento. Ma, quanto lei afferma induce Dante a riflettere sulla natura dell’amore e sui suoi effetti. Egli, che dall’amore ha tratto motivo d’ispirazione, insieme ai suoi amici stilnovisti, ora si chiede come un sentimento tanto nobile possa tradursi in dannazione eterna. Il viator è profondamente commosso dalle parole della sua interlocutrice, e perciò vuole saperne di più, andare in profondità e conoscere quando e come il limite del lecito sia stato superato dai due amanti. Finalmente ottiene la risposta. Francesca racconta del libro, che i due cognati leggevano per diletto, ed esso stesso diventa immediatamente motivo di scandalo agli occhi del poeta. Il libro avallava l’amore peccaminoso dell’adultera Ginevra, la moglie del re Artù, per il bel cavaliere della Tavola rotonda, Lancillotto. Dante, a questo punto, si erge a giudice, non tanto nei confronti dei due amanti, quanto nei confronti dei cattivi maestri, corruttori della coscienza dei giovani. E in questo il suo pensiero è oltremodo moderno, se consideriamo gli effetti negativi che esercitano sulla formazione degli adolescenti gli attuali mezzi di comunicazione

La tragica vicenda di Francesca da Rimini fu motivo ispiratore del poema sinfonico di Tchaikovsky, scritto a Mosca nel 1876 in sole tre settimane, di getto, con una rappresentazione musicale altamente lirica, con un finale drammatico, in cui il coro annuncia la tragica conclusione della relazione amorosa e la danza infernale, accompagnata dagli strumenti di percussione, vuol significare che i due amanti saranno condannati per l’eternità, peccatori lussuriosi. Anche Silvio Pellico scrisse una tragedia su questo tema, immaginando che Francesca prima odiasse Paolo, che in guerra aveva ucciso suo fratello, ma avendolo rivisto alla vigilia delle sue nozze, destinata al fratello Gianciotto, se ne innamorasse perdutamente.Il 9 dicembre 1901 Gabriele D’Annunzio mise in scena al teatro Costanzi di Roma la sua tragedia in cinque atti Francesca da Rimini, con Eleonora Duse nella parte della protagonista

Il poeta sceglie ancora il quinto canto, questa volta della cantica del Purgatorio, per denunciare la violenza efferata, di cui fu vittima Pia dei Tolomei. Pia de Tolomei è una nobile senese, andata sposa a Nello dei Pannocchieschi, signore del castello maremmano della Pietra. A Dante era giunta notizia che il marito avesse fatto uccidere la moglie per risposarsi con Margherita degli Aldobrandeschi. Una seconda versione considera l’uxoricidio un atto di gelosia.lNello era partito per la guerra e durante la sua assenza il suo migliore amico, Ghino, aveva tentato di sedurre Pia inutilmente. Per vendicarsi del rifiuto, Ghino riferì al marito che Pia lo tradiva. Nello credette all‘amico e rinchiuse Pia in un castello in Maremma, dove la donna si ammalò di malaria, o forse, spinto dalla gelosia la fece precipitare dall’alto del castello

 

<_div style="mso-element:para-border-div;border:solid #EEEEEE 1.0pt;mso-border-alt: solid #EEEEEE .25pt;padding:7.0pt 14.0pt 0cm 0cm;background:#E1EFF7">

Deh, quando tu sarai tornato al mondo,/ e riposato de la lunga via,/ seguitò ‘l terzo spirito al secondo,/ ricorditi di me, che son la Pia;/ Siena mi fé, disfecemi Maremma,/ salsi colui che inanellata pria / disponsando m’avea con la sua /gemma (vv.130-136).

Dei tre personaggi, che Dante incontra tra le anime negligenti che subirono una morte violenta, solo Pia, a differenza di Jacopo del Cassero e Buonconte da Montefeltro, si rivolge al visitatore privilegiato con delicate e dolci parole, soffuse di una umanità tutta femminile. Prima di chiedere al pellegrino Dante di ricordarsi di lei al suo ritorno tra i vivi, e ancor prima di presentarsi, con sollecitudine affettuosa augura al suo interlocutore di prendersi una pausa di ristoro dalle fatiche del lungo viaggio ultraterreno. Quindi si presenta come ’la Pia’, facendo precedere l’articolo determinativo al nome, come a voler dire quella famosa Pia, di cui Dante doveva avere avuto notizia. Infatti, secondo gli antichi commentatori, Nello Pannocchieschi avrebbe fatta precipitare la sposa dal balcone del suo castello della Pietra in Maremma nel 1297, quando Dante aveva 32 anni. La rupe da allora ha preso il nome dal personaggio storico: Il salto della contessa. Pia racchiude tutto il dramma della sua esistenza, ricorrendo ad una efficace antitesi che segna il tempo trascorso tra la vita e la morte: Siena, la città dei suoi natali, la Maremma, il teatro sulla cui scena si concluse la sua tragica fine. I verbi da lei usati, fé e disfecemi hanno la medesima radice, e l’allitterazione sottolinea la precarietà del corpo e la sua inesorabile consunzione. Ma il ricordo più bello della sua vita è rimasto impresso nella sua anima, anche dopo il disfacimento della carne. La cerimonia del matrimonio, conclusasi con la donazione dell’anello da parte di Nello, nel momento in cui la prendeva come sua legittima sposa, è ancora presente in tutti i suoi passaggi e lascia poco spazio al gesto violento del marito, che pose fine alla loro unione con un atto scellerato. Se Francesca esprime un giudizio implacabile contro il marito, che aveva ucciso lei e il suo Paolo, e invoca la legge della giustizia divina, che avrebbe relegato Giangiotto nella zona della Caina, tra i traditori dei parenti, al contrario Pia accenna appena al gesto violento dello sposo, lungi dal desiderio di vendetta, sperando forse nel rimorso dell’omicida e pensando al tormento che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita: salsi colui. Dante dedica solo sei versi a Pia dei Tolomei. Ma sono sufficienti per esaltarne la gentilezza d’animo e la cortesia dell’eloquio. La tragica vicenda, che concluse l’esistenza di questa dolce creatura, ci induce a riflettere sulla violenza di genere, che la cronaca registra quotidianamente nel nostro Paese, dove si contano sempre più numerose donne vittime di una sovrastruttura ideologica, che ha lo scopo di perpetuare la subordinazione della donna al maschio, fino ad annientarne l’identità psicologica, e ancor più fisica. La tragica fine di Pia ha continuato a vivere attraverso i secoli e ha ispirato musicisti come Gaetano Donizetti, letterati come Silvio Pellico, autori che avvertivano profondamente la passionalità della vicenda amorosa di Pia, nel clima culturale e spirituale del Romanticismo, mentre nel 1868 il pittore preraffaellita Dante Gabriel Rossetti immortalava l’immagine di Pia in un ritratto di estrema bellezza, conservato all’ università del Kansas.Pia posa con aria malinconica, sguardo nel vuoto, mani che stringono l’anello nuziale. Attorno alla figura il pittore ha disseminato oggetti che completano la narrazione: lance con lo stendardo del marito, un breviario col rosario, lettere d’amore scritte dal marito. Francesca e Pia hanno subito il medesimo tragico destino. Ma nel mondo ultraterreno la loro condizione è diversa. Francesca soffre per l’eternità la bufera infernale che mai non si arresta, apre il suo cuore a Dante, ricorda al suo intervistatore i dolci momenti della sua passione amorosa e la sua tragica fine. Tuttavia non è sola e accanto a lei sta il suo Paolo, in un abbraccio che mai li separerà. Al contrario, Pia è sola e Dante immortala in pochi versi lo stato elegiaco della sua anima, legata ancora alla terra dal ricordo del suo matrimonio che le ha portato la morte.Nel Paradiso e precisamente nel III canto, Dante pone sulla scena un altro personaggio femminile, Piccarda Donati, vittima anch’ella di una forma di violenza. Il critico Francesco De Sanctis per primo colse la vicinanza tematica tra Francesca, Pia e Piccarda, notando la successiva evanescenza delle forme. La prima esprime tutte le sue passioni terrene e s’inebria, noncurante della pena che l’affligge. Pia accenna appena al suo amore terreno, con tocchi che rispondono al quadro spirituale del Purgatorio, dove vige la regola del pentimento e del perdono. In Piccarda le passioni sono svanite, e il sentimento cede il passo solo al ricordo dell’azione violenta subita. La violenza sofferta da Piccarda è di natura morale, chiara manifestazione di quella che era l’infelice considerazione della donna al tempo di Dante, un mero oggetto nelle mani dell’uomo.La presenza di Piccarda in Paradiso era stata annunziata al poeta dal fratello Forese, nel girone dei golosi della montagna del Purgatorio. Questi, alla domanda del suo interlocutore, che gli chiede di Piccarda, risponde con parole che ritraggono la sorella nella sua bellezza e santità e l’informa che è già beata tra le anime del Paradiso. Nel commento dell’Ottimo (secondo alcuni il notaio, letterato e copista fiorentino ser Andrea Lancia, amico di Dante) si legge che Piccarda, figlia di messer Simone Donati, bellissima fanciulla, aveva indirizzato l’anima sua a Dio e voleva conservare la sua verginità entrando nel monastero di Santa Chiara, fondatrice dell’ordine francescano delle clarisse. Sennonché, i suoi fratelli, Corso e Forese, per ragioni politiche l’avevano promessa in moglie ad un nobile fiorentino, di nome Rossellino della Tosa, uomo violento e fazioso, esponente dei Guelfi neri e mandante dell’assassinio di Corso Donati. Pervenuta a Corso la notizia della vocazione della sorella, da Bologna, dove era reggente della città, era piombato a Firenze e a forza l’aveva tratta fuori dal monastero, costringendola ad accettare le nozze impostele. Ancora apprendiamo dall’Ottimo che Piccarda ’immantinente infermò e finì i suoi dì, e passò allo sposo del Cielo, al quale spontaneamente s’era giurata’. Piccarda è il primo spirito del Paradiso, con cui Dante può conversare. Anche per questo incorre facilmente nell’errore contrario a quello commesso fatalmente da Narciso, scambiando quegli spiriti che gli appaiono evanescenti come immagini riflesse e non ’vere sustanze’, come preciserà Beatrice, pronta a correggere con affetto materno l’errore del suo amico.Il ferro insanguinato del marito non spezzò il vincolo d’amore dei due cognati, anzi saldò per l’eternità l’amore tragico di Francesca, in un abbraccio che neppure il castigo divino può o vuole sciogliere. Il ricordo velato di nostalgia tiene legata ancora Pia alla vita terrena e al momento esaltante in cui giovane sposa fu inanellata sull’altare. Piccarda è lontana dalle vicende terrene e accenna solo genericamente a chi lei non ha saputo opporsi, non punta il dito contro chi ha forzato la sua volontà. Ha perdonato come lei è stata perdonata da Dio, che l’ha posta tra i beati. Dante, attraverso la narrazione del dramma di queste donne, vittime della violenza maschile, analizza le diverse forme, in cui l’amore può esprimersi. L’amore adulterino di Francesca, dettato dalla passione, che ottunde la ragione e non teme né la legge umana né la divina; l’amore delicato di Pia, gentile e innocente fanciulla, che crede nella purezza dei sentimenti e che considera il matrimonio un sacramento indissolubile ; l’amore di Piccarda, che nella morte incontra l’amore di quel Dio, che la violenza dei fratelli le aveva impedito di coltivare nel silenzio della clausura. Il Sommo poeta è riuscito a consegnare all’eternità tre fatti di cronaca violenta e ad indicare la cifra della sua modernità di pensiero, disapprovando con fermezza il ricorso alla violenza e rivelando una particolare sensibilità verso l’animo femminile. La donna, del resto, rappresenta il motore di tutta la sua vicenda umana e poetica.prof. Antonino Tobia

Autore Legre

social bookmarking

  • Relazioni svolte, L’amore nella Divina Commedia in Facebook
  • Relazioni svolte, L’amore nella Divina Commedia in Twitter
  • Relazioni svolte, L’amore nella Divina Commedia in Google Bookmarks
  • Relazioni svolte, L’amore nella Divina Commedia in del.icio.us
  • Relazioni svolte, L’amore nella Divina Commedia in Technorati

Inserito il 03 Giugno 2021 nella categoria Relazioni svolte