Il prof. Michelangelo Ingrassia dell'Università di Palermo, ha relazionato sulle vicende che furono propedeutiche allo sbarco di Garibaldi a Marsala e alla caduta del Regno borbonico.
Relatore: Prof. Michelangelo Ingrassia - Università di Palermo
LA PARTECIPAZIONE DELLA SICILIA
AL PROCESSO DI INTEGRAZIONE NAZIONALE
Sulla scia del Romanticismo politico, che all’alba dell’Ottocento risveglia in Europa le idee-forza di Nazione e di Popolo, anche la letteratura storica e politica siciliana ripropone il mito della nazione siciliana. Così, mentre il Fichte, con i suoi Discorsi alla Nazione Tedesca, incita la gioventù germanica a seguire la via dell’unità nazionalpopolare; mentre il Foscolo esorta gli italiani alle storie, sollecitandoli alla lotta per la grandezza nazionale; in Sicilia Michele Amari, con la celebre Guerra del Vespro, infiamma il popolo siciliano spingendolo a proseguire quella eterna lotta per la libertà che intellettuali come Marx e Tocqueville avevano esaltato come caratteristica storica specifica della Sicilia.
La rivolta ideale dell’Amari e il pensiero di uomini come il tedesco Karl Marx, teorico del comunismo, e Alexis De Tocqueville, teorico del liberalismo, testimoniano il fermento culturale della Sicilia ottocentesca che vedeva i maggiori intellettuali siciliani impegnati a promuovere l’idea che la Sicilia fosse una nazione e che perciò, come nazione, avesse diritto all’autonomia. Il mito della nazione siciliana veniva giustificato attraverso l’unità territoriale, l’unità etnica, l’unità di tradizione storico-politica, l’unità linguistica che si esprimeva nella lingua siciliana.
A questo fermento culturale si univa la protesta rivoluzionaria del popolo siciliano che aspirava alla libertà sociale, alla terra da lavorare, ad una vita dignitosa.
Per tutto l’Ottocento, sulla scia delle rivoluzioni antifrancesi, antispagnole e antinapoletane, intellettuali, braccianti e artigiani siciliani avevano lottato per la libertà della Sicilia.
Episodi fondamentali di questa lotta furono le rivoluzioni indipendentiste del 1820 e del 1848. Se queste due rivoluzioni furono indipendentiste, quella del 1860 fu squisitamente autonomista. All’origine di questa mutazione genetica c’è l’idea del federalismo che attraversa il processo risorgimentale.
Il federalismo seduce l’intellettualità siciliana che si convince che favorendo il processo risorgimentale di unificazione nazionale è possibile traguardare l’obiettivo di uno Stato federale che avrebbe consentito alla Sicilia di diventare uno Stato autonomo nell’ambito del Regno d’Italia. Del resto, lo stesso Cavour, il 2 aprile 1860, alla vigilia della spedizione dei mille e all’indomani del plebiscito toscano, aveva delineato la necessità di trovare una formula che conciliasse "unità politica nazionale" e "libertà amministrativa regionale". Tutto questo incoraggia i siciliani a sostituire l’indipendentismo con l’autonomismo.
Le cose, però, andarono diversamente perchè Cavour - favorevole ad un sistema di decentramento amministrativo - era contrario ad un sistema di federalismo. Di conseguenza egli archivò per non luogo a procedere la famosa relazione del Consiglio Straordinario di Stato che prevedeva una larga autonomia per la Sicilia. Fu la prima delusione per l’Isola e per tutti quei patrioti siciliani garibaldini, mazziniani, autonomisti, federalisti che avevano visto nella rivoluzione che veniva dal mare traghettata dalle mille camicie rosse l’agognata autonomia; mentre le masse popolari siciliane vi avevano visto l’aurora della giustizia sociale.
Da questo momento il rapporto tra la Sicilia e lo Stato unitario si complica e diventa il campo di battaglia non solo metaforico della lotta tra Garibaldi e Cavour, tra democratici e moderati, tra popolo e borghesia latifondista del sud alleata con quella industriale del nord.
Fu Cavour, non Garibaldi, ad estendere nell’isola la legislazione piemontese con la micidiale pressione fiscale e con la coscrizione militare obbligatoria estranea alla tradizione siciliana. Fu Cavour, non Garibaldi, a modificare il 17 dicembre 1860 la legge elettorale piemontese cambiando il numero delle circoscrizioni dei collegi elettorali e trasferendo le sezioni in maniera tale da ridurre il numero dei deputati che spettavano alla Sicilia e di orientare a favore dei moderati la deputazione siciliana: in virtù di questa legge, capolavoro della politica antigaribaldina di Cavour, la Sicilia potè inviare al primo Parlamento d’Italia solo 48 deputati, di cui 14 provenivano dalle fila repubblicane o garibaldine o autonomiste. Fu Cavour, non Garibaldi, ad archiviare il progetto siciliano di autogoverno regionale. Furono Cavour e i suoi successori, non Garibaldi, a mandare i funzionari piemontesi a dirigere gli uffici amministrativi siciliani, a decretare stati d’assedio e repressioni nell’isola, a determinare quelle politiche sociali ed economiche che impoveriranno i siciliani. E tutto questo fu possibile grazie all’annessione incondizionata imposta da Cavour mentre Garibaldi propendeva per l’elezione di una assemblea siciliana che decidesse le forme dell’unione; sintomatico è che il prodittatore della Sicilia, il garibaldino Antonio Mordini, aveva inizialmente fissato per il 21 ottobre 1860 la data delle elezioni per l’Assemblea e fu poi costretto ad indire per la stessa data il plebiscito cavouriano. Nel frattempo era successo che Garibaldi aveva chiesto a Vittorio Emanuele II le dimissioni di Cavour ma il re le aveva respinte confermando la fiducia al conte e respingendo quella svolta a sinistra della monarchia sabauda auspicata dal Generale che, a quel punto, fu costretto all’incontro di Teano e al ritiro a Caprera. Nella lotta combattuta in Sicilia tra Cavour e Garibaldi, tra liberali e democratici, tra annessionisti e federalisti (Cattaneo stava a Napoli con Garibaldi), tra due diverse idee dell’unificazione nazionale, il vincitore fu Cavour e per i vinti furono guai. Infatti nel 1861 si tentò di arrestare il garibaldino Crispi, nel 1863 fu misteriosamente assassinato a Palermo il garibaldino Giovanni Corrao, nel 1865 fu arrestato a Palermo il garibaldino Giuseppe Badia.
Non Garibaldi ma Cavour fu dunque il vero nemico della Sicilia e dei siciliani. E nella sua opera di "piemontesizzazione" dell’isola Cavour ebbe dei validi e volenterosi alleati in quella borghesia e in quella aristocrazia isolana che vollero cambiare tutto senza trasformare nulla. Il popolo siciliano, invece, tributò sempre a Garibaldi una certa simpatia ed ammirazione perchè seppe distinguere, nel 1862, nel 1866 e poi con i Fasci dei Lavoratori, il vero nemico della Sicilia ed i veri traditori del Risorgimento italiano immortalati nella letteratura siciliana da I Vicerè di De Roberto e da I vecchi e i giovani di Pirandello.
I modi e i nodi della partecipazione della Sicilia alla costruzione dello Stato unitario italiano svelano e rivelano caratteri, difficoltà e responsabilità del processo di integrazione nazionale e del suo esito fallimentare; da qui nasceranno i drammi di questo paese, da qui è necessario ricominciare riprendendo la luminosa lotta per la libertà dei nostri antichi padri.
Michelangelo Ingrassia
Inserito il 08 Aprile 2011 nella categoria Relazioni svolte
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