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La preghiera in Dante: il Padre nostro

Il prof. Antonino Tobia ha disquisito sul Padre nostro del canto XI del Purgatorio

Relatore: Prof. Antonino Tobia

La preghiera è un atto di comunicazione tra l’uomo e la divinità. La parola deriva dal verbo latino precor da cui l’aggettivo precarius che indica ciò che si ottiene con la preghiera. Nell’idea e nella pratica della preghiera vanno distinti due atteggiamenti opposti: la preghiera, come grazia da implorare da parte di chi dichiara la propria debolezza e fragilità dinanzi ad un fenomeno che non riesce a dominare. La preghiera come coercizione, quando l’individuo pretende di ottenere qualcosa attraverso i mezzi di cui dispone (incantesimi, formule magiche, gesti ecc.).  In particolare, la magia si può considerare una forma primitiva di preghiera finalizzata ad esercitare il predominio sulle forze della natura o a placare l’ina divina, o a proteggere o ad offendere l’individuo di riferimento. La preghiera può essere individuale o corale, liturgica e istituzionale. La differenza non è netta, perché anche la preghiera individuale esprime quasi sempre quanto deriva dalla tradizione che si è istituzionalizzata. Il Cantico delle creature di frate Francesco è un preghiera di lode, che corrisponde al greco euloghia, benedizione. Allo stesso tempo è una preghiera di ringraziamento, in greco eucharistia. Ma il Cantico è anche una prima importante testimonianza delle origini della letteratura italiana, sul modello dei salmi di Davide. La preghiera fin dall’antichità ha espresso la cultura di un popolo e ha rivestito dignità letteraria con precisi connotati stilistici. L’Inno al sole di Amenofi IV, morto nel 1336 a. C., risalente all’Antico Egitto, è l’ interessante testimonianza poetica di un faraone che con la sua preghiera al sole (Aton) volle, quasi contemporaneamente a Mosè, introdurre nel suo paese una religione monoteista.Ma il popolo ha adattato spesso la preghiera alla propria capacità d’intendere. Così nella lingua siciliana troviamo adattamenti delle più importanti orazioni della tradizione ecclesiastica. Così il Padre nostro è invocato, prima che venga recitato il testo evangelico, da una supplica: Patri meucrucifissu, i vostri grazi sunnuspissu, pi la Vostra santitatifatimi sta caritati. Dove l’aggettivo possessivo 'nostro' è sostituito dal possessivo 'meu', a voler stabilire una relazione intima col Padre.  E l’Ave Maria è preceduta da una drammatica richiesta di aiuto: Aiutami Maria chi mi pirisciu, aiutami Maria chi lu poi fari, e cu to aiutucunsulatu sia e ti salutu cu l’Avi Maria.La preghiera più importante della fede cristiana è quella stessa che Gesù insegnò ai suoi apostoli, il Padre nostro riportato dai vangeli di Matteo (6, 9-15) e di Luca (11, 1-5). Il canto XI del Purgatorio si apre con la preghiera del Pater nostro recitato dai superbi che il poeta colloca nella prima cornice del secondo regno. Questi spiritidevono purgare il peccato della superbia procedendo lungo la cornice oberati da gravi pesi, che li costringono a stare col capo chino, secondo la legge del contrappasso. Se in vita stettero con lo sguardo eretto e con atteggiamento arrogante, in spregio degli altri uomini e orgogliosi della loro discendenza come Omberto Aldobrandeschi; ovvero mostrarono eccessiva vanagloria per l’eccellenza raggiunta nella loro arte come Oderisi da Gubbio, ora il loro sguardo è rivolto in basso, in segno di contrizione e di riconoscimento della vacuità del loro orgoglio terreno. La preghiera è un segno di umiltà, in cui l’individuo cessa di collocarsi al di sopra del suo prossimo, ma coralmente si unisce agli altri spiriti per invocare Dio e per chiedere la sua misericordia nella speranza che l’orazione abbia effetto. A differenza di Agostino che considerava la preghiera un dialogo intimo con Dio, Cipriano, vescovo di Cartagine del III secolo, insisteva sul valore pubblico e corale della preghiera: 'Anzitutto il Signore della pace e dell’unità non ha voluto che pregassimo individualmente e a parte, affinché colui che preghi non preghi solo per sé. Non diciamo padre mio … né dammi il mio pane quotidiano. E ognuno non prega solo per sé che Dio gli rimetta il suo debito; o che non lo induca in tentazione e lo liberi dal male' (La preghiera del Signore). E poi, diciamo padre perché siamo diventati figli di Dio per sua grazia. Nel Vangelo Gesù ordina ai discepoli di non chiamare nessuno sulla terra padre, poiché abbiamo un solo padre che è nei cieli.

<_div>Immagine riferita a: La preghiera in Dante: il Padre nostro La preghiera proposta da Dante occupa le prime sette terzine del canto, che corrispondono alle sette cornici del Purgatorio, ai sette peccati capitali che in questo regno gli spiriti purgano (superbia, invidia, ira, accidia, avarizia, gola, lussuria)  e alle sette virtù che si oppongono a tali peccati.  Il Padre nostro è l’unica preghiera che nella Commedia è recitata per intero e anche la prima traduzione in volgare. La versione poetica che ci offre Dante risente dei molteplici commenti che i Padri della Chiesa avevano curato nei secoli.Così quando il poeta sente il bisogno di precisare che 'Padre nostro che stai nei cieli' non va inteso come un luogo fisico, si richiama alla tradizione teologica dal greco Origene d’Alessandria a Tommaso d’Aquino, il quale nella sua Summa Theologia annota che  'Dio non è contenuto da nessun luogo' (I, II, 102);e già nel Convivio troviamo scritto che solo Dio 'con la infinità capacitade infinito comprende' (IV, IX, 3).Dante non si limita a riproporre il testo ma vi aggiunge un suo commento: Dio sta nei cieli perché questi e gli angeli che li abitano sono le sue prime creature.  Nel primo verso che apre la seconda terzina si avverte l’eco del Cantico delle creature : laudato sia il tuo nome e il tuo valore / da ogni creatura,  com’è degno / di render grazie al tuo dolce vapore. Qualche critico in questi versi ha ravvisato l’immagine della Trinità : il nome il Padre, il valore il Figlio, il dolce vapore lo Spirito Santo. Nella terza terzina il primo verso riprende le parole della preghiera tradizione, ma come sempre segue il commento: noi uomini da soli non possiamo sperare di ascendere alla beatitudine della vita eterna senza essere assistiti dalla luce divina. Per scontare il loro peccato i superbi debbono fare sacrificio della loro volontà alla stregua degli Angeli:Fiat voluntas tua sicut in caelo et in terra. Solo ponendo la nostra volontà al servizio di Dio, possiamo assicurare la pace sulla terra e godere dopo la morte della comunione col Padre. L’uomo però non dispone dei mezzi necessari a salvarsi. Occorre che il Creatore gli conceda la manna quotidiana, la grazia spirituale, la stessa che fu concessa agli Ebrei , che nel deserto soffrirono e attesero per 40 anni prima di raggiungere la terra di Chanaan. Senza l’aiuto di Dio non si può procedere lungo il deserto dell’esistenza terrena, al contrario si è destinati a ricadere nella 'selva oscura' del male.Pentendo e perdonando, /fora di vita uscimmo a Dio pacificati ( Purg. V, 55-56). I due gerundi indicano la condizione che Dio pone a ciascuna anima per salvarsi. Dante fa pronunciare questa regola morale a Iacopo del Cassero, nell’Antipurgatorio, dove dovrà attendere alcuni anni prima di solcare la porta del Purgatorio. Così si legge nel Padre nostro dantesco: E come noi lo mal ch’avem sofferto/ perdoniamo a ciascuno, e tu perdona/ benigno, e non guardar lo nostro merto. È quanto il comandamento dell’amore contiene: ama il prossimo tuo come te stesso; dove il prossimo comprende gli amici ma anche i nemici. Il manifesto rivoluzionario del Cristianesimo consiste non solo nel perdonare chi ci ha arrecato un torto, ma soprattutto nell’estendere il nostro amore a chi ci ha fatto del male. Secondo Tommaso, il male è carenza di bene e il cattivo è captivus diaboli, dalla cui prigionia può essere salvato con la preghiera e con l’amore.Il termine diavolo, dal greco diaballo, è sinonimo di ingannatore. <_div>Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male, recitiamo nel Padre nostro. Dante ripropone questa parte ultima della preghiera, anticipando nel primo verso la condizione della virtù umana, fragile e cedevole, utilizzando un gallicismo: nostra virtù che di legger s’adona, dove il verbo ha il significato di abbattere, fiaccare, come la pioggia fiacca e percuote le anime dei golosi nell’Inferno. Nel secondo verso della terzina traduce il latino et ne nos inducas in tentationemcon l’invocazione a non sperimentar con l’antico avversario.A partire dal 1989 una commissione di 41 esperti teologi, biblisti e filologi fu incaricata dalla CEI di preparare una nuova versione italiana della preghiera. La bozza del nuovo testo venne alla luce sei anni dopo con alcune modifiche : Sia glorificato al posto di santificato; il tuo nome si arricchiva dell’aggettivo santo; rimettiamo diventava il passato prossimo abbiamo rimessi; non ci indurre veniva sostituito dal non abbandonarci alla tentazione; liberaci dal male, che poteva sembrare un’espressione astratta, era modificata con liberaci dal Maligno, cioè dalla presenza di Satana, che la società moderna sembra avere esorcizzato. Questo passaggio della preghiera già in Dante aveva trovato una sua apprezzabile concretezza. Il poeta non si riferisce al male in astratto, bensì alla malefica azione del diavolo che sprona, spinge al peccato la nostra anima.L’Avvenire, il giornale della CEI, non si è dichiarato entusiasta dei cambiamenti proposti e come per la Costituzione italiana, sono stati bocciate le nuove proposte linguistico-filologiche. Si potrebbe notare che quest’ultima parte della preghiera non può riguardare le anime del Purgatorio, già destinate al premio eterno, ma il senso della coralità che distingue la preghiera qui ha il sopravvento e tutto l’universo dalla terra al cielo è indicato nella sua unità spirituale, sicché se i vivi in grazia di Dio possono pregare per accelerare il periodo della penitenza dei defunti, parimenti gli spiriti del Purgatorio si sentono in comunione con gli esseri viventi. Ma che bisogno c’è di pregare, se il nostro destino è tutto scritto in mente Dei? È il problema della predestinazione, che tormentò Agostino e aprì le porte alla Riforma luterana. Ebbene nella Lettera a Proba il vescovo d’Ippona sostiene che la preghiera serve a prepararci a ricevere ciò che Dio ci darà, perché maggiore è la forza della fede maggiore è la capacità di ricevere ciò che Egli vuole darci. La preghiera è perciò esercizio di fede e speranza e il fine del Pater noster  è 'l’amore che viene da un cuore puro, da una coscienza buona e da una fede sincera'        Antonino Tobia

Autore Prof-Greco

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Inserito il 09 Dicembre 2016 nella categoria Relazioni svolte