Relazione del prof. Vinicio Serino (Univ. di Siena): 'Il Mediterraneo è 'mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre'
Relatore: Prof. Vinicio Serino - Università di Siena
Koiné Mediterranea: contaminazione di antiche culture
Sostiene Braudel
Il Mediterraneo è 'mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre.' (F. Braudel, Il Mediterraneo, lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni)
Il sistema Mediterraneo
Oltre venticinque anni fa un celebre Archeologo, formidabile indagatore del passato, Sabatino Moscati, dimostrava, con profondo sapere accompagnato da precisione filologica l’esistenza di una grande storia millenaria che aveva attraversato quel mare secondo una precisa 'linea di sviluppo'. Una sorta di filo rosso che rendeva e rende in qualche modo 'coerenti' le straordinarie civiltà comparse sulle sue sponde, evidenziando al contempo l’azione di grandi forze 'sotterranee', invisibili 'eppure sempre salde e tenaci tanto da configurare una identità storica precisa nella complessità e fin tortuosità della vita e della storia.'
Alla formazione di questa cultura concorre sicuramente la progressiva formazione di uno spazio – che definire economico sarebbe sicuramente riduttivo – entro il quale, a partire dalla porzione di Levante del Mediterraneo, e già qualche millennio primo dell’era volgare, si esercita una fiorente attività di scambi … Così 'nasce una cultura cosmopolita nel cui ambito sono individuabili gli apporti delle diverse civiltà'. Queste civiltà omunicano tra loro, 'compreso l’Egitto, di solito tanto chiuso in se stesso' e '… si volgono verso l’esterno con avida curiosità.'
Contaminazione
Grazie alla intensità di queste comunicazioni si avvia, un lungo, interminabile processo di contaminazione di modelli culturali molto diversi. Nel teatro romano la contaminazione è l’'artificio degli antichi commediografi latini consistente nella fusione in un’unica commedia di elementi o scene provenienti da commedie differenti greche'. (T. De Mauro, voce contaminazione, Il dizionario della lingua italiana)
Diversamente dal contagio che, in quanto trasmissione della malattia dal soggetto infetto a quello sano comporta il totale cambio di stato di quest’ultimo, la contaminazione agisce come un meccanismo capace di produrre cambiamenti nel contaminato senza snaturarne però l’originale identità.
Contaminazione di culture
Se riferita alla dimensione socio-culturale la contaminazione si registra tutte le volte in cui una certa cultura 'data' si confronta – e non è detto sempre pacificamente – con una o più culture dotate di identità diverse. Si passa allora dalla condizione di 'purezza' delle origini a quella di ibridazione, di mescolanza, di confusione di elementi eterogenei. Una cesura facilmente colmabile
La morfologia del Mediterraneo determina una sorta di ideale frontiera che divide quel mare in due universi distinti e che, partendo da Corfù e dal Canale d’Otranto giunge fino alla Sicilia e, quindi, all’Anatolia. Ad est è l’Oriente, ad Ovest l’Occidente, non tanto in senso geografico quanto, più propriamente, culturale. Oriente portatore di una visione del mondo che si esprime attraverso il mitos; Occidente 'campione' del logos. Nonostante che su quella ideale cerniera siano state combattute le grandi battaglie del passato, come Anzio, Lepanto, Malta, eppure le due dimensioni non hanno mai smesso di dialogare, mantenendo così una koinè, ossia una affinità 'spirituale' tuttora individuabile nell’ambito di apparati culturali espressi da etnie molto diverse.
Mito e fondazione della realtà
Il termine mito esprime, nell’etimo greco, 'la parola', il 'racconto', la 'leggenda'. Su di un piano più propriamente antropologico esso si sostanzia in una sorta di archetipo culturale molto complesso e particolarmente significante. '… il mito narra una storia sacra; riferisce un avvenimento che ha avuto luogo nel tempo primordiale, il tempo favoloso delle ‘origini’. In altre parole, il mito narra come, grazie alle gesta di esseri soprannaturali, una realtà è venuta ad esistenza …'.
Il mediterraneo e’ la culla del mito e delle mitologie. ed e’ anche per questo che sulle sue sponde si genera la stirpe di abramo, unico comun denominatore delle tre religioni monoteistiche universali …
Logos e pensiero 'scientifico
'Pur essendo questo logos comune, la maggior parte degli uomini vivono come se avessero una loro propria e particolare saggezza'.
Eraclito è davvero l’oscuro, come sosteneva Aristotele o forse, come sostiene il linguista Giovanni Semerano il logos va identificato con lo Spirito di Sapienza – Sapienza divina, per intendersi – 'infuso nel Cosmo' e, panteisticamente, 'comune a tutti' ? (G. Semerano, L’Infinito: un equivoco millenario). D’altra parte questa parola, logos, appunto, sembra da riconnettere alla biblica leqah, ossia sapienza, conoscenza, anche se il rapporto con l’accadico lequ, ossia prendere, comprendere (G. Semerano, op. cit.), offre un riferimento molto più vicino al suo significato 'moderno': insomma logos nascerebbe come idea della sapienza divina comunicata a tutti gli esseri – e quindi del tutto compatibile con la categoria del mytos – per poi diventare, il 'discorso' che si compone 'logicamente'…
Koinè
E’ questo complesso movimento di uomini, di merci, di idee, di conflitti che genera, per usare appunto l’espressione di Sabatino Moscati, una lunga, interminabile linea rossa di collegamento. Grazie alla quale, sedimentata nel tempo, si produce un Koinè culturale, nel senso proprio della parola, ossia di 'comune', opposto ad idios, cioè privato. '… alle origini', ci dice il linguista G. Semerano, 'koinos, che non appare in Omero, significò appartenente ad una comunità stabile, ad una istituzione duratura' E, proprio a ragione della 'legge della koinè', la parola va accostata al termine accadico – l’Impero accadico dominò la Mesopotamia fino a giungere al Golfo Persico, tra il 2350 ed il 2170 a.C. – kanu, che significa, appunto, fondazione di città, di comunità …
In principio fu l’indoeuropeo …
A partire dalla seconda metà del ‘700, nell’ambito della intellettualità e della accademia europea, con autori come F. Bopp, F. Schlegel, W. Jones, si manifesta l’idea dell’indoeuropeo, ossia di 'una famiglia di lingue storiche … che, pur avendo subito processi evolutivi diversi, presentano tuttavia affinità fonetiche, morfologiche e lessicali tanto da giustificare l’ipotesi di una loro parentela genetica e la ricostruzione di uno stadio linguistico unitario …
Il concetto si fonda quindi sull’osservazione e sul riconoscimento dell’affinità e della originaria omogeneità che un certo numero di lingue presentano nonostante la disparità delle attestazioni pervenuteci'.
… ma poi fu Semerano
Molto semplicemente, nel corso della sua attività di filologo, G. Semerano ha negato ogni fondamento a tale ipotesi.
'La scoperta delle civiltà, delle lingue mesopotamiche, come il sumero e l’accadico, alle quali si è aggiunta recentemente la testimonianza di Ebla … la presenza di genti e culture semitiche nel Mediterraneo … sino dal III millennio a.C., la impossibilità di trovare per le voci greche e latine una plausibile origine, guidano alla generale conclusione che le nostre lingue denominate indoeuropee, con termine di gusto romantico, sono solo forme evolutive, germogliate su un robusto tronco mediterraneo' .
Uno degli aspetti - e di certo non l’unico - della Koinè mediterranea è dunque questo 'comune' tronco i cui rami si ritrovano di continuo nelle diverse civiltà che si affacciano sul Mediterraneo, in particolare con riferimento a nomi di Dei, di città, di fiumi e di monti …
Un Faraone dalle strane idee
Uno dei campioni della koinè culturale del Mediterraneo è, sicuramente, il faraone 'eretico' Akhenaton (lett. Orizzonte di Aton), vissuto intorno alla metà del XIV secolo, autore di una celebre riforma religiosa considerata il primo esempio di monoteismo della storia. A lui si deve infatti il culto del dio solare, l’Aton, ' signore del cielo, signore della terra, signore della casa di Aton in Akhenaton…' Tutte le altre divinità d’Egitto furono bandite ed il Faraone, per affermare il nuovo credo, ne decretò la distruzione in effigie e la scalpellatura dei relativi nomi. (E. Hornung, Akhenaton)
Con la sua morte la riforma monoteista venne meno; il suo nome scomparve da tutti i monumenti, la sua memoria maledetta …Eppure il seme era stato gettato e non avrebbe tardato a germogliare su altre sponde del Mediterraneo
Eppure il seme era stato gettato e non avrebbe tardato a germogliare su altre sponde del Mediterraneo … Nella Bibbia c’è anche Aton
Inno ad Aton (XIV sec a.C.)
Quando tu tramonti all’orizzonte occidentale,
La terra è in tenebre di morte...
Ogni leone esce dalla sua tana;
Tutti gli esseri striscianti mordono.
All’alba quando tu sorgi all’orizzonte...
Scacci la tenebra...
Gli uomini si svegliano e si rizzano in piedi...
Tutto il mondo compie la propria fatica.
Come sono multiformi le tue opere!
Esse sono nascoste alla vista dell’uomo.
O unico dio, di cui non v’è altro eguale,
Tu hai creato la terra secondo il tuo desiderio.
Salmo 104 (20-24)
20 Stendi le tenebre e viene la notte
e vagano tutte le bestie della foresta;
21 ruggiscono i leoncelli in cerca di preda...
22 Sorge il sole, si ritirano
23 Allora l’uomo esce al suo lavoro
Per la sua fatica fino a sera.
24 O Signore, quanto sono multiformi
le tue opere!
Tutto hai fatto con saggezza
La terra è piena delle tue creature
Salvato dalle acque o nato da?
E’ significativa – sempre dal punto di vista delle contiguità culturali – la vicenda biblica di Mosè, il 'nato dalle acque', raccolto dalle acque del Nilo dalla sorella del Faraone ed allevato come un figlio. Al tempo di Giuseppe Flavio, l’apologista ebraico autore delle Antichità giudaiche vissuto nel I°secolo d.C., il nome Moseh veniva accostato al copto mo (acqua) e useh (salvare), dunque "salvato dalle acque". Ma gli studiosi non sono affatto d’accordo con questa (pia) interpretazione e fanno notare che il nome Mosè corrisponde all’egizio ms, ossia nato da, una componente di molti nomi egizi, come Ramesses o meglio ancora Thutmusis, ossia nato dal dio Thot.
Le acque di Dio inondano la terra di Noè
'Ma la terra era corrotta davanti a Dio e piena di violenza. Dio guardò la terra ed ecco essa era corrotta, perché ogni uomo aveva pervertito la sua condotta sulla terra. Allora Dio disse a Noè: ‘E` venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò insieme con la terra. Fatti un’arca di legno di cipresso; dividerai l’arca in scompartimenti e la spalmerai di bitume dentro e fuori … Ecco io manderò il diluvio, cioè le acque, sulla terra, per distruggere sotto il cielo ogni carne, in cui è alito di vita; quanto è sulla terra perirà. Ma con te io stabilisco la mia alleanza. Entrerai nell’arca tu e con te i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli. Di quanto vive, di ogni carne, introdurrai nell’arca due di ogni specie, per conservarli in vita con te…’ (Genesi, cap.VI e VII)
Woolley indaga…
La Tradizione vuole che la storia di Noè si svolga in Mesopotamia, dalle parti della antica Ur dei caldei, la patria di Abramo, sulla quale lavorò – ed indagò – a lungo, a partire dai primi anni ’20 del ‘900, l’archeologo inglese Charles Leonard Woolley. Il quale, riportando alla luce del sole le rovine di Ur – qui il c.d. 'stendardo di Ur', un pannello di legno ricoperto di bitume e intarsiato, prodotto della civiltà sumera - ritenne di aver trovato le tracce del biblico diluvio universale, cioè di un evento non circoscritto ad un ‘area, per quanto vasta, bensì coinvolgente l’intero orbe terraqueo. Ma …
…ma anche Langdon
Un altro archeologo, Stephen Langdon, più o meno in quegli stessi anni, ossia nel 1929, annunciava il ritrovamento di tracce di una altra inondazione. Questa volta la città colpita non era più Ur, ma l’area di Shuruppak, città citata dalla così detta 'Epopea di Gilgamesh', un antichissimo poema babilonese che narra le vicende di un re sumero, Gilgamesh, appunto, un essere per due parti divino e per una parte umano di cui vengono raccontate le imprese ed i viaggi con l’amico – prima rivale - Enkidu, un essere mostruoso creato dagli dei proprio per combattere lo stesso re sumero.
Di colui che vide ogni cosa, voglio narrare al mondo;
di colui che apprese e fu esperto in tutte le cose.
Di Gilgamesh, che raggiunse la più profonda conoscenza,
che apprese e fu esperto in tutte le cose.
Egli esplorò ogni paese
ed imparò la somma saggezza.
Egli vide ciò che era segreto, scoprì ciò che era celato,
e riportò indietro storie di prima del diluvio.' (Proemio al poema di Gilgamesh).'
Il re di Shuruppak
Le tracce del diluvio scoperte da Langdon risultano quanto mai evocative perché,dopo la morte dell’amico Enkidu, Gilgamesh si mette in viaggio per raggiungere colui che conosce il segreto dell’immortalità, ossia Utnapishtim, il sopravvissuto al diluvio, che porta inciso nel proprio nome, 'colui che vide la vita', o forse 'il prediletto da Dio', il senso del proprio destino immortale. Come il dio di Noè, il saggio Enki, signore dell’abisso, aveva parlato ad Utanapištim, 'Abbatti la tua casa e costruisci una nave. Abbandona i tuoi averi e cerca la vita. Sprezza i beni mondani e tieni in vita la tua anima... Ecco le misure del battello: che abbia la lunghezza pari alla larghezza, che il suo ponte abbia un tetto come la volta che copre l’abisso. Entravi assieme ai suoi consanguinei e familiari, e dopo avervi portato dentro da mangiare e da bere, fai entrare tutti gli animali, volatili e quadrupedi.' Utnapishtim obbedì ed ecco che le cateratte del cielo si aprirono e per sei giorni e sei notti il paese di Sumer fu preda delle acque …
Un antidiluviano extrabiblico
Utnapishtim e Noè condividono persino la radice del nome. Il biblico Noah corrisponde all’ebraico na’im,cioè buono, amabile. E questo la dice lunga sulla koinè culturale mediterranea. Ma ancora di più lo dicono le vicende successive dell ‘'arca' che, una volta arenatasi, vide uscire alcuni uccelli mandati fuori da Utanapishtim. Ma gli uccelli,evidentemente non trovando di che mangiare, tornarono ben presto dal loro padrone. Dopo alcuni giorni altri uccelli furono liberati, per tornare con le zampe infangate. Quando mandò fuori per la terza volta gli uccelli, questi non tornarono. Utanapišhtim capì che la terra era di nuovo emersa: allora liberò tutti gli animali che erano con lui e sacrificò, grato, agli dei …
Deucalione e Pirra lanciano le ossa della Madre
Anche nella cultura greca si ritrovano le tracce del diluvio, col mito di Deucalione, figlio di Prometeo. E’ Zeus a coprire con le acque la terra, sdegnato perché Licaone, re di Arcadia, ha offerto allo stesso Zeus sacrifici umani. Ma Prometeo, come sempre amico dell’umanità, avvertì il figlio che, allora, costruì un’arca sulla quale riparò con Pirra sua sposa, figlia del fratello sciocco di Prometeo, Epimeteo, e Pandora.
Se è vero che il diluvio non colpì tutta la terra, come dava ad intendere la mitologia greca, ma solo l’area mesopotamica, allora anche questo mito non sembra essere puramente ed esclusivamente ellenico…
'Solone, Solone, voi greci siete sempre bambini…'
'Allora infatti quel mare era navigabile, e davanti a quell’imboccatura che, come dite, voi chiamate colonne d’Ercole, aveva un’isola, e quest’isola era più grande della Libia e dell’Asia messe insieme: partendo da quella era possibile raggiungere le altre isole per coloro che allora compivano le traversate, e dalle isole a tutto il continente opposto che si trovava intorno a quel vero mare. Infatti tutto quanto è compreso nei limiti dell’imboccatura di cui ho parlato appare come un porto caratterizzato da una stretta entrata: quell’altro mare, invece, puoi effettivamente chiamarlo mare e quella terra che interamente lo circonda puoi veramente e assai giustamente chiamarla continente. In quest’isola di Atlantide vi era una grande e meravigliosa dinastia regale che dominava tutta l’isola e molte altre isole e parti del continente: inoltre governavano le regioni della Libia che sono al di qua dello stretto sino all’Egitto, e l’Europa sino alla Tirrenia.'(Platone, Timeo, 5)
Così parlò un vecchio sacerdote Egizio a Solone, evocando anche una 'primitiva tradizione' fonte di ogni civiltà. Sulla fede del filosofo Platone. Era forse la mitica Atlantide, che governava su tutto il Mediterraneo, il primum movens della nostra koinè culturale?
Dal desiderio di Poseidone nasce Atlantide
'Poseidone, avendo concepito il desiderio di lei, sì unì con la fanciulla e rese ben fortificata la collina nella quale viveva, la fece scoscesa tutt’intorno, formando cinte di mare e di terra, alternativamente, più piccole e più grandi, l’una intorno all’altra, due di terra, tre di mare, come se lavorasse al tornio, a partire dal centro dell’isola, dovunque a uguale distanza, in modo che l’isola fosse inaccessibile agli uomini: a quel tempo infatti non esistevano né imbarcazioni né navigazione. (Platone, Crizia). Così Platone descrive nel Crizia la fondazione di Atlantide, ad opera di Poseidone, che la creò per amore della bella Clito, rimasta orfana dei propri genitori. Atlantide costituirà il prototipo di ogni paese felice, perfetto nel proprio ordinamento; prospero nelle proprie condizioni di vita; ispiratore delle moderne Utopie …
La terra dove abbonda il prezioso oricalco
Poseidone generò cinque coppie di gemelli, tutti maschi: tra questi scelse Atlante come capo di quell’isola, col governo delle 'regioni al di qua, fino all’Egitto e alla Tirrenia.' Il nome Atlante va collegato alla parola accadica attalu, ossia oscurità. Dunque l’estremo occidente, il mondo misterioso dove il sole si nasconde alla vista degli umani. '… molte risorse, grazie al predominio' degli atlantidi, 'provenivano loro dall’esterno, ma la maggior parte le offriva l’isola stessa per le necessità della vita: in primo luogo tutti i metalli … ' tra i quali l’oricalco 'il più prezioso, a parte l’oro, tra i metalli …'(Platone, Crizia) Il mitico oricalco, da oros, monte e khalkòs, ossia rame, ricopriva le pareti esterne del tempio di Poseidone, che risplendeva così di quella straordinaria luce rossa …
Una degenerazione degli antichi buoni costumi avrebbe scatenato (l’ennesima) ira di Zeus, che fece inabissare quella terra : se le colonne d’Ercole fossero davvero le più familiari Scilla e Cariddi che separano il mare di Sicilia, allora quell’immane catastrofe potrebbe essere identificarsi nel maremoto di Santorini che, intorno al 1450 a.C., decretò la fine della civiltà minoica .
Un mitico fondatore che veniva da molto lontano
'Dardano primo fu generato da Zeus adunatore di nembi / e Dardania fondò, chè non ancora Ilio sacra/s’ergeva nella pianura, città di mortali,/ ma le falde abitavano dell’Ida ricca di vene.'(Omero, Iliade,canto XX,215-218) Da Dardano discese Erittonio e da questi Troo, re dei Troiani: ' e nacquero a Troo tre figli senza macchia/Ilo,Assaraco e Ganimede simile ai numi,/che fu il più bello fra gli uomini mortali;/ e gli dei lo rapirono perché mescesse a Zeus;/ per la sua bellezza visse tra gli immortali./Ilo pure generò un figlio perfetto, Laomedonte;e Laomedonte generò Priamo …'(Omero, Iliade, canto XX, 230-237), lo sventurato re della Troia omerica. In quella città si consumerà un vero e proprio scontro di civiltà, tra la etnia degli Achei, dall’Acaia 'nutrice di molti', come pure di 'belle donne' e, appunto, i Troiani. Gli Achei che discendono dall’eroe eponimo Acheo, compaiono come Ahhijava in antichi testi Hittiti e come Aqaiwasa in testi egizi, tutti della seconda metà del secondo millennio a.C. Si tratta, forse di popolazioni 'barbare' discese dal nord,per taluni identificabili come i popoli del mare assalitori d’Egitto (M. Pallottino, Etruscologia); ma anche come i fondatori della civiltà micenea …
Dardano d’Etruria
Secondo gli studiosi la guerra di Troia sarebbe stata combattuta intorno al XIII secolo a.C., ossia alla fine del c.d. Bronzo medio, mentre il poema fu redatto, verosimilmente, qualche secolo dopo, probabilmente intorno all’VIII secolo, frutto di antiche tradizioni raccolte e trasmesse oralmente appunto dal XIII secolo. Dunque, stando al racconto di Omero, se da Dardano a Priamo di Troia corrono quattro generazioni, Dardano stesso dovrebbe essere vissuto intorno al XIV secolo. Ci sono due diverse versioni sulle sue origini. C’è chi lo vuole figlio di Zeus e di Elettra, a sua volta figlia di Atlante e nato in Samotracia, l’omonima isola situata nel nord dell’Egeo. Ma vi è anche chi sostiene che sarebbe originario della città etrusca di Cortona, da lui fondata dopo una memorabile vittoria con i primitivi abitanti di quei luoghi. Da qui sarebbe poi partito verso la Frigia per dar vita alla stirpe troiana…
Da Cortona si vede la Troade
La vicenda di Dardano e del suo viaggio; i movimenti migratori degli Achei 'dalle lunghe chiome' ed il loro sciamare lungo aree diverse del Mediterraneo, esprime bene il senso del movimento che si realizza in quel mare. Certo, all’epoca di Dardano, Cortona – dalla quale, per altro, avrebbero preso il via i primi studi etruschi, la c.d. Etruscheria – non esisteva ancora, risalendo come città a non oltre l’VIII secolo a.C. Mentre, sicuramente, esisteva Gortfrtia, ossia la cretese Gortina, città molto probabilmente 'achea' ed il cui nome compare nell’Iliade, nel c.d. catalogo delle navi: 'Sui Cretesi comandava Idomeneo buono con l’asta,/ e quelli avevano Cnosso e Gortina cinta di mura …'(Omero, Iliade, Canto II, 645-646).
Cosmopolitismo mediterraneo …
Enea torna a casa
D’altra parte gli Etruschi non erano affatto insensibili al fascino della singolare storia sacra che riguardava Dardano e la sua progenie. Lo confermano alcune iscrizioni, appunto in etrusco, apposte su cippi di confine nella valle tunisina dello Uadi Milian. Qui, intorno al primo secolo a.c, si installò un nucleo di esuli rasenna, forse proveniente da Chiusi, i quali ivi fondarono una colonia che, appunto, riproduceva il nome di Dardano, il mitico fondatore. E, che il mito 'italico' voleva nato dalla moglie di Korytos, il signore eponimo di Cortona, unitasi a Zeus. L’esule Enea, il 'pio', abbandonando Troia in fiamme per approdare, dopo una lunga peregrinatio, alle coste del Lazio, dove, successivamente, sarebbe stata fondata Roma, sulla quale è ben nota l’ originaria presenza ed egemonia etrusca, non avrebbe fatto altro che tornare alle remote origini dei propri avi.
Ex oriente lux
Anche prescindendo da Dardano la presenza etrusca nel mondo antico rappresenta un ulteriore apporto alla koinè culturale mediterranea. Giovanni Semerano, con le sue appassionanti ricerche sulle origini delle parole, delle divinità, dei monti, dei fiumi d’Europa ci propone una straordinaria ipotesi: può cioè essere colta '… una chiara irradiazione di fraternità che, dall’antico universo di segni scritti o comunque tramandati, trae, con attenta auscultazione i segreti del mondo che fu alla base dei nostri avviamenti civili.' (G. Semerano, Le origini della cultura europea, tomo I°). Applicata alle origini della parole questa 'auscultazione ha dato esiti straordinari. Il caso 'Ouranos', ossia cielo in greco, è emblematico: per gli antichi il cielo è un tetto o un baldacchino che i Sumeri chiavano ur-an, ossia porta del cielo; ad Accad uru è tetto ed anu è il dio del cielo straordinariamente affine al nostro più familiare Ianus
Il grande Sargon figlio di una sacerdotessa
Dunque, una 'vasta fratellanza spirituale lega da cinquemila anni l’Europa alla Mesopotamia … dove fiorirono le culture di Sumer, di Akkad, di Babilonia'. 'L’avanguardia di quel mondo' giunge anche sulla sponda occidentale del Mediterraneo attraverso 'Sargon il grande' (G. Semerano, La favola dell’indoeuropeo). Sargon, ossia Sharru-kin, il vero re, fondò , la dinastia mesopotamica di Accad, e visse intorno al 2400 a.C. Il suo impero si estendeva dall’Elam, ossia la parte sud-occidentale della Persia, fino al Mediterraneo … In una antichissima stele, quel re straordinario, così si presenta al suo popolo e ai posteri:
'Io sono Sargon … Non conobbi mio padre; mia madre era una sacerdotessa: mi concepì, mi partorì, mi pose in una cesta che sigillò con pece, mi depose sul fiume che non mi sommerse e fui condotto dalle acque fino alla casa dell’innaffiatore Aqqi'.
L’irradiazione culturale arriva fino a Roma
La vicenda straordinaria di Sargon il grande 'curiosamente'ricalca, nella struttura, quella, per noi più familiare, dei due gemelli Romolo e Remo. Anch’essi erano figli di un padre che non avrebbero conosciuto e che, secondo la Tradizione, era il dio Marte; anche la loro madre era una sacerdotessa, la vestale Rea Silvia; anch’essi erano stati deposti in una cesta poi affidata ad un fiume che non li sommerse; e chi li raccolse fu il pastore Faustolo, la cui moglie era la 'lupa' Acca Larenzia, la madre dei dodici Fratelli Arvali …
, d’altra parte, anche Mosè era stato abbandonato sulle acque in un canestro di giunchi ed inverniciato di pece e bitumi; anche lui, che aveva avuto a che fare con una principessa, la sorella del faraone, colei che lo avrebbe raccolto e salvato dalle insidie del Nilo,sarà chiamato a svolgere, come Sargon il grande, come Romolo, la missione di capo e di fondatore di un popolo
Quanto hanno inciso gli Etruschi?
Anche il versante occidentale del Mediterraneo sarà dunque attraversato, forse in ritardo rispetto alla sua sponda orientale,'da grandi arcobaleni di voci che comunicano una antichissima, pacifica unità spirituale, una grande fraternità che andava rivelata e difesa.' (G. Semerano le origini della cultura europea). E certo a questo attraversamento contribuì non poco la etnia etrusca. Rasenna, come chiamavano sé stessi, dall’accadico rasu, cananeo ras, ossia capo: è il popolo dei capi. O Tyrsenoi, la denominazione greca,frutto, molto probabilmente, della cattiva fama degli abitanti di Lemno il luogo più lontano dall’Etruria dove si ritrovano, nelle celebre stele, testimonianze linguistiche affini a quelle delle genti Rasenna. I Lemni sono considerati volgari pirati che catturano e violentano le donne ateniesi: il che giustifica il loro nome composto da Tur, ebraico che designa l’andare errando e l’accadico ursani, ossia guerriero.
La mano di Mnerva
Si deve agli etruschi quella singolare concezione, dove sembrano incontrarsi la dimensione del mytos con quella del logos, che collega il mondo degli uomini a quello degli dei. 'Cielo e terra, realtà soprannaturale e realtà naturale, sembrano corrispondersi con palesi e segreti richiami entro un preordinato sistema unitario …' .
Ma si deve loro anche l’avvio di un formidabile processo di astrazione che si ritrova, secondo Semerano, nell’’etimo e nella 'natura' di una delle loro divinità più rappresentative, Mnerva, 'colei che offre il dono di comprendere'. '… Mnerva fu connesso, fra l’altro, con memini, come se la capacità di ricordare potesse costituire il particolare titolo di una divinità.' Mentre 'il nome Mnerva conferma proprio quella sua dote di divina scrutatrice dell’invisibile … La componente Men- è della stessa base del latino mens, accadico manu (oltre che di ‘calcolare’nel senso di ‘distribuire’, ‘assegnare’…) e la componente -rva che corrisponde al lat. reor: ebr. ra.a (guardare a fondo,considerare …)' (G. Semerano, Le Origini della cultura Europea, tomo II°). Minerva è colei che sa contare, ossia è capace di 'numerare progressivamente persone, animali o cose per determinarne la quantità '. E, al tempo stesso, sa tenere nel debito conto, ossia sa comprendere,(T. De Mauro, voce contare,Il dizionario della lingua italiana) dunque 'catturare' dalla dimensione del reale quanto serve …
Ciro prende Babilonia…
L’anno 539 a.C. ossia quando Ciro conquista Babilonia, 'segna il crollo della supremazia babilonese e semitica nel Vicino Oriente,' ma 'è anche l’inizio di una più vasta conquista spirituale di Babilonia.' Un anno che 'richiama analogamente, per gli esiti e la rivincita che ne segue, l’altra affermazione culturale dell’Oriente sull’Occidente, la data della caduta di Costantinopoli che segna le sorti del Rinascimento.' E ciò anche grazie alla traduzione ed alla successiva diffusione del Corpus Hermeticum, vera e propria cultura per molti aspetti alternativa al Cristianesimo, capace di concorrere all’ innesco di una straordinaria – e salutare – visione del mondo 'altra' che comprendeva anche il recupero e la rivalutazione dell’antico …
E poi fu Alessandria…
Un forte impulso alla formazione della sua koinè culturale, sarà resa possibile da Alessandro che, con la fondazione di Alessandria 'punto di saldatura e di fusione tra il mondo delle civiltà mesopotamiche e quello della civiltà egizia' (G. Semerano, Le origini della cultura europea), diffondendo così i valori di queste civiltà nell’intero Ecumene. La nuova dinastia greca dei Tolomei avviava, con Tolomeo I Soter, l’ambizioso progetto della costruzione della biblioteca in Alessandria: nell’intento del suo ideatore quella biblioteca avrebbe dovuto contenere l’intero scibile umano – erano ritenuti indispensabili alla bisogna 500.000 rotoli - e proporsi come uno straordinario centro di incontro per i dotti di tutto il mondo. Un formidabile impulso alla raccolta dei testi l’avrebbe poi data la disposizione, impartita dal figlio di Tolomeo I, Tolomeo II Filadelfo, denominata del Fondo delle navi. E che obbligava la ricopiatura di tutti i libri custoditi sulle navi in scalo ad Alessandria, con la restituzione delle sole copie e l’acquisizione al deposito della grande biblioteca degli originali.
Una (fortunata) comunità di dotti
'Aristotele aleggiava tra quegli scaffali, tra quei rotoli ben ordinati, sin da quando Demetrio aveva trapiantato lì l’idea del maestro:una comunità di dotti isolata verso l’esterno, fornita di una biblioteca completa e di un luogo di culto delle Muse'. Quel Demetrio era Demetrio Falereo, cresciuto alla scuola Aristotelica del Peripato, dove aveva appreso il 'metodo' del grande Maestro di Alessandro e di tutto il pensiero filosofico. Merito di Demetrio fu quello di aver dato il via ad una esperienza straordinaria non solo di conservazione ma, soprattutto, di elaborazione di sapere. I rotoli raccolti venivano tradotti in greco – la lingua universale dei dotti – e catalogati da Callimaco, col metodo 'degli autori che brillarono nelle singole discipline'. Fu anche impiantata una vera e propria scuola di filologia, con Zenodoto di Efeso che, per primo, divideva in capitoli i poemi omerici; e con Aristarco di Samotracia che raccoglieva le fila della complessa tradizione omerica.
La cultura mediterranea trovava dunque una sorta di ubi consistam in quel di Alessandria, oltre che nella biblioteca rivale di Pergamo…
La cultura non più solo sentita e praticata ma anche 'costruita'…
Uno straordinario libro di pietra
Con la progressiva affermazione del cristianesimo, in particolare, tra il IV secolo e l’avvento della civiltà comunale si realizza, in Europa, uno straordinario processo che porta ad una vera e propria omogeneizzazione culturale con l’innesto della 'nova religio' sugli antichi culti di ascendenza ' pagana'. Questo processo, al tempo stesso silenzioso per quanto efficace, è possibile 'leggerlo' nella 'ingenua' architettura delle pievi romaniche che, a partire dall’VIII secolo, cominciano a svilupparsi in vaste porzioni del territorio della attuale Toscana. Pieve dal latino plebs , nel senso della 'massa' che si contrappone alla elite patrizia.
San Bernardino non ci sta
Quel singolare processo era ancora in pieno svolgimento al tempo di Bernardino degli Albizzeschi, ossia a metà del XV secolo, tanto che, in una delle sue tante prediche infuocate, tuonava:'Dice colui che è servo di Dio: ‘Io voglio solamente credare in lui e non voglio credare alli incanti né alle fantasie:io voglio tenere quello che tiene la santa Chiesa…Non porrò più el maio per calendi maggio a l’uscio o a la finestra’, e sappi che chi sel pone pecca moralmente'. Giacchè quello che 'è venuto da’ pagani …è cosa erronia e mortalissimo peccato.' (Bernardino degli Albizzeschi, Prediche volgari sul Campo di Siena.)
Una cultura vinta ma non doma
Quella mentalità così esecrata da Bernardino discendeva direttamente dalla gens etrusca e si era mantenuta anche dopo la progressiva conquista, ad opera di Roma, delle città Rasenna. A partire dal I° secolo d.C. quell’antica visione sembra scomparire. Eppure 'l’anima dell’Etruria, vinta e distrutta, dopo essere scesa nel regno dell’Invisibile…ritornò nei regni della luce a recare al Cristianesimo i riti e la disposizione dell’animo antico.' 'Molti antichi simboli propri della classe sacerdotale' furono acquisiti dalla nova religio: 'il lituo si trasformò nel pastorale, la porpora divenne il colore delle vesti cardinalizie…' 'la sostanza stessa della nuova religione' si espresse 'in forme coincidenti con quelle dell’antica fede: anche la religione degli Etruschi era stata rivelata per le parole di un bambino, Tagete…' E soprattutto:' Le chiese esaltarono l’iconografia dei miti etruschi: serpenti, leoni, cavalli, grifi, minotauri, sfingi e chimere, sembrano forzare la superficie della pietra in una volontà di luce…'.
QUELLE CHIESE SONO PROPRIO LE PIEVI
Nel segno di Dioniso e Artemide
Due sembrano essere le divinità più venerate in quei luoghj: Fufluns, l’equivalente del greco Dioniso, divinità di origine asiatica, trasmigrata in Grecia ed in Etruria, dio della vite e del vino, espressione della forza fecondante della natura, e Aritimi. Ossia l’equivalente della Artemide greca e della Diana romana, dea della notte, legata alla luna ed ai suoi cicli, signora delle acque e delle fonti, regina delle selve e della caccia, una delle tante manifestazioni della Grande Madre generatrice delle popolazioni mediterranee. Il nome Artemide 'deve essere stato sentito originariamente come accadico arittum ,canale, corrente', ma avvertita anche 'scandita dalla omofonia tra le basi corrispondenti ad accadadico arittum ed accadico aritum, ossia disco, scudo…nome del pianeta Venere…' (G. Semerano, Le origini della cultura europea, tomo I°). Divinità dunque legata ai cicli della donna – rappresentati dalle fasi della luna – e dal suo rapporto con le acque, simbolo di vita e di generazione della vita.
Ciò che piace a Dioniso
A Fufluns- Dioniso, dio dell’ebrezza vengono comunque sempre attribuiti quattro segni distintivi, che in qualche modo servono, attraverso la forza evocativa del simbolo, a rappresentarne l’essenza, ossia (K. Kerenyi, Dioniso archetipo di una vita indistruttibile):
• il serpente;
• la vite;
• il toro;
• la donna.
Dalla cultura greca, anzi mediterranea, queste 'caratterizzazioni' divine si sono trasferite al Fufluns etrusco e di qui sono passate – almeno così pare - alle antiche pievi toscane … In effetti la grande parte dei simboli che si ritrovano sulle architravi di quegli antichi edifici o nascosti tra le modeste colonne che ne sorreggono la struttura sono esattamente quelli che appartengono al culto – e quindi alla cultura – dell’esotico Dioniso. (S. Bernardini, Il serpente e la sirena).
Dioniso va a Lamula
Un’ultima suggestione simbolica proviene dalle pievi toscane: in questo caso non si tratta di un simbolo scolpito sull’antica pieve ma di una festosa usanza che si svolge innanzi alla pieve di Lamula, nei pressi del piccolo centro di Montelaterone, da chissà quanto tempo. Nella ricorrenza della domenica in Albis, ossia in tempo di primavera, cioè di risveglio della natura, il promesso sposo dona alla sua bella una pina infissa su di un bastone. Lei risponde con un dolce dalla forma rotonda e forato al centro. Il riferimento sessuale è esplicito. E si tratta di un riferimento dionisiaco, dal momento che quel bastone non è altro che il tirso, che le Baccanti impugnano quando sono inspirate dal dio. 'La pina… ha…significati simbolici di fertilità contigui a quelli dell’uva' e collega Dioniso ad Attis, il dio frigio, compagno di Cibele, che si evira sotto il pino sacro, irrorandolo col suo sangue carico di vita (S. Bernardini, Il serpente e la sirena).
'IN MOLTI PORTANO IL TIRSO, MA POCHI SONO I BACCANTI…'
Anche l’Islam
'Il Duecento è un secolo particolarissimo nella cultura italiana, perché è un secolo in cui i rapporti fra il mondo cristiano e il mondo musulmano si fanno molto più stretti, per tutta l’area mediterranea. E questo si deve soprattutto a un evento storico e alla grandezza di due personaggi che hanno dominato il Duecento…Federico II, imperatore re di Sicilia e Alfonso X il Savio. Questi due personaggi, per ragioni particolari, nella loro infanzia furono molto legati al mondo arabo. Federico II, addirittura, visse da bambino quasi nell’ambiente arabo, dopo che morì sua madre. E a sua volta, Alfonso X, ebbe strettissimi rapporti familiari con le personalità della cultura araba. Questo contribuì a creare un fenomeno veramente affascinante che sarebbe bello che si ripetesse presso tutti i popoli: un fenomeno di trasmissione di cultura. Gli arabi portavano in Occidente soprattutto la cultura greca. La filosofia greca, la trascrivevano in arabo e poi i testi arabi venivano tradotti. Alfonso il Savio creò la famosa scuola di Toledo nella quale si traduceva tutto dai vari paesi del mondo, in castigliano, poi dal castigliano in latino
Bachtin, o della interdiscorsività
A supporto di questa osmosi che riguarda due mondi così diversi come l’Islam e la Res Publica Christiana la filologa Maria Corti evoca il fenomeno della interdiscorsività, così come enunciato da Michail Bachtin, anche lui filologo e critico letterario. 'Quando due culture sono in stretto contatto', precisa dunque la Corti 'i vocaboli, le idee, i pensieri, i concetti di una cultura passano ovviamente all’altra e quindi non si riesce più a trovare la fonte diretta, perché quando un’espressione comincia a circolare non si sa più chi l’abbia creata o chi l’abbia messa in circolo. Questo è ciò che avviene per Dante. In Dante ci sono molti arabismi, che gli vengono per questo fenomeno dell’intertestualità. Non sono degli arabismi che Dante abbia appreso da un particolare libro.'(M. Corti, Dante e l’Islam). E per questo cita l’arrivo di Ulisse alle colonne d’Ercole come lo descrive Dante nella Commedia, 'Là dove Ercole segnò i suoi riguardi a ciò che l’uom più oltre non si metta'. Quel luogo è, appunto, lo stretto di Gibilterra che, secondo la cultura islamica era insuperabile, a differenza di quanto avveniva nell’antichità quando tanti navigatori erano tranquillamente andati oltre…
La scala di Maometto e di Dante
Ma l’esempio più rilevante di 'contaminazione' di queste due culture, testimoniata appunto da una koinè coglibile anche oggi, è quello dell’influsso esercitato sulla Commedia da un antico testo islamico, il c.d. 'Liber scalae Maometti. 'Ora, noi sappiamo, per esempio, un dato molto importante: alla scuola di Toledo c’era un traduttore, che era Bonaventura da Siena (cioè un toscano), che faceva anche il notaio per re Alfonso. Ora, questi tradusse un libro che fu composto in arabo nell’ottavo secolo, questo libro è intitolato Liber Scalae Maometti. É un libro in cui si racconta il viaggio di Maometto nell’aldilà, accompagnato dall’arcangelo Gabriele nel paradiso e nell’inferno. Prima vanno in paradiso e dopo all’inferno: il purgatorio non c’è nella religione araba (e quindi questo non ci riguarda), ma Dante prende lo stesso anche per il purgatorio degli elementi da quest’opera .' (M. Corti, Dante e L’islam). Questo, forse, fu reso possibile perché alla corte di Alfonso X soggiornò, conoscendo anche Bonaventura da Siena, Brunetto Latini, il maestro di Dante…
Trapani
Infine un riferimento a questa città, sulle origini del suo nome, legato a Saturno ed alla sua falce che, caduta in questo lembo di mare, diventò una striscia di terra a forma di arco, chiamata, appunto, in greco, Drepanon, ossia "falce". In un’ altra versione del mito è Cerere, la dea delle messi, a perdere sua falce mentre muove alla disperata ricerca della figlia Proserpina rapita da Ade .Ma G. Semerano propone un’altra versione, ricordando che Trapani fu porto di Erice, arcktu in accadico, che equivale ad arx. E a sua volta Trapani, che non è di origine greca ma fenicia, discende dall’accadico duru, ossia giro di mura – coerente con la conformazione del luogo - e panu, cioè costa. (G. Semerano, Le origini della cultura europea, tomo I°).
In finis
Mi fermo qui. Ci sarebbe ancora tanto da dire sulla koinè culturale del Mediterraneo. Mi limiterò a citare G. Duby quando riconosceva. 'La fonte è là, nello spazio mediterraneo, la fonte profonda dell’alta cultura di cui mena vanto la nostra civiltà.' E’ ' sin dall’alba della storia che i popoli dell’interno hanno volto gli occhi verso il mare. Dallo stesso ceppo generoso hanno continuato a scaturire nuovi germogli pieni di fascino, le cui attrattive incitavano a risalire alle loro radici'. Ma oggi non è più così e, 'da circa un secolo il Mediterraneo offre a chi lo scruta … un volto di violenza. Veemenza del sole che divora i colori, veemenza del vento e dell’uragano sulla pietra arida e i cespugli anneriti, in un paesaggio severo, grigio e bianco, che erge i suoi cippi nel silenzio e nella solitudine sulle rive di un mare cupo e parsimonioso, maestro di miseria.'(G. Duby, L’eredità, sta in F. Braudel, Il Mediterraneo).
Prof. Vinicio Serino
(Università di Siena)
Inserito il 05 Novembre 2010 nella categoria Relazioni svolte
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