Con la prolusione del prof. Antonino Tobia, Presidente dell'Istituzione, sono ufficialmente iniziate le attività dell'Università
Relatore: Prof. Antonino Tobia - Letterato
Gentili signore e signori, cari amici,
vi ringrazio di avere accolto il nostro invito per l’inaugurazione dell’anno accademico 2012-2013, il sesto da quando abbiamo intrapreso questa gratificante avventura. Oggi, 27 ottobre, riprendiamo il nostro cammino da dove l’abbiamo lasciato qualche mese fa.
La nostra attività culturale si avvia a percorrere un nuovo anno d’impegno accademico, che come per gli anni precedenti si presenta ricco di avvenimenti ed incontri culturali. L’obiettivo di ampliare gli orizzonti del nostro sapere, confrontandoci con esperti relatori di notevole spessore intellettuale, è certamente il più importante della nostra programmazione accademica, ma non è il solo, perché tale obiettivo non si pone come fine ma come strumento di socializzazione, di attivazione delle nostre capacità mentali, attraverso il confronto delle idee e la piacevole rivisitazione del bagaglio culturale acquisito in altri periodi della nostra esistenza.
Sono i vostri sguardi interessati, i vostri volti che si illuminano dinanzi alle parole del singolo oratore, la vostra attenta partecipazione che costituiscono per noi, rappresentanti del consiglio direttivo, lo stimolo a fare sempre di più e meglio.
Proporre argomenti sempre nuovi significa promuovere la curiositas, attraverso la quale si rinvigoriscono la mente e lo spirito, ringiovanisce il pensiero, si corrobora la connessione funzionale fra le cellule nervose, si impedisce a ciascuno di noi di trasformarsi in sterile laudator temporis acti con lo sguardo rivolto al passato e incapace di guardare oltre la siepe, che ogni giorno si pone dinanzi a noi, come ostacolo da superare nel tentativo di cogliere un orizzonte più ampio.
Non dobbiamo fuggire il nostro tempo, se vogliamo partecipare del mondo in cui ancora ci è dato vivere. Questo nostro incontro, che segna l’inizio di una nuova esperienza, ha in sé una sua solennità, perché esalta e commuove: esalta per i sentimenti di affetto e di stima che esso esprime; commuove in quanto è la testimonianza di una sfida al tempo, che ciascuno di noi ingaggia per affermare eroicamente l’imperativo categorico: io esisto e finché penso ed elaboro concetti e mi apro al dibattito delle idee e al dialogo con il mio prossimo VIVO!
Se volessimo raffigurare con un luogo geometrico la vita di un uomo, credo che la si possa rappresentare con una circonferenza. Essa, infatti, a nostro avviso, non si presenta come una retta formata da una serie infinita di punti, ma neppure la si può immaginare racchiusa in un percorso rettilineo e finito come il segmento. Accettare la concezione lineare vorrebbe dire considerare il tempo come catena di momenti, in cui ognuno ha senso solo in funzione degli altri. Il che ci condizionerebbe a restare legati al passato e ci impedirebbe di guardare al futuro ogni volta come all’inizio di un nuovo viaggio. La naturale conseguenza di una tale concezione sarebbe la mancanza di felicità, che di per sé forse non esiste come entità assoluta, ma che è bello ogni volta poterla inseguire e credere di poterla raggiungere.
La nostra vita, come quella dell’Universo, è fatta di un eterno ritorno, come direbbe Nietzsche, dove la circolarità è data dalla volontà di rimettersi ogni volta in gioco, a dispetto dello scorrere inesorabile del tempo. È questa circolarità il denominatore che accomuna tutto l’Universo. La visione ciclica del tempo comporta che ogni momento sia vissuto nella sua pienezza di significato, in quanto ogni attimo costituisce il centro della nostra temporanea esistenza.
È bello pensare che ogni nostro incontro avvii una nuova fase del nostro viaggio terreno, scandito da momenti di profonda meditazione, di intense riflessioni e, allo stesso tempo, senza l’angoscia dei negotia: il sapere per il sapere! L’orologio biologico ci invita, infatti, a gustare meglio i momenti del nostro otium, che non giudichiamo sinonimo di inattività, bensì di libertà dello spirito, rivolto alla migliore fruizione del nostro tempo, nel senso che Cicerone e il Petrarca vi attribuivano. Se c’è un bene che va gelosamente conservato e speso con oculatezza, questo, c’insegna il filosofo Seneca, è il tempo che ci è stato concesso di vivere. Possiamo, infatti, cedere o perdere le nostre ricchezze e vederle subito dopo ritornare anche maggiori, ma il tempo che avremo sprecato scioccamente non ci ritornerà indietro, se non come amaro rammarico e sofferta nostalgia.
E allora chi definiamo vecchio? Chi non ha lo spirito della sua età, questo era il pensiero di Voltaire. Churchill aveva passato i settant’anni quando guidò la Gran Bretagna alla vittoria; Konrad Adenauer, uno dei padri fondatori dell’Unione Europea, ricevette in eredità nel 1949, all’età di settantatre anni, una Germania sconvolta e divisa e ne tenne il cancellierato fino al 1963, vale a dire fino a ottantasette anni. Il grande Vecchio, come lo chiamavano gli Americani, aveva un’etica irreprensibile nella vita privata e in politica. Assumeva solo gli impegni che riteneva di poter onorare, si cibava di poco e il suo pranzo consisteva in un uovo, una fettina di vitello, pochi grammi di pane nero, un bicchiere di vino, purché fosse di buona qualità. Pare che solo dopo gli ottant’anni fosse stato visto fumare una sigaretta durante un viaggio in USA. Anche De Gaulle fu presidente della Quinta Repubblica dal 1959 al 1969, cioè da settantanove a ottantanove anni e Picasso continuò a dipingere anche verso i novanta. E novantenne Sofocle, per difendersi dalla cupidigia dei figli, che lo accusavano di demenza senile dinanzi ai giudici per entrare in possesso del patrimonio paterno, lesse in tribunale una delle sue migliori tragedie, l’Edipo a Colono, che poco prima aveva scritto. Non mi dilungo a parlare dei rappresentanti della nostra classe politica, contro cui è in atto un difficile progetto di rottamazione, come se l’esperienza acquisita negli anni non debba essere rispettata se può essere messa a disposizione della gestione del Paese. La rottamazione riguarda gli oggetti vecchi e fuori uso, non può riferirsi alle persone, se è vero che l’Italia negli ultimi decenni è stata ben rappresentata al Quirinale da Vecchi saggi e di provata onestà intellettuale. Nell’antica Sparta un giovane si alzava dinanzi ad un anziano per cedergli il posto, mentre la nuova paideia, esasperata eredità sessantottina, spinge i giovani a considerare chi è avanti con gli anni un povero ferrovecchio.
Eppure, 'si può nascere vecchi e morire giovani', amava osservare il poeta e drammaturgo francese Jean Cocteau. E il barone Guy de Rothschild, che scrisse il suo primo romanzo a ottantasette anni, dal titolo Buon viso alla fortuna, sugli orrori dell’olocausto, esordiva dicendo che 'bisogna proibirsi di essere vecchi'. Un appello questo che noi volentieri accettiamo e mettiamo in atto perché finora abbiamo creduto nella vita nei suoi momenti belli e nelle difficoltà.
La nostra generazione che ha assistito al sorgere di una nuova alba per l’Europa dopo il secondo conflitto mondiale, che ha partecipato alla nascita di un sogno, quello di un’Europa Unita, modello di pace per tutti i popoli della Terra, come le è stato riconosciuto dal recente conferimento del Premio Nobel per la pace, quest’Europa che negli ultimi anni ci ha fatto soffrire e temere il prevalere dell’euroscetticismo e una conseguente disgregazione dell’Unione, che porterebbe indietro le lancette dell’orologio della Storia, questo Vecchio Continente, pur vecchio, non è da rottamare, perché ha in sé le energie morali e intellettuali necessarie a svolgere ancora il ruolo di protagonista del futuro dell’umanità. Può sembrare credere nei miracoli, ma 'chi crede nei miracoli è un realista', amava dire Ben Gurion, il fondatore dello Stato d’Israele.
Spero di non avervi tediato con le mie parole, che sono state indirizzate a rimarcare le linee fondamentali del nostro impegno e a rinsaldare i vincoli di stima e di affetto che da cinque anni ci tengono uniti.
Ringrazio con viva gratitudine i miei amici consiglieri, che con me hanno condiviso sotto la calura estiva la fatica della programmazione del nuovo anno accademico. Ringrazio e saluto l’amico Virginio Amodeo, che ha chiesto di essere sollevato dall’incarico di Tesoriere per motivi personali. A lui, per la dedizione mostrata nel corso degli anni alla nostra impresa culturale, rivolgo a nome mio e del consiglio direttivo calorosi sentimenti di riconoscenza, convinti che il suo apporto ci sarà sempre generosamente offerto ogni qual volta glielo avremo chiesto. Un applauso sento che debba essere dedicato al dott. Giuseppe Abbita, che ha accettato di subentrare nella carica di direttore amministrativo con l’entusiasmo che è richiesto da quanti, come noi, operano senza fini di lucro, per creare momenti di incontro e di crescita umana e culturale tra persone di buona volontà e di somma onestà intellettuale. E un fulgido esempio di onestà intellettuale e di capacità dirigenziale è qui presente accanto a noi nella persona del preside prof. Erasmo Miceli, col quale siamo onorati di collaborare e che questa sera sentiamo di inserire nel nostro albo d’onore. Non poteva trovare inizio migliore il nuovo anno accademico né conclusione più felice di questa.
Grazie per l’attenzione che avete dedicato alle mie parole. Vestra sponte clare plaudite.
Il Presidente - Prof. Antonino Tobia
Trapani, Aula Magna I.T.I 27.Ottobre 2012
Inserito il 27 Ottobre 2012 nella categoria Relazioni svolte
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