Con la presenza del Dirigente scolastico prof.ssa Aurelia Bonura, il prof. A. Tobia ha dato inizio alle attività didattiche relazionando su Plinio il Vecchio
Relatore: Prof. Antonino Tobia
Il giorno 27 Ottobre, nell’Aula Magna dell’I.T.I. "Leonardo da Vinci", alla presenza di un folto pubblico, ha avuto luogo l’inaugurazione del nuovo anno accademico con l’esibizione del Coro dell’Università nell’Inno alla Gloria" di Ludwig Van Beethoven.I lavori sono poi proseguiti con la prolusione della prof.ssa Aurelia Bonura, Dirigente scolastico dell’Istituto; la prof.ssa ha evidenziato l’alto merito culturale dell’Università "Marrone" che negli anni si è qualificata quale importante polo di cultura operando nella città di Trapani.Successivamente il Presidente del sodalizio, prof. Antonino Tobia, ha illustrato la figura di Plinio il Vecchio quale ecologista di duemila anni fa e la cui relazione si trascrive qui di seguito.
Introduzione
Per dare inizio al nuovo anno accademico, dopo la prolusione e la presentazione del programma di venerdì scorso, non ho trovato migliore argomento di discussione che ricordare un grande autore della letteratura latina a duemila anni dalla sua nascita a Como, il 23 d. C.: Plinio il Vecchio. Esaminare la vita e l’opera di questo personaggio vuol dire ripercorrere tutti gli aspetti dello scibile umano che lo storico racchiuse nella sua enciclopedica opera NaturalisHistoria. Noi, amici della Libera Università, ci sentiamo vicini a Plinio, perché anche la storia di questa nostra agape culturale, si parva licet componere magnis,(Virg. Georg. IV)muove dalla curiositas,cioàdal bisogno di ampliare leconoscenze in qualsiasi ambito del sapere. Ci avvicina a Plinio anche il fatto che a questo nostro convito può partecipare chiunque, indipendentemente dalla sua formazione culturale, e può allo stesso tempo sentirsi accolto all’interno di questo nostro consorzio civile e socializzante.
Plinio il Vecchio (23 d.C. – 79 d. C.), un ecologista di duemila anni fa
<_div>Dopo 2000 anni il ricordo di Plinio il Vecchio è ancora presente nella nostra memoria storica almeno per due motivi: uno legato alla sua monumentale opera enciclopedica NaturalisHistoria; l’altro alle circostanze in cui lo storico perse la vita. Gaio Plinio Secondo, conosciuto come Plinio il Vecchio, nacque a Como il 23 dell’era volgare. La zona comasca era stata abitata da secoli da antiche popolazioni liguri. Successivamente, intorno al V secolo a. C., i Galli Insubri, stanziati nell’Italia nord-occidentale, fondarono Comumoppidum. Nel 196 a. C. il console Marco Claudio Marcello ottenne il trionfo sui Galli e Como divenne un’importante città della repubblica romana.Da Plinio il Giovane, suo nipote, apprendiamo che suo zio era un uomo di carattere mite, altruista, dedito allo studio ed alla lettura, intento ad osservare i fenomeni naturali ed a prendere continuamente appunti. La sua ansia di sapere non conosceva limiti.Svolse varie funzioni al servizio della sua patria.Come comandante della cavalleria, compose un libro sull’arte del lancio del giavellotto da cavallo.Dedicò due libri alla biografia di Pomponio Secondo, suo amico, uomo probo e di nobile ingegno. Ci ha lasciato inoltre una ventina di libri sulla guerra della Germania; tre libri, intitolati Lo Studioso, diviso in sei volumi, in cui tratta dell’arte oratoria;otto libri sulle difficoltà della grammatica;trentasette libri sulla Storia Naturale.Ma delle sue opere a noi restano solo frammenti, tranne il suo capolavoro NaturalisHistoria, una imponente enciclopedia in XXXVII libri, da cui apprendiamo la vastità del sapere antico. L’opera tratta, infatti, di astronomia, geografia, antropologia, zoologia, botanica, materiali, medicina, metallurgia, mineralogia e contiene ampie divulgazioni sulla storia dell’arte che ci forniscono importantissime notizie di autori e opere a noi altrimenti ignote. Sono poi inserite nella trattazione i mirabilia, ovvero informazioni curiose su popoli lontani o su animali.Plinio il Vecchio non fu uno scienziato, bensì un erudito, desideroso di attingere le notizie più diverse sulla natura e sulla cultura del suo tempo, convinto che il sapere rappresenti la condizione fondamentale dell’esistenza umana. Pur impegnato nell’attività pubblica come comandante militare e governatore provinciale romano, Plinio teneva sempre con sé opere di scrittori di vario genere, che leggeva direttamente o ordinava al suo attendente di leggerle, per poi egli stesso riassumerne il contenuto.Plinio iniziava a studiare di notte; in inverno, alla VII ora, talvolta all’VIII, ma spesso alla VI. Il sonno a volte lo prendeva accasciandolo sui libri.All’alba egli si recava presso l’imperatore Vespasiano, che faceva un buon uso delle notti. Qui svolgeva le funzioni che gli erano state affidate. Svolti i suoi affari, tornava a casa e nel suo tempo rimanente si dedicava allo studio. Dopo un pasto, sempre molto semplice e leggero, secondo il costume dei nostri padri, per prendersi qualche momento di svago, si poneva sotto il sole leggendo un libro, prendendo appunti perché non leggeva nulla senza estrarre qualcosa, e diceva che non esisteva un libro così brutto da cui non si potesse imparare qualcosa. Dopo essersi ritirato dal sole, faceva in genere un bagno d’acqua fredda. poi mangiava qualcosa e si prendeva un riposino. Infine, come se un nuovo giorno fosse iniziato, riprendeva lo studio fino a cena. Mentre cenava, nuova lettura, nuovi estratti, ma sempre di corsa. Il nipote ricorda che un giorno, un suo amico interruppe il lettore, che aveva pronunciato male qualche parola e gliela aveva fatte ripetere. - Ma avete capito? - disse mio zio. - Senza dubbio - rispose il suo amico. - E perché allora - gli rispose - me lo fate ripetere? La vostra interruzione ci costa più di dieci righe. Vedete voi se non ci sia un modo migliore di amministrare il tempo -.Nei suoi ritiri, egli non aveva altro tempo che il bagno per interrompere il lavoro: nell’acqua perché mentre si faceva asciugare e massaggiare non mancava o leggere o dettare. La Storia, pubblicata l’anno 77 del I secolo d. C., e dedicata al futuro imperatore Tito,per gli antichi delizia del genere umano, è il risultato delle opere di più di 500 autori e di una ingente mole di appunti tratti da circa 2000 opere, come ci tramandail nipote Plinio il Giovane in una sua lettera (III, 5), fondamentale per la conoscenza della vita dello zio. Il nipote loda l’acre ingenium , l’incredibile studium, la summa vigilantia che stimolavano lo zio in ogni ora della giornata a leggere, prendere appunti, fare estratti di tutto ciò che apprendeva.L’opera nella sua immensa quantità di nozioni, anche se non sempre attentamente vagliate e criticamente analizzate, anticipa la struttura delle enciclopedie nate ne XVIII secolo, prima fra tutte l’Encyclopédiedi scienze, arti e mestieri pubblicata in Francia tra il 1761 e il 1772 sotto la direzione degli intellettuali illuministi Diderot e d’Alembert.Questo sistema completo di cognizioni oggi è facile trovarlo nellamoderna enciclopedia online a contenuto libero, che ha rappresentato una conquista democratica circa la distribuzione gratuita del sapere.Come si evince dal titolo, è la natura il tema centrale dell’opera. La natura intesa come entità viva, che l’uomo deve esaminare, studiare e capire, perché di essa egli fa parte e senza di essa non potrebbe vivere.Plinio è un seguace della filosofia stoica. La natura è considerata un principio attivo e autonomo in una visione panteistica dellarealtà. Da qui l’interesse per lo studio dei suoi processi di trasformazione. Il cosmo è l’insieme unitario del mondo materiale e del logos, la ragione universale immanente ad esso e a tutti gli elementi che lo compongono, compreso l’uomo. Per tale motivo, l’uomo deve uniformarsi alla natura mediante l’astensione dalle passioni e da tutto ciò che non coincide con la virtù. L’apàtheiaè la virtù per eccellenza,che si raggiunge attraverso l’adiafora, cioè l’allontanamento da tutti i beni esteriori (ricchezze, onori, vita). L’apatia si distingue dall’atarassia degli epicurei, che mirano al raggiungimento dell’aurea mediocritas oraziana. L’epicureosegua la concezione atomistica democritea dell’universo, che esclude la presenza di qualsiasi logos. Sul piano etico persegue una visione individualistica dell’esistenza, che lo induce ad evitare ogni forma di coinvolgimento sociale o politico.L’epicureo non mira al conseguimento della virtù, bensì al possesso del piacere catastematico, che consiste nell’accettare il ne quid nimis, lamoderazione, il rifiuto delle ambizioni, atteggiamenti che consentono al saggio di godere la vita attimo per attimo, senza l’affanno e l’ansia di dover morire e di essere giudicati dopo la morte dagli dei. Est modus i rebus, carpe diemsintetizzano l’etica oraziana, che si definiva Epicuri de gregeporcus (Epistole, 1,4).Plinio sente che la natura meriti altissimo rispetto perché le sue risorse sono generose e aiutano l’uomo a vivere, a provare piaceri, a vestirsi e a curarsi. Essa si mette al servizio dell’uomo in tutti i campi. Da qui la condanna contro quanti danneggiano le risorse naturali a scopo di lucro e compromettono il rapporto armonioso con i beni che essa offre spontaneamente al genere umano.Le bellezze e la forza degli elementi naturali rivelano che la natura non è una realtà statica, ma una creatura vivente, su cui domina, secondo gli stoici, una provvidenziale presenza divina.La lezione di Plinio e degli stoici è di una attualità sconvolgente: l’uomo deve saper leggere le esigenze della natura, le sue leggi, la sua vitalità se non vuole incorrere in sciagure disastrose come quella del Vajont, che sessant’ anni fa provocò una delle più grandi tragedie italiane: la sera del 9 ottobre 1963, una gigantesca frana, il cui pericolo i geologi avevano segnalato per tempo, ha cancellato in pochi minuti intere comunità al confine tra il Veneto e il Friuli Venezia Giulia, tra cuiil comune di Longarone, uccidendo circa 2000 persone.-È stata colpa della natura matrigna?-Nel libro VII, dedicato all’antropologia, Plinio si ponela medesima domanda che secoli dopo ritornerà nel Dialogo della natura e di un islandese di Giacomo Leopardi: la natura è madre benevola o matrigna indifferente verso il genere umano?Lo studioso conduce la sua indagine sulla vita di tutti gli esseri viventi. Ne deduce che solo l’uomo è stato trascurato dalla Natura. Infatti, nasce nudo, senza difese naturali, e fin dal momento della sua venuta al mondo ha bisogno di essere nutrito, difeso, curato, istruito. Stando così le cose, se ne deduce che nessun mortale può considerarsi felice se non vive in armonia con la natura. Essa loha collocatoal centro del creato e attraverso la ragione lo ha reso capace di superare le difficoltà e vincere i patimenti. La natura, quindi, non è matrigna, essa, al contrario, è una realtà viva ed esprime una forza benefica e provvidenziale.Spetta all’uomo trovare ogni volta il giusto equilibriocol mondo che lo circonda.Se la natura è espressione di vita edi energia, offendere la natura vuol dire offendere se stessi e tutto il genere umano.- Da ecologista ante litteram, Plinio condanna lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali,manipolate dall’uomo per soddisfare la sua avidità di guadagno, dalla quale è indotto amuovere guerracontro i suoi simili, a trasformare il ferro in armi, ad abbattere foreste e a deviare il corso dei fiumi, sui cui letti abusivamente e inconsciamente osa costruirvi sontuose dimore. Plinio è rispettoso della massima stoica, del vivereKatàPhýsin, secondo natura, sia per ragioni, diremmo, ecologiche, sia per motivi etici. Anche ai suoi tempi, il rapporto uomo-natura gli appariva disarmonico e foriero di disastri ambientali.Un forsennato disboscamento degli Appennini centro-meridionali fu operato da Roma a partire dalla Prima guerra punica (264-241 a. C,). La rivale Cartagine era una potenza marittima e disponeva di poderose quinqueremi da guerra. I romani, invece, avevano solo triremi da commercio. Per affrontare il nemico con una macchina da guerra adeguata allo scontro navale, i romani in soli 60 giorni riuscirono a costruire 100 quinqueremi e 20 triremi, sul modello di una nave cartaginese naufragata nella costa calabrese. Mentre i carpentieri allestivano e assemblavano le varie parti dello scafo, 30.000 rematori, quanti ne occorrevano per mettere in mare una così ingente flotta, venivano addestrati a terra, secondo una testimonianza di Polibio. Per realizzare una tale flotta, il prezzo pagato dal manto boschivo fu enorme. Alberi di alto fusto servivano a fornire gli scafi, mentre foreste di conifere venivano abbattute per ricavarne la resina che doveva calafatare e impermeabilizzare la struttura delle imbarcazioni. Ma questo violento attacco alla natura fu solo l’inizio, perché Roma dopo la distruzione di Cartagine, assunse la piena talassocrazia del Mediterraneo, divenuto Mare Nostrum. Anche la Sicilia fu disboscata per divenire il granaio di Roma. Già allora, la distruzione dei boschi diede inizio al degrado ecologico della Penisola: le pendici delle montagne divennero franose, molti fiumi si trasformarono in torrenti, altri esondavano facilmente trasformando terreni prima fertili in zone paludose, che diffondevano la malaria a causa della diffusione della zanzara anofele. Anche il clima subiva notevoli cambiamenti, diventando più caldo e più secco. Roma, caput mundi, divenne una metropoli, con un’economia in continua espansione. Per produrre beni di prima necessità, materiale edilizio, armi, mattoni, ceramiche, vetro e quant’altro occorreva tanta energia, che poteva essere prodotta solo dal legno attraverso l’abbattimento continuo di boschi e foreste. Il legno era la materia prima anche per costruire e riscaldare le case,alimentare i forni e modellare suppellettili. La richiesta di legname crebbe con l’avanzare dell’urbanesimo a partire dai II secolo a.C.-Plinio hapresente lo stravolgimento naturale operato soprattutto negli anni della dinastia giulio-claudia e successivamente dei Flavi. Edilizia pubblica e privata cambiarono il volto di Roma, per esaltarne la potenza politica e militare.Per tutto il Medioevo e fino all’età moderna l’opera di Plinio costituì una ricca fonte del sapere antico nei campi più svariati. E la sua curiositas è la medesima dote che Dante attribuisce al suo Ulisse, quando l’eroe greco stimola i suoi pochi compagni sopravvissuti con le seguenti parole:Considerate la vostra semenza:fatti non foste a viver come bruti,ma per seguir virtute e canoscenza.- Italo Calvino, nella sua prefazione all’opera di Plinio, edizione Einaudi, annota:Potremmo distinguere un Plinio poeta e filosofo, con un suo sentimento dell’universo, un suo pathos della conoscenza e del mistero, e un Plinio nevrotico collezionista di dati, compilatore ossessivo, che sembra preoccupato solo di non sprecare nessuna annotazione del suo mastodontico schedario.(DA I. CALVINO, IL CIELO, L’UOMO, L’ELEFANTE).--Primo Levi sottolinea la meraviglia che il lettore moderno prova dinanzi al vastissimo palcoscenico di dati, informazioni, curiosità che lo scrittore offre a chi legge.Interessanti sono le considerazioni del filosofo francese Michel Onfray, ateo, anticapitalista, libertario. Questi esalta la straordinaria statura morale di Plinio, il suo filantropismospinto fino al più nobile sacrificio di sé: Plinio seppe vivere e morire come un dio: essere dio, per un mortale, è aiutare un mortale, ecco la via verso l’eternità.Al di là della grande quantità di aneddoti e nozioni raccolte nella sua Historia, è il modo in cui Plinio andò incontro alla morte che ne ha conservato viva la memoria nei secoli.Il 24 agosto del 79 d.C. la terribile eruzione del formidabil Vesevo, espressione usata da Giacomo Leopardi nella Ginestra,distrugge le più importanti città campane poste alle falde del monte: la ricca e popolosa Pompei, l’elegante città residenziale, Ercolano, centro di cultura, come è stato rilevato dalla piccola e preziosa biblioteca di rotoli di papiri carbonizzati, contenenti opere filosofiche epicuree; e ancora Stabia, corrispondente all’attuale Castellammare di Stabia e Oplontis, oggi Torre Annunziata, famosa per la sontuosa Villa Poppea, la seconda moglie dell’imperatore Nerone. Le rovine di Pompei, in particolare, rimaste sepolte sotto strati di lava e di pomici, sono state riportate alla luce a partire dal XVIII secolo, sotto il regno di Carlo di Borbone, dopo che erano stati iniziati gli scavi di Ercolano, riscoperti casualmente nel 1709, durante lo scavo di un pozzo, ordinato dal principe Emanuele Maurizio di Lorena, rifugiatosi a Portici per sfuggire agli austriaci.-Lo storico Cornelio Tacito, nelle Historiae, che comprendono il periodo degli imperatori Flavi, volle narrare la immane catastrofe dell’eruzione vesuviana e per conoscere i particolari della morte di Plinio il Vecchio, si rivolse al nipote, Plinio il Giovane, che nel 79 aveva 18 anni ed era stato testimone della tragedia.-Plinio il Vecchio era comandante della flotta di stanza al porto di Miseno, distante circa 40 chilometri da Napoli. Il 24 agosto, verso l’una del pomeriggio, scrive Plinio, sua madre, Plinia, avvisava il fratello che era apparsa una nuvoladi insolita forma e grandezza. Dopo essere stato al sole e aver fatto un bagno freddo, aveva fatto colazione a letto e studiava. Quindi chiedeva i sandali e saliva su un poggio, donde si poteva vedere benissimo quel fenomeno straordinario. Una nube si levava dal Vesuvio a forma di pino, che si allargava in tanti rami, ora candida, ora scura, secondo che il vento sollevava terra o cenere. Il fenomeno gli parve degno di essere osservato più da vicino. Fece allestire una nave liburnica, nave da guerra veloce, e invitava il nipote a seguirlo. Questi, pero, risponde che preferiva restare con la madre per continuare a studiare. Plinio stava uscendo di casa, quando ricevette un biglietto da Rettina, moglie del suo amico Casco. La donna lo informava disperata che dalla sua villa, ai piedi del Vesuvio, non poteva mettersi in salvo, se non per via mare e perciò lo pregava di portarle aiuto. Lo slancio del suo cuore generoso prevalse a questo punto sull’amore della scienza. Fece uscire la quadrireme e s’imbarcò egli stesso per soccorrere non solo Rettina, ma quanti già affollavano la spiaggia. Puntò diritto a timone fermo verso il luogo del disastro e, intanto, annotava tutte le fasi e gli aspetti di quella sciagura. Già la cenere cadeva sulla nave e con essa pomicie pietre nere, arse e spaccate dal fuoco. La spiaggia per il franamento del monte era ormai inaccessibile. Al pilota, che lo consigliava di tornare indietro, disse: fortes fortuna iuvat e gli ordinò di dirigersi verso la casa di Pomponiano a Stabia. Qui, il suo amico aveva imbarcato i bagagli ed era in procinto di fuggire. Ma Plinio lo rincuorò, si recò in bagno per lavarsi, sedette a tavola, pranzò, mentre in diversi punti del Vesuvio rilucevano fiammate vastissime e alti incendi. Plinio cercava di infondere coraggioai presenti, dicendo che si trattava non di eruzioni del vulcano ma di fiamme abbandonate dai coloni che avevano lasciato le loro abitazioni. Quindi si pose a dormire, russando e ansimando, appesantito dalla sua mole corporea e sofferente per l’asma che lo infastidiva. Intanto, il cortile della casa si riempiva sempre più di cenere e lapilli e la stessa era scossa da violenti e frequenti sussulti sismici. Venne, perciò, svegliato e tutti decisero di lasciare la casa. Si posero dei guanciali sul capo per difendersi da tutto ciò che cadeva dall’alto. Uscirono sulla spiaggia, ma il mare era grosso e contrario, mentre tutt’intorno incombeva una notte più scura e fitta di qualunque notte, sebbene fosse già sorto il sole. Qui, stesosi su un lenzuolo gettato per terra, chiese due volte dell’acqua fresca. Intanto, le fiamme e un odore sulfureo mettevano in fuga gli altri. Sostenuto da due servi, si alzò e nel punto stesso ricadde esanime per avergli impedito il fumo troppo denso il respiro. Dopo tre giorni tornò la luce e il suo corpo fu trovato intero e illeso, con addosso ancora l’abito che portava, nell’atteggiamento simile ad uno che dormisse.-Così il 25 agosto del 79 moriva Plinio il Vecchio, protomartire della scienza sperimentale , come lo definì Italo Calvino. La curiositas lo uccise, ma la sua opera di grande erudito e sincero ecologista vive ancora con noi comemonumentum aere perennius.-Plinio il Giovane sulla tomba dello zio Plinio il Vecchio pose questo epitaffio:--L’uomo fortunato, secondo la mia opinione, è colui a cui gli Dei hanno garantito il potere di fare qualcosa che ha valore ricordare o di scrivere qualcosa che ha valore leggere, e più fortunato di tutti è chi può fare entrambi. Tale uomo era mio zio.(Plinio il Giovane, Lettere 6.16.3).-A Stabia, dal cui porto molti fuggirono via mare, fu ritrovato uno scheletro carico di insegne militari e di gioielli d’oro. Accanto c’era anche un piccolo gladio adornato di conchiglie d’oro, appartenente di sicuro ad un alto ufficiale o allo stesso ammiraglio della flotta romana. Gli esami isotopici del cranio hanno stabilito che esso era appartenuto ad un abitante della regione comasca e l’indagine condotta sui denti della mandibola hanno fatto ritenere che detto cranio possa essere appartenuto allo scheletro di Plinio. Oggi è conservato a Roma presso il Museo dell’arte sanitaria.-- prof. Antonino Tobia
Inserito il 27 Ottobre 2023 nella categoria Relazioni svolte
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