Un dettagliato ed esauriente panorama sul fenomeno globale della migrazione, che ha sovente interessato la comunità internazionale e italiana in particolare, è stato presentato dal dott. Mario D'Angelo
Relatore: Dott. Mario D’Angelo - Magistrato
Si riporta qui di seguito la relazione integrale del dott. Mario D’Angelo:
L’argomento che tratterò questa sera era già oggetto di acceso dibattito quando l’ho proposto al prof. Tobia, ma non avevo previsto quello che l’ha reso in questi ultimi mesi, secondo i vari punti di vista, un cavallo di battaglia, un terreno di scontro con altri paesi, una ferita sempre più aperta nelle abitudini di vita di molti nostri connazionali: Il caso della Diciotti, il Cara di Mineo, i rapporti Italia-Francia.
Eppure uno come me nato nella prima metà dello scorso secolo – in verità verso la fine di quel periodo – mai avrebbe immaginato che il nostro paese dovesse fare i conti con gli attuali punti caldi della questione.
Negli anni settanta ci raccontavano- quando si presentava il solito disavanzo nel bilancio dello Stato, che ha dato luogo al disastro del nostro debito pubblico - che la differenza sarebbe stata coperta con le rimesse dei nostri emigrati e con la valuta pregiata apportata dai turisti.
Noi allora eravamo - e lo siamo stati per tanti anni e continuiamo ad esserlo- paese di emigranti.
Verso altri paesi ma anche in Italia dalle regioni del sud a quelle del nord.
In Italia, invece, non c’era, in misura quantitativamente significativa, a differenza che in altri paesi occidentali a noi culturalmente e fisicamente vicini (Francia, Svizzera, Germania) immigrazione : ora c’è e i numeri sono molto alti.
Significativamente nell’edizione del dizionario enciclopedico Treccani del 1970 nelle voci emigrazione e immigrazione non c’è una parola sulle migrazioni dagli altri paesi verso l’Italia.
Comincio con una premessa: l’emigrazione, intesa come spostamento di persone da una regione ad un’altra della terra c’é sempre stata e i flussi migratori non hanno avuto sempre le stesse direzioni.
Per fermarci ai periodi storici: la colonizzazione della Sicilia e di altre aree del mediterraneo da parte dei greci e poi dei romani, le invasioni dei barbari nell’impero romano, quella degli arabi nei paesi che si affacciano sul mediterraneo, se si intendono nell’accezione –ampia- di spostamento di popoli verso regioni diverse di quella di provenienza sono migrazioni, ma con caratteristiche profondamente diverse di quelle attuali.
Ma evitando generalizzazioni poco utili ad un entrata nel vivo del tema cominciamo a parlare delle migrazioni verificatesi dagli anni dell’unità d’Italia al 1985.
Tra il 1861 e il 1985 dall’Italia sono partiti quasi 30 milioni di emigranti.
Considerato che la popolazione italiana era nel 1901 di 31 milioni di abitanti, è come se un numero di nostri concittadini uguale all’intera popolazione italiana di inizio del Novecento se ne fosse andata in blocco.
La maggioranza degli emigranti italiani, oltre 14 milioni, partì durante la cosiddetta "grande emigrazione" dal 1876 al 1915.
Intere cittadine, come Padula in provincia di Salerno, videro la loro popolazione dimezzarsi nel decennio a cavallo tra ’800 e ’900. Di questi quasi un terzo aveva come destinazione dei sogni il Nord America, affamato di manodopera.
A partire non erano solo braccianti, anzi i braccianti rimanevano quasi sempre nel nostro paese.
Invero gli strati più poveri della popolazione non avevano di che pagarsi il viaggio e perché essendo quasi sempre analfabeti, il viaggio, con tutte le nuove esperienze che per viaggiare occorre affrontare, li spaventava.
Per questo tra gli emigranti prevalevano i [b]piccoli proprietari terrieri che con le loro rimesse compravano casa o altri terreni in patria o pagavano il biglietto ai familiari per ricongiungersi a loro.[/b]
La Sicilia partecipò in maniera massiva all’emigrazione tanto che nel censimento del 1911 si registrava che 52 comuni su 350 presentavano oltre il 10% della propria popolazione insediata all’estero.
Trapani, almeno la sua provincia non fu da meno.
Dalla nostra zona cerealicola interna [b]nel solo 1913 partì l’11% della popolazione, 8685 persone su 78712, con punte del 22% a Vita e di oltre il 19% a Poggioreale e Salaparuta.[/b]
Aggiunge uno studioso del fenomeno, il Barone, che questi dati derivano dalla aggregazione, all’esodo transoceanico, di quello tradizionale verso le coste del tunisine.
Allora non erano i tunisini a venire da noi, ma avveniva il contrario: a Trapani c’erano poche famiglie che non avessero parenti a Tunisi o a Sfax o in Libia, a Tripoli, e molte pietanze della nostra gastronomia derivano da commistioni con quella araba: mio nonno non mancava mai di acquistare i polpi secchi di Sfax: io li trovavo gommosi e non particolarmente gradevoli, ma a mio nonno piacevano .
Il Lorenzoni, autore nel 1910 di un’inchiesta parlamentare, sottolinea la crescita negli anni del tasso di emigrazione e in un passo della sua relazione scrive : 'tra gli italiani emigrati negli Stati Uniti sono numerosi i rivenditori di frutta, ma non mancano i suonatori ambulanti, i barbieri, i salonisti o spacciatori di liquori, gli spazza strade, i lustrascarpe, i cenciaioli' e conclude 'tutti i mestieri, insomma, che l’operaio americano disdegna'.
Allora comunque la dequalificazione non avveniva per tutti i nostri emigrati:
I più acculturati, i meglio attrezzati dal punto di vista artigianale e professionale, svolgevano anche professioni più remunerative trasferendo anzi la loro cultura agli americani. Per limitarci ai siciliani l’agricoltura e la pesca degli Stati uniti hanno ricevuto l’apporto dei potatori della conca d’oro, degli innestatori del catanese, dei nostri pescatori che trasferirono la loro professionalità nei mari freddi ma pescosissimi dell’Alasca.
[b]DESTINAZIONI[/b]
New York e gli States furono le destinazioni più gettonate. Ma non le uniche.
Così come non si partiva solo dal Sud Italia. I genovesi e i piemontesi ad esempio partivano spesso per l’Argentina e l’Uruguay e un esempio illustre è la famiglia del nostro Papa Francesco partita da Genova per Buenos Aires.
Una larga fetta di emigrazione era poi quella stagionale verso la Francia, e la Svizzera. A volte tali lavoratori stagionali finivano col mettere radici nei citati paesi sino ad acquistarne la cittadinanza come è testimoniato dalla miriade di cognomi soprattutto francesi di evidente origine italiana.
I nostri emigrati come gli immigrati che oggi giungono da noi, non iniziavano l’avventura con tutta la famiglia: quasi sempre l’emigrazione era programmata come temporanea e chi partiva era di solito un maschio solo.
A fare eccezione fu solo la grande emigrazione contadina di intere famiglie dal Veneto e dal Meridione verso il Brasile, specie dopo l’abolizione in quel paese della schiavitù (1888) e l’annuncio di un vasto programma di colonizzazione.
Il dato 1888 non è errato : nel ricco paese sudamericano agli albori del 1900 c’era ancora la schiavitù e gli africani coattivamente portati in Brasile erano stati più di 3 milioni. Anche ordini ecclesiastici insediati in Brasile possedevano schiavi.
Un aspetto poco conosciuto sul quale mi piace aprire una parentesi volendo considerarla in relazione all’attuale numerosa presenza di Rumeni in Italia è costituito dall’emigrazione di italiani in Romania.
È a mio giudizio una storia emblematica che dimostra, ancora una volta, come la memoria storica sia labile e che i flussi migratori e le situazioni economiche dei paesi mutino in periodi di tempo assai brevi.
Alla fine del 19° secolo e agli inizi del secolo scorso si verificò dalle oggi ricche e a volte poco accoglienti regioni del nostro nord-est e , in particolare, dal Veneto e dal Friùli una consistente emigrazione in Romania, soprattutto in Transilvania.
Si era diffusa una canzone popolare
Andemo in Transilvania
a menar la carioleta
che l’Italia povareta
no ga i bezzi de pagar.
Per regolamentare l’esodo verso la Romania il ministero degli esteri italiano pubblicava, nel 1901, un vademecum per l’emigrante con l’indicazione dei documenti da approntare, passaporto, permesso di soggiorno, contratto di lavoro e delle regole da osservare per superare i severi controlli della polizia di frontiera rumena.
Nel 1892 il delegato italiano Beccaria Incisa scriveva a proposito dei lavoratori nostrani in Romania che 'gli italiani sono molto contenti degli stipendi che ricevono, molto più alti di quelli che possono avere nel loro paese'.
'In un anno la somma totale dei risparmi accumulati dai lavoratori italiani era stata di circa 4 milioni di lire,in oro' preciserà qualche anno dopo l’ispettore per l’immigrazione Di Palma.
Gli emigranti lavoravano nell’edilizia, costruivano ferrovie, erano minatori, fornivano in buona parte manodopera qualificata.
Costruirono in quel paese infrastrutture, strade, chiese, teatri, ponti, scuole… In più, sono stati i nostri scalpellini a realizzare, per le famiglie ricche rumene, palazzi e monumenti considerati oggi delle vere e proprie opere d’arte e ad insegnare ai rumeni il mestiere.
Nel 1930 in Romania vivevano circa 60.000 italiani, una piccola ma consistente comunità, con inevitabili problemi di integrazione sociale. Il governo rumeno usava spesso la mano pesante contro gli emigranti che creavano problemi 'd’ordine pubblico' o che, semplicemente, non avevano documenti in regola.
I rimpatri erano all’ordine del giorno. In seguito alle proteste degli operai rumeni contro gli stranieri che, a loro dire, gli 'rubavano il lavoro' ,il governo rumeno varò la legge dei mestieri, che imponeva la precedenza degli operai rumeni nelle assunzioni.
Molti italiani furono costretti a rimpatriare: pochi da questa legge e molti di più dal fascismo e poi con l’avvento del [b]comunismo.[/b]
Ristabilite le libertà democratiche in Romania è stata pure ripristinata la rappresentanza della comunità di immigrati italiani nel parlamento rumeno prima dell’avvento del comunismo già istituita.
[b]La piccola comunità dei discendenti di quegli emigranti dei tempi passati ha oggi un rappresentante in quel parlamento. È il sig. Andi-Gabriel Grosaru, che molto di recente ha fatto parte della delegazione ufficiale che ha accompagnato il presidente Klaus Iohannis durante la visita di stato in Italia, nel periodo 14-16 ottobre 2018. [/b]
[b]Anche oggi la presenza italiana in Romania è molto significativa: Vi operano più di 30.000 aziende italiane, compresi alcune di grandi dimensioni come Pirelli, Ansaldo, Enel, Eni e le nostre più importanti banche.[/b]
[b]Considerato tutto questo si deve ritenere quella della Romania una lezione o almeno un esempio positivo di integrazione? Mi sembra proprio di sì.[/b]
La vita dei nostri emigranti all’estero non è stata mai facile per colpa dei pregiudizi degli altri e qualche volta per colpa dei nostri emigrati.
Si cominciava col lungo viaggio: Si partiva da Genova, da Napoli, da Palermo. Il viaggio durava più di venti giorni nelle stive di navi piene fino all’inverosimile, con un sacco pieno di paglia per dormire e un orinatoio ogni cento persone.
La nave della foto non può essere paragonata ad un barcone per le migliori condizioni della sua struttura, ma la quantità delle persone a bordo è, come per i barconi, decisamente insostenibile.
Arrivati negli States, si sbarcava nell’isola di Ellis Island, nella baia di New York. Molti morivano durante il viaggio e i sopravvissuti venivano esaminati scrupolosamente dalle autorità sanitarie: si temeva che gli italiani portassero malattie, come il tracoma. Alle visite mediche seguiva una visita psico-attitudinale. Chi non superava i controlli, che potevano durare anche molti giorni (in cella) veniva marchiato con una X sui vestiti e rimandato indietro.
Sui documenti rilasciati agli italiani, accanto alla scritta white (bianco), che indica il colore della pelle, a volte c’è un punto interrogativo, indice pure questo del razzismo che subivano gli italiani da una parte della società americana.
Tali pregiudizi hanno resistito nel tempo .
Negli USA si diceva che gli italiani non erano bianchi, "ma nemmeno palesemente negri".
In Australia, altra destinazione, si parlava dell’invasione dei pelle oliva".
E in altro scritto di "una razza inferiore" o di una "stirpe di assassini, anarchici e mafiosi". Ci verrebbe da sottolineare che quegli australiani avevano dimenticato di essere discendenti dei coatti nelle colonie penali trasferiti in quel paese dall’Inghilterra.
E il presidente Usa Richard Nixon intercettato nel 1973 fu il più chiaro di tutti. Disse: "Non sono come noi. La differenza sta nell’odore diverso, nell’aspetto diverso, nel modo di agire diverso. Il guaio é che non si riesce a trovarne uno che sia onesto".
Tutto questo non solo sottovoce, ma anche in documenti ufficiali:
Nella [b]relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti dell’Ottobre 1912, si legge:[/b]
'Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura.
Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane.Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina.Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci.Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti.
Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina e sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti.
Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro.
Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti.
Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro.
Non credo di scoprire niente rilevando che gli Stati Uniti sono stati e in parte sono ancora un paese con larghe fasce di razzisti.
Eppure lo stato più potente del mondo, come ricordava Kennedy , è un paese di soli immigrati.
Ma neppure questa è una cosa nuova. [b]Quelli che hanno vissuto una condizione di sofferenza difficile da sopportare, quando riescono a superarla diventano i più irriducibili nemici di quelli che erano come loro.[/b]
Ho detto che l’immigrazione italiana è stata costellata da enormi difficoltà pur se non sono stati pochi i nostri connazionali che hanno costruito all’estero il loro successo.
Ho parlato di difficoltà. In alcuni casi queste hanno assunto la dimensione di immani tragedie .
Il 16 e 17 agosto 1893 migliaia di francesi assaltarono gli operai stagionali italiani che lavoravano nelle saline di [b]Aigues mortes, un paese della Provenza oggi frequentata meta turistica, accusandoli di rubare loro il lavoro.[/b]
I giornali locali francesi avevano probabilmente alimentato quella sorta di pogrom descrivendo gli italiani come sporchi, tristi, straccioni e carichi di figli.
Secondo le fonti ufficiali i morti furono dieci. Altri più fondatamente parlarono di decine di morti e di oltre 150 feriti.
Ci fu interruzione dei rapporti diplomatici Italia Francia. Qualcuno invocò una reazione armata.
Il processo che venne celebrato inspiegabilmente si concluse con l’assoluzione degli imputati della strage.
Il [b]25 marzo 1911 è altra data nefanda di una strage avvenuta a New York, in una fabbrica di camicie ubicata in un palazzone di Washington Place. [/b]
Negli ultimi tre piani di questo palazzo lavoravano 500 ragazze tra i 15 e i 25 anni
Assieme ad un centinaio di uomini e ad alcune donne più anziane.
Per evitare che gli operai si allontanassero durante l’orario di lavoro di 60 ore settimanali le porte venivano sbarrate.
Fu così che quando di sviluppò un incendio, che trovò facile alimentazione nelle stoffe che riempivano i locali gli operai non poterono scappare. Ci fu una strage di ebrei ed italiani le nazionalità più rappresentate tra quei disgraziati.
Le vittime italiane furono 49 vittime, 39 identificate, dieci rimaste tra i dispersi.
Anche in questo caso il processo che seguì i fatti si concluse con il proscioglimento di tutti gli accusati.
Altra pagina della emigrazione italiana nera come il carbone è quella scritta in Belgio.
Il 23 giugno 1946 fu firmato tra l’Italia e il Belgio un accordo chiamato [b]uomo- carbone.[/b]
I belgi non erano più disposti a sopportare il duro lavoro nelle loro miniere di carbone .
L’Italia povera di fonti di energia accettò di venire incontro al Belgio assicurando l’invio di 50.000 lavoratori ( di fatto ne inviò 63.000) .
Il Belgio ci vendeva, in cambio degli uomini, 2500 tn. di carbone ogni 1000 minatori.
Il contratto dei minatori aveva la durata di 5 anni ma chi si ritirava prima di un anno era soggetto a pena detentiva.
Contrariamente alle promesse, pur essendo nell’ingaggio prevista la fornitura di un’abitazione adeguata, i nostri minatori furono fatti alloggiare in baracche con tetti di lamiera arredate con letti a castello e materassi di paglia.
Si calcola che i nostri minatori morti di stenti o in disastri nelle miniere furono centinaia.
Nel terribile incendio della miniera di Marcinelle morirono 262 persone. 136 di esse erano nostri connazionali.
Ho parlato dei pregiudizi e delle sofferenze patiti dai nostri connazionali , ma bisogna riconoscere che in certi casi – come avviene oggi con i delitti di una parte degli immigrati in Italia- i sentimenti anti- italiani di alcune popolazioni dei nostri paesi di emigrazione erano giustificati.
Mi riferisco ai nostri peggiori prodotti di esportazione : la mafia e, in misura minore almeno allora, camorra e ‘ndrangheta.
Il discorso sarebbe lungo : mi limiterò a ricordare che nel 1890 a New Orleans vi erano stati già più di 100 omicidi di mafia .
La mafia divenne magna pars della delinquenza insediata negli Usa con il proibizionismo, allargò i suoi tentacoli al controllo della prostituzione, delle case da gioco, sino ad operare una forte influenza su alcune organizzazioni sindacali.
Crebbe ancora con la repressione attuata in Italia dal fascismo, che provocò la fuga di migliaia di mafiosi negli Stati Uniti, che arrivarono in quel paese contando sull’appoggio di familiari e sodali.
Purtroppo ancora oggi la delinquenza organizzata, è viva e vitale non solo in Italia, ma anche negli Stati Uniti:
è di questi giorni la notizia dell’Uccisione di Francesco Calì, detto Frank Boy, figlio di genitori palermitani e coniugato – a dimostrazione della consistenza e dell’attualità del legame mafia americana-cosa nostra - con Rosaria Inzerillo, esponente di una delle famiglie mafiose emigrate negli USA a seguito della guerra con Reina e co.
Calì, considerato capo della famiglia Gambino, era ritenuto il trait d’union tra cosa nostra e la mafia americana.
Purtroppo la delinquenza organizzata non si è fermata negli USA, perché infettando, il nostro settentrione è passata da lì, in altri paesi dell’Europa occidentale come la Germania.
Chiudo la parte, per così dire storica, della mia relazione precisando che secondo Stefano Allievi italiani e loro discendenti che vivono all’estero sono oggi più di 60 milioni e continuano a crescere, anno dopo anno.
Per quelli emigrati a suo tempo negli USA, chi vuole può fare una sorta di giochino e verificare attingendo agli archivi della Liberty Ellis Foundation , quanti italiani di un certo cognome sono sbarcati ad Ellis Island, la porta di accesso degli emigrati negli USA, tra fine ottocento e primi decenni del novecento.
Io l’ho fatto e ho scoperto che i D’Angelo sono stati 9.307, compresi 14 di nome Mario, i Tobia 455, i Bruno oltre 10.000, i Salvini 228, i Grillo, 3652, i Renzi 1022, i Di Maio 1882.
Non immorando ulteriormente in quello che è successo nel passato, è ora di passare a quella che, come ben comprendo, è la parte più controversa della questione.
Le immigrazioni nel nostro paese.
In questo momento ascoltando proclami e dichiarazioni contro, molti di più, e a favore, sembra che l’unico problema italiano siano gli immigrati.
Io non nego che la questione sia di straordinario rilievo, ma non è l’unica e soprattutto, almeno a mio parere, non è quella più grave.
In Italia, come tutti sappiamo, problemi ce ne sono molti altri e a volte sembra che di essi nessuno si sia accorto prima e si accorga ora:
· Il degrado delle infrastrutture, strade , ponti, ferrovie e degli edifici pubblici, che periodicamente provoca stragi e, in puri termini economici, produce costi maggiori di quelli che occorrerebbe sostenere per efficaci interventi preventivi;
· La necessità di realizzare la messa in sicurezza degli edifici nelle molte zone del nostro territorio ad elevato rischio sismico.
· La difficoltà di realizzare, con le risorse a disposizione, qualsiasi opera pubblica per la dilagante corruzione e per la incapacità di realizzare riforme sistematiche: di recente è stata costruita in Croazia l’autostrada Spalato Zagabria in zona montana ed è costata[b] 6800 € al metro. [/b]
[b] In Italia un tratto di ammodernamento della già esistente A4 Torino-Trieste con caratteristiche analoghe è costato, quattro volte tanto, 24446 € al metro[/b]
· La delinquenza organizzata nelle sue varie denominazioni, purtroppo, come ho già detto, esportata anche all’estero. È una piaga che continua a costituire la ragione principale del sottosviluppo del nostro sud, perché scoraggia gli investitori che pure quando intraprendono iniziative dalle nostre parti, spesso dopo qualche anno, fuggono via.
· Il dissesto idrogeologico, che provoca morti e distruzioni;
· L’allarmante frequenza delle violenze e degli omicidi con vittime donne. Nell’anno precedente l’agosto 2018 vi sono stati in Italia 319 omicidi. Il dato malgrado tutto è positivo perché sono stati il 42,5% in meno rispetto al corrispondente periodo concluso nell’agosto 2012.
Le donne uccise però nei primi 10 mesi del 2018 sono state ben 106 e nell’88,5% dei casi sono state vittime di persone che conoscevano.
Gli uomini uccisi sono stati vittime di conoscenti nel 24,8% dei casi. Le vittime straniere di omicidio sono state circa il 20% del totale, contro una presenza di stranieri inferiore al 9% , pur se deve dirsi che spesso vittima e carnefice erano entrambi stranieri.
· La disoccupazione e, in particolare, quella giovanile e quella localizzata da Roma in giù.
· Quello che a me sembra il problema più grave: L’emorragia di cervelli, un particolare tipo di emigrazione di cui molti in questa stanza hanno esperienza.
Hanno lasciato l’Italia nel 2017 circa 285.000 persone in altissima percentuale giovani con titolo di studio e qualificazione superiore.
Secondo uno studio della giornalista Barbara Pavarotti per la fondazione Cresci, che lo ha eseguito contattando 350.000 persone, l’Italia è vittima del pessimismo , della depressione, della rassegnazione e della sfiducia.
I giovani che vivono e lavorano all’estero raccontano una realtà diversa: maggiore riconoscimento dei meriti, mancanza nei percorsi lavorativi di alterazioni collegate a fattori estranei alla propria capacità, in parole più chiare, niente raccomandazioni e clientele.
Questi giovani vanno via, spesso mettono famiglia all’estero e da noi ritornano, quando lo fanno, solo per le vacanze .
Confindustria ha calcolato il danno di questa specie di emigrazione pari a 14 miliardi di euro in gran parte costituiti dalla spesa sostenuta per la formazione scolastica e universitaria dei giovani emigrati , e ha valutato in un punto di PIL la perdita economica conseguente.
Per noi siciliani le cose stanno ancora peggio.
I nostri figli non vanno solo all’estero ma si spostano, in aggiunta, dalla Sicilia nelle altre regioni italiane da Roma in su.
È uno spopolamento dannoso e doloroso sotto gli occhi di tutti.
Le nostre città sono diventate città di vecchi, come si dice ghost town . Molti dei giovani con più elevata qualificazione professionale sono andati via. Lavorano e spendono altrove e l’economia regionale e cittadina va sempre più giù.
Passeggiando per le strade sempre di più sono gli esercizi chiusi e coloro che resistono lo fanno con enorme difficoltà. La popolazione diminuisce. L’edilizia, tradizionalmente settore portante della nostra economia, è in profonda crisi. Non si costruisce più e quando un imprenditore temerario realizza un nuovo edificio i tempi di vendita sono lunghissimi.
Invero, le abitazioni esistenti sono più di quelle necessarie, perché le famiglie di nuova formazione, i cui componenti hanno la fortuna di avere un lavoro, cercano casa sì ma lo fanno nelle città dove abitano. Basta fare un giro per le nostre strade per vedere il triste spettacolo delle saracinesche abbassate, degli edifici tappezzati dai 'si vende' e 'si cede l’esercizio'.
Un articolo pubblicato nel 'Giornale di Sicilia' di qualche giorno fa il 14 marzo, che riporta dati ricavati da un dossier allegato a una proposta di legge regionale, rileva che nella nostra regione 156 comuni su 390 hanno una popolazione di più del 10% inferiore a quella del 1990., con punte di spopolamento a Mirabella Imbaccari, Cianciana, Salaparuta, Sambuca di Sicilia.
Nel nostro comune la popolazione dal 2005 al 2017 è passata da 70.782 a 67.923 abitanti.
Negli anni 2011-2017 gli emigrati in altri comuni sono stati più di 1750 per anno, oltre a 117 per anno emigrati all’estero.
Non si pensi che i dati siano frutto dell’artificiosità dei confini Trapani- Erice perché anche ad Erice la popolazione è diminuita passando dai 28.887 abitanti del 2005 ai 27.655 del 2017l
In alcuni dei nostri paesi più piccoli mancano il distributore di benzina, l’elettricista, il meccanico. Noi abbiamo davanti agli occhi la situazione di Erice vetta dove non c’è più neppure un panificio.
La legge regionale propone agevolazioni ed esenzioni fiscali per i pensionati stranieri che scegliessero di trasferirsi in quei comuni, pur se evidente che più che di pensionati e quindi di vecchi ci sarebbe bisogno di energie fresche , di giovani.
Di questo fenomeno, che non mi sembra esagerato definire distruttivo, che rischia di rendere città morte quelle dove abitiamo non parla quasi nessuno e tanto meno si sta facendo qualcosa per arginarlo.
Ci sono perciò i grandi immani problemi, che ho indicato.
Tutto questo non significa che la questione dell’immigrazione sia da sottovalutare.
Non si deve sottovalutare per le dimensioni assunte e soprattutto per come è stata sin qui gestita e perché, per molto tempo, non si è compreso il disagio, direi meglio la sofferenza, dei molti chiamati a vivere, assistendo sotto casa a condotte illegali e violente, che condizionavano e condizionano la loro sicurezza e libertà di movimento, che mettono a rischio la possibilità di vivere serenamente .
Occorre premettere che l’Italia aveva al 1° gennaio 2018 una popolazione di
[b]60.483.973 abitanti.[/b]
Di questi gli stranieri erano [b]l’8,4% pari a circa 5.600.000 cifra determinata con un possibile errore di alcune decine di migliaia in più considerando i soggetti presenti sfuggiti ai controlli.[/b]
Maggiori precisazioni sugli stranieri presenti si desumono dalla tabella che segue in cui oltre al numero dei residenti in Italia divisi per nazionalità, ho indicato il PIL pro capite dei paesi di provenienza come elemento sintetico per rappresentare il livello di povertà nei paesi da cui fuggono.
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[b]Paese di provenienza[/b] |
[b]Presenze[/b] |
[b]Percentuale[/b] |
[b]PIL pro capite del paese di [/b]Provenienza
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1 |
ROMANIA |
1.190.091 |
23,13 % |
$ 26.500 |
2 |
ALBANIA |
440.465 |
8,56 % |
$ 4500 |
3 |
MAROCCO |
414.531 |
8,10 % |
$ 3000 |
4 |
CINA |
290.681 |
5,65 % |
$ 8826 |
5 |
UCRAINA |
237.047 |
4,61 % |
$ 2639 |
6 |
FILIPPINE |
167.859 |
3,25 % |
$ 2988 |
7 |
INDIA |
151.791 |
2,95 % |
$ 1939 |
8 |
BANGLADESH |
131.967 |
2,57 % |
$ 1516 |
9 |
REPUBBLICA MOLDOVA |
131.814 |
2,56 % |
$ 2289 |
10 |
EGITTO |
119.513 |
2,32 % |
$ 2412 |
11 |
SRI LANKA |
107.967 |
2,10 % |
$ 4065 |
12 |
NIGERIA |
106.069 |
2,06 % |
$ 1968 |
13 |
SENEGAL |
105.937 |
2,05 % |
$ 1033 |
14 |
PERU’ |
97.379 |
1,89 % |
$ 6572 |
15 |
TUNISIA |
93.795 |
2,06 % |
$ 3490 |
Per orientarci nella lettura dei dati preciso che il reddito procapite italiano è di $ 31952 maggiore di quello della Spagna ($ 28157) , ma molto al di sotto del ricco Lussemburgo $ 110.000 e degli ancora più ricchi Qatar ($ 129.000) e Macao ($ 122.000).
La Romania, la comunità di gran lunga più numerosa nel nostro paese – quasi uno straniero su quattro- è un paese in forte crescita e ciò fa pensare che tra non molti anni le badanti dovremo cercarcele altrove
Aggiungo che la qualificazione dei romeni come immigrati è valida solo attribuendo al termine un significato molto ampio.
Invero, norme che limitassero l’accesso degli stranieri nel nostro paese non avrebbero effetto nei loro confronti.
La Romania, infatti, dal 1° gennaio 2007 ha aderito alla comunità europea e secondo il trattato di Schengen a tutti i membri della UE all’interno della comunità spetta il diritto di libera circolazione.
Altro dato spesso ignorato è che il 5,65% degli immigrati proviene dalla Cina : non si tratta perciò di Lazzari che si accontentano delle briciole delle nostre risorse ma di cittadini di uno dei paesi più potenti del mondo, che si è prepotentemente insinuato nella nostra economia acquisendo proprietà o partecipazioni in alcune nostre grandi aziende FCA, Pirelli, Telecom, Generali Assicurazioni,etc, squadre di calcio comprese, e come si sente in questi giorni, è pronto ad ampliare in misura significativa la sua presenza in altre aree della nostra economia.
Aggiungo, per inciso, che se la Cina questo ha fatto in Italia, è molto più grave quel che ha fatto nei paesi di provenienza di larga parte degli immigrati, quelli poveri dell’Africa e dell’Asia.
In questi paesi, la Cina sta attuando in questi anni la politica di acquisizione delle terre più fertili e delle risorse minerarie di maggior pregio.
Si parla di politica di grabbing afferrare: un modo singolare di aiutare gli indigeni a casa loro.
Altro dato che salta agli occhi è che la prima comunità di provenienza africana è quella dei marocchini al terzo posto dopo gli albanesi.
Per arrivare ad altri africani bisogna arrivare, al decimo posto, occupato dagli Egiziani, e al 12° posto, coi nigeriani i primi africani di pelle nera.
Quanto detto per sottolineare che la percezione delle migrazioni che noi abbiamo, dipende da dati effettivi, ma a volte è alterata da fatti di cronaca, di straordinaria gravità che ci colpiscono enormemente per la divaricazione con il nostro comune sentire.
In definitiva dalla tabella si rileva che i neri tra gli emigrati ci sono ma non sono in maggioranza.
Ho detto che la nostra percezione dei dati dell’immigrazione è alterata, ma Il disagio reale ha ben fondate ragioni.
Non sopportiamo e non possiamo tollerare:
· Dobbiamo difenderci dall’oltranzismo islamico e dal terrorismo di altra matrice. È di ieri la notizia della strage consumata in un tram di Utrecht da un esaltato nato in Turchia, ma da tempo in Olanda, che probabilmente aveva altri complici .
· le prostitute e gli spacciatori, nigeriani, marocchini ed altri, che occupano le nostre strade;
· Consideriamo giustamente bestiali le pratiche di infibulazione che secondo alcuni calcoli hanno subito 80.000 delle donne straniere presenti in Italia;
· Non possiamo tollerare che le nostre donne subiscano violenze e stupri da persone che ospitiamo nel nostro paese.
· Non è compatibile con il nostro sentire che nel 2019 vi siano bambine promesse in sposa dai genitori a uomini anziani, conculcando la loro libertà e ancora prima, il diritto di vivere la loro infanzia ed adolescenza;
· Non accettiamo che una [b]donna straniera che vive nel nostro paese [/b]
non possa decidere liberamente con chi sposarsi e come vestirsi e sia a volte privata pure della libertà di frequentare la scuola.
· Non possiamo accettare un ritorno al medio evo con limitazioni alle scelte in tema di religione.
Tutto ciò premesso, quel che è certo e incontrovertibile è che gli immigrati, [b]soprattutto quelli appartenenti a certe etnie, problemi all’ordine pubblico e all’ordinato svolgersi della vita civile ne creano molti e gravi.[/b]
Ma è altrettanto vero che come non si può dire che noi siciliani siamo tutti mafiosi, altrettanto sbagliato sarebbe affermare che i marocchini siano tutti spacciatori e violentatori e che tra i nigeriani non ci siano uomini e donne onesti e laboriosi.
Per avere elementi di giudizio il più possibile obiettivi sulla questione propongo di osservare la presente tabella che indica, fonte il ministero della giustizia, i detenuti nelle nostre carceri distinti per nazione di nascita.
Nella quarta colonna è indicato il rapporto tra numero di presenti di un certo paese e detenuti.
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Percentuale rispetto alla popolazione |
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1 |
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Marocco |
3750 |
1/110 |
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2 |
Albania |
2585 |
1/459 |
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3 |
Romania |
2521 |
1/472 |
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4 |
Tunisia |
2084 |
1/45 |
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5 |
Nigeria |
1538 |
1/68 |
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6 |
Egitto |
585 |
1/204 |
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7 |
Algeria |
497 |
1/40 |
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8 |
Cina |
231 |
1/1258 |
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Totale per tutte le nazionalità |
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20.309 |
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1/275 |
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DETENUTI ITALIANI al 31 gennaio 2019
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39.816
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1/1378
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Totale : ITALIANI +STRANIERI |
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60.125 |
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Per ulteriore chiarimento aggiungo un altro dato sicuramente allarmante: quello dei crimini di natura sessuale attribuiti agli immigrati : nel periodo 2010-2014 il 61% di tali reati è stato commesso da italiani, il 39% da stranieri, in particolare, nell’ordine da rumeni, marocchini, albanesi, e tunisini .
Solo per chiarezza bisogna dire che tra gli immigrati arrivati coi barconi nel 2017-18 se vi sono al primo posto i tunisini, gli altri che per numero vengono subito dopo, eritrei, iracheni, sudanesi, pakistani non figurano in maniera significativa nelle statistiche della criminalità.
Salta agli occhi che non vi è rapporto tra il numero di immigrati dei vari paesi presenti e tendenza a delinquere.
I marocchini, gli albanesi, i tunisini, gli algerini mostrano una tendenza a commettere reati ben al di là delle loro presenze nel nostro territorio
I rumeni detenuti sono pure molti ma per loro bisogna considerare che sono la prima comunità presente in Italia.
È doveroso aggiungere che i dati statistici dovrebbero comunque subire una certa scrematura al ribasso per diverse ragioni.
· Perché gli immigrati non fruiscono, per mancanza di mezzi finanziari per procurarsele, di difese tecniche efficienti;
· Perché si trovano quasi nell’impossibilità di fruire di misure alternative alla detenzione non potendo contare su supporti familiari e su datori di lavoro pronti ad accoglierli;
· Perché molti reati sono collegati alla irregolarità della loro presenza nel nostro territorio.
· Perché la ignoranza della nostra lingua costituisce un peso non indifferente a difendersi efficacemente.
Si deve pure aggiungere che gli immigrati, quelli [b]irregolari, sono pure, più degli italiani, vittime di reati non denunziati perché se lo facessero sarebbero scoperti e cacciati via, perché nelle aree dove impera il lavoro in nero e lo sfruttamento, nessuno offrirebbe più loro un lavoro, perché, si pensi alle vittime di tratta, si esporrebbero alle ritorsioni degli sfruttatori su di loro e sui loro familiari rimasti in patria. [/b]
A parte tali considerazioni il dato sulla nazionalità dei detenuti parla da sé ed è confermato da quel che ciascuno può vedere: le prostitute nigeriane e i loro sfruttatori nelle nostre strade;
i pusher magrebini che, sotto l’alto patrocinio di mafia, camorra et similia, spacciano tranquillamente anche in pieno giorno;
furti e rapine in cui, più spesso di altri, sono implicati albanesi e rumeni.
Sarebbe sbagliato però ritenere di risolvere il problema fermando le immigrazioni dai citati paesi per diverse ragioni.
In primo luogo ripeto non è compatibile con il nostro livello di civiltà e ancor prima con le esperienze maturate da ciascuno di noi, un giudizio che accomuni tutti gli appartenenti a un’etnia in un’unica valutazione e condanna, proprio perché sappiamo che se è vero che tra gli svedesi e i valdostani ci sono molto meno mafiosi che tra i siciliani, questo non significa che tutti noi siciliani siamo mafiosi.
Inoltre la Tunisia, il Marocco e l’Albania sono ottimi partner commerciali dell’Italia e sappiamo tutti che proprio nella nostra provincia, a Mazara del Vallo, vi sono esempi collaudati di integrazione tra tunisini e mazaresi.
Ancora Tunisia, e Marocco sono tra i paesi africani con maggiore stabilità e di questa fruiscono abbondantemente gli italiani, se è vero che molte aziende italiane hanno delocalizzato la loro produzione in quei paesi.
Discorso a parte sarebbe da fare per la Nigeria: un paese dalle enormi risorse saccheggiate dalle speculazioni, e devastata dalla presenza dei Boko Haram e di altri gruppi terroristici e da lotte tribali.
Anche per loro è doveroso non fare tutta l’erba un fascio e non si può dire che tutte le nigeriane siano prostitute e tutti i nigeriani siano sfruttatori e spacciatori.
Senza dimenticare che molti nigeriani emigrano per sfuggire alle persecuzioni che i
Cristiani (circa il 50% della popolazione) subiscono in alcune regioni di quel paese.
Ribadisco proprio noi siciliani, che frequentemente siamo stati vittime di generalizzazioni di questo tipo, dobbiamo evitarle.
A conforto di tale affermazione, ritorno alla tabella sui detenuti al 31 gennaio scorso nelle patrie galere, passando questa volta agli italiani.
Gli italiani detenuti al 31 gennaio 2019 erano [b]39816 .[/b]
[b]Di essi 10.525 risultano nati in Campania[/b]
7.621 in Sicilia
4.528 in Puglia
3.782 in Calabria
26.456 perciò, oltre il 66% dei detenuti, sono nati nelle citate regioni.
Il dato appare ancora più significativo considerando che con [b]16.950.000 abitanti circa Campania, Sicilia, Puglia e Calabria rappresentano il 28% della popolazione italiana, ma ben il 66% della popolazione carceraria.[/b]
Il rischio di un divieto di sbarco per campani, siciliani, pugliesi e calabresi, negli aeroporti e nelle stazioni ferroviarie dell’Italia settentrionale, è remoto , ma c’é.
La verità è che tra i 26.456 detenuti indicati ce ne sarà una certa parte appartenente a mafia, ndrangheta, camorra e sacra corona , ma il maggior numero è costituito da gente che proviene da famiglie povere e degradate, senza istruzione scolastica e professionale , gente che in qualche caso ha scelto il crimine per disperazione e ciò, bisogna riconoscerlo, vale anche per molti immigrati.
Per quel che ho detto ritengo sommessamente che la chiusura indiscriminata degli accessi al nostro paese non sia la via giusta le vie da percorrere in tema di immigrazione, pur se la mancanza di una soddisfacente soluzione del problema in quasi tutti i paesi del mondo attuale, dimostra quanto arduo sia trovare efficaci rimedi .
Le politiche dirette a fermare le immigrazioni costi quel che costi credo che almeno nel lungo periodo non possano avere alcuna efficacia.
Gli immigrati sia che vadano via dai loro paesi per ragioni economiche, sia che lo facciano per sfuggire a guerre e persecuzioni , sono quasi sempre dei disperati che si sobbarcano a viaggi che durano a volte più di un anno per arrivare dalle nostre parti, che sono consapevoli dei rischi di perdere la vita a cui vanno incontro, che consumano per il viaggio pagato a caro prezzo, risorse – [b]loro e dei familiari- che nei loro paesi rappresentano piccoli tesori.[/b]
Se queste enormi difficoltà non sono sufficienti a dissuaderli dalla scelta migratoria, è evidente che subiscono spinte ancora maggiori ad andare via dalle terre in cui sono nati.
Lo fanno per sfuggire non solo a guerre e persecuzioni, ma anche per trovare, come avviene per molti dei nostri giovani, condizioni di vita migliori non solo per la pancia ma anche per il riconoscimento dei diritti fondamentali, quali libertà di espressione, di movimento, di accesso alle strutture di tutela della salute, per potere avere un lavoro soddisfacente e remunerativo, per avere il diritto di scegliere liberamente la propria religione o di non professarne nessuna.
A parte questo contrariamente a quanto possa credersi noi di immigrati –onesti non criminali- abbiamo bisogno.
Dal 2015 il divario tra uscite ed entrate nel mercato del lavoro in Europa è stato di 3.000.000 di unità l’anno e il divario è cresciuto negli anni successivi e tale situazione non cambierà negli anni avvenire almeno nei prossimi vent’anni.
Non credo che possa porvi rimedio la politica di spinta all’incremento delle nascite tentata da Orban in Ungheria e da suoi emuli in altri paesi e anche, timidamente, nel nostro.
Ammesso che gli incentivi economici possano essere sufficienti a superare gli egoismi e l’intento di evitare i sacrifici che la crescita di un figlio comporta potranno produrre effetti tra più di vent’anni .
La scarsa propensione alla natalità deriva invero, da moltissimi fattori: certo incide la disponibilità di mezzi finanziari e la mancanza di strutture di supporto per l’assistenza all’infanzia adeguate e convenienti, ma hanno pure pesante influenza altri fattori, la ricerca di una vita con maggiori dosi di piaceri, anche quelli legali e leciti, il turismo, la partecipazione a spettacoli e attività sportive, tutte attività che è più difficile compiere con un elevato carico di figli e, ancor di più, la minore stabilità rispetto al passato delle coppie.
Presto si verificheranno carenze incolmabili in alcuni servizi essenziali e non si dica che gli immigrati tolgono il posto agli italiani, perché essi svolgono, tranne rare eccezioni, lavori che gli europei non vogliono fare.
Immaginiamo per un momento un’Italia senza immigrati per dedurre quante nostre famiglie e quanti nostri servizi entrerebbero in crisi.
Per questo le politiche di dare la precedenza – senza se e senza ma- agli autoctoni si sono rivelate sbagliate.
La regione Veneto ha emanato nel 2016 una legge secondo la quale per l’accesso negli asili nido viene data la precedenza ai figli di residenti nella regione da almeno 15 anni.
Nel 2017 la stessa regola è stata estesa al diritto di ottenere i bonus famiglia, all’assistenza in strutture pubbliche per gli anziani, agli aiuti per i disabili.
È chiaro che si voleva colpire con tali norme soprattutto gli immigrati, ma si sono colpiti, non so quanto involontariamente, poliziotti, giudici, insegnanti non veneti e spesso meridionali , ma anche, cito Stefano Allievi, un ricercatore universitario di Brescia e uno di Saragozza, un medico di Trento e uno di Lione, con l’effetto di farli andare via.
Se è sbagliata la chiusura è però- bisogna dirlo con forza- altrettanto sbagliata è l’apertura indiscriminata degli ultimi anni e soprattutto la mancanza di un’equa distribuzione tra tutti i paesi d’Europa degli immigrati.
La nostra politica di accoglienza dei tempi passati è stata sbagliata.
È servita, come spesso accade da noi, più alle cooperative e simili che si sono occupate dei migranti che a quest’ultimi, secondo il detto di Luigi Einaudi, per cui il nostro è un paese in cui le ferrovie non servono ai viaggiatori, ma ai ferrovieri.
Non c’è stato alcun tentativo di vera integrazione , di inserimento nel mondo del lavoro dei migranti, nessun corso obbligatorio di educazione civica e sulla nostra lingua.
Non è possibile rinchiudere per tanti mesi a volte per anni, ammassati in una struttura abitativa, facendoli rimanere senza nessuna occupazione, migliaia di giovani, a volte provenienti da paesi in secolari conflitti tra loro e credere che se ne staranno quieti e non succederà niente.
Accoglienza ci vuole ma non senza regole e senza condizioni e neppure per coloro che delinquono o non seguono le regole, quelle nostre.
Sappiamo, con riferimento a certe forme di criminalità in cui vi è larga presenza di immigrati, che se certi quartieri dal primo giorno non fossero stati abbandonati a quella che può sembrare, microcriminalità non sarebbe oggi difficile per le forze dell’ordine entrarvi, se prostituzione e spaccio alla luce del sole o dei lampioni, fossero stati subito repressi, l’attuale ampiezza del fenomeno non si sarebbe verificata, che è stato sbagliato non considerare la gravità di certi reati, quali lo scippo e il furto in appartamenti, sanzionandoli spesso con pene troppo miti.
Uno studioso serio e preparato del problema, l’Allievi, propone di aprire la strada a flussi di immigrazione concordandoli con i paesi di origine degli immigrati, richiedendo per gli aspiranti sufficienti livelli d’istruzione e ad altri requisiti.
Almeno per i paesi più stabilizzati , come Tunisia, Marocco, Albania ritengo che sia una strada percorribile, considerando che l’apertura ai flussi legali avrebbe l’effetto di eliminare magicamente, i trafficanti di uomini e di selezionare gli immigrati.
Ma si tratta di una via impraticabile con altri paesi retti da governi con i quali sarebbe assai difficile dialogare ed è comunque una percorso che non sembra rientrare nei programmi dei paesi europei.
Altri dicono aiutiamoli a casa loro:
i risultati dell’applicazione di tale principio sono stati sin qui fallimentari.
In Afghanistan li abbiamo aiutati spendendo, dal 2001, 900 miliardi di $, una parte dei quali è stata a carico dell’Italia.
Non si sono verificate neppure le auspicate modernizzazione e laicizzazione di quella società: in quel paese per il musulmano che abiura la religione islamica è ancora prevista la pena di morte.
A parte questo in Afghanistan, dal 2001, vi sono stati 140.000 morti (26.000 civili). Nel regime, instaurato col beneplacito dei paesi occidentali, impera la corruzione e il Pil pro-capite è di $ 586, uno dei più bassi del mondo e l’unica attività economica che regge è, davanti agli occhi degli eserciti occidentali, la produzione di oppio e quindi di eroina.
Gli afgani sono al secondo posto, dopo i siriani, fra i richiedenti asilo.
In Libia sappiamo quel che è successo e quanto la situazione sia lontana dalla stabilizzazione.
Con maggiore generalizzazione, gli aiuti diretti ai paesi sottosviluppati, per la dilagante corruzione che vi impera e per l’interesse di coloro che gestiscono l’ultima parte dei trasferimenti delle risorse a mantenere buoni rapporti con la corrotta classe dominante, raramente finiscono alle popolazioni, ma arricchiscono solo pochi potenti locali, alimentando lotte sanguinose tra di loro.
Gli unici aiuti che arrivano per intero alle popolazioni sono le rimesse degli emigranti, i denari che gli emigrati nei paesi occidentali mandano ai parenti rimasti a casa.
Mi avvio alla conclusione: mi rendo conto che si è capito che non ho idee chiare sul da farsi.
Ho certezze solo su una cosa e per il resto credo di sapere solo quel che non bisogna fare.
Ritengo che il nostro problema principale oggi non siano gli immigrati che vengono da noi, ma gli italiani che vanno via , un’emorragia che non ci vuol molto a ritenere letale, di cui né ora né negli anni immediatamente precedenti, quando il fenomeno aveva già raggiunto misure vicine alle attuali, i nostri politici sembrano essersi accorti.
I nostri figli se ne vanno quasi sempre per necessità, ora anche per scelta. È un effetto della globalizzazione. Se ne vanno in altri paesi d’Europa, negli USA, in Cina e Giappone.
Si potrebbe dire che questo avviene anche in Spagna, Germania, Gran Bretagna.
La differenza è che in Italia non arriva nessuno o quasi.
Ora si è capito che stiamo per rimanere senza medici, perché quelli sfornati dalle scuole di specializzazione, spesso emigrano in paesi dove sono meglio considerati e pagati di più.
I medici ammessi alle specializzazioni, per calcoli errati e per mancanza di risorse in questa materia sicuramente per tutti vitale, sono comunque meno di quelli che sarebbero necessari :
Mancheranno pediatri, chirurghi , anestesisti e rianimatori.
Si è proposto di affidare gli incarichi, come ha già previsto il decreto semplificazioni per la medicina di base, a specializzandi, ma comprendiamo tutti quel che significa affidarsi a un chirurgo che non è mai entrato in sala operatoria o lo ha fatto pochissime volte.
Da noi ,in Sicilia, la situazione è più grave in tutti i campi : dai paesi sviluppati immigrazione zero, emigrazione in senso contrario dei siciliani di più elevata professionalità in percentuali ogni anno più alte.
Ritornando agli immigrati, quelli dei barconi, credo che non si possa sbattere la porta in faccia a chi fugge da guerre e persecuzioni, che,non si debba , dopo aver strappato violentemente per secoli gli africani dalle loro terre per portarli a lavorare come schiavi nei cosiddetti paesi civilizzati, cacciarli via indiscriminatamente ora che vengono volontariamente dalle nostre parti.
Non sono accettabili però- si deve dirlo con altrettanta forza- stravolgimenti dei nostri principi di civiltà, tolleranze di costumi e di condotte criminali o semplicemente contro i nostri principi etici .
È altrettanto certo che non possiamo accoglierli solo noi e senza limiti di numero.
Come ha detto padre Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose, non possiamo accoglierli tutti.
E ha aggiunto: siamo consapevoli della radicale uguaglianza di tutti gli esseri umani davanti a Dio e dell’universalità dei loro diritti, ma questo non significa praticare un’accoglienza passiva, indiscriminata e illimitata.
E un giornalista e saggista di grande spessore, Gian Antonio Stella ha scritto: proprio perché siamo chiamati a prendere decisioni durissime sulla pelle di migliaia di persone che si sono imbarcate inseguendo un sogno, come milioni di nostri connazionali hanno fatto, non solo nel passato, per decenza morale dobbiamo misurare le parole, evitando ogni parola che puzzi anche lontanamente di razzismo.
Siamo costretti a rimpatriare o a non accogliere immigrati che non siamo in condizioni di integrare nel nostro paese.
Facciamolo evitando parole che sappiano di disprezzo o di odio, non aggiungendo al necessitato respingimento metodi e modalità offensivi non solo per loro ma anche per noi, ripiombando nei tragici errori di un passato non troppo remoto che non possiamo e non dobbiamo dimenticare.
Bisogna comprendere che le parole non sufficientemente ponderate e le tolleranze di forme di protesta che possono apparire folcloristiche come quelle del c.d. suprematismo , possono indurre soggetti con personalità mal strutturata a carneficine orrende come quella verificatasi pochi giorni fa in Nuova Zelanda.
Sono rischi che per etica e per convenienza bisogna a tutti i costi evitare.
Molteplici sono stati gli interventi alla fine della documentata relazione del dott. Mario D’Angelo
Inserito il 19 Marzo 2019 nella categoria Relazioni svolte
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