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Il simbolismo delle icone

Le icone sono le sacre scritture spiegate al popolo, rese accessibili attraverso immagini a tutti coloro che intendono fruirne e tuttavia il loro impianto è profondo e il messaggio rigorosamente espresso secondo canoni teologicamente concepiti e figurativamente realizzati

Relatore: Dott. Enzo Guzzo - Studioso di cultura esoterica

Immagine riferita a: Il simbolismo delle iconeVincenzo GuzzoUn linguaggio non sempre essoterico e non sempre fruibile senza una sapiente mediazione da parte degli ecclesiastici. In questa visione rigorosa, mistica e tradizionale insieme, non esistono pittori di icone che possano essere considerati artisti e che operino su temi sacri in piena libertà espressiva.

I veri pittori delle sacre icone sarebbero, in esclusiva, i teologi, per il tramite di semplici iconografi, pittori materiali, meri artigiani del disegno e del colore. A meno che non ricorra l’ipotesi, per altro piuttosto frequente in tutta la tradizione ortodossa e in quella monastica in particolare, secondo cui la figura dell’iconografo e quella del sacerdote coincidano nella stessa persona. Si pensi, ad esempio, al sommo Andreij Rublèv.

Nel 1839 è stato rinvenuto in un monastero di Monte Athos un manoscritto bizantino del XV secolo, dal titolo 'Guida della pittura', di straordinaria importanza sia per l’impostazione che per la completezza degli argomenti in ordine alla pittura sacra.

In esso sono riportati tutti i metodi materiali di realizzazione delle pitture sacre e delle icone (dai calchi di gesso, alle colle, alla formazione dei singoli colori e alle loro combinazioni, ecc.) nonché tutti i contenuti di carattere esclusivamente sacro, minuziosamente descritti, per la corretta esposizione teologica di immagini e di eventi sacri.

I pittori materiali, se non sono sacerdoti ortodossi essi stessi, devono ancor oggi riferirsi esclusivamente alle inviolabili leggi espressive così codificate e alle verità teologiche della tradizione ortodossa secondo le indicazioni e sotto la sapiente supervisione di un sacerdote - teologo. Detto manoscritto è preceduto da altri scritti simili e già l’impianto di fondo era stato delineato dal canone 82 del Concilio 'Quinisesto' del 692, in cui vennero definiti i rigorosi requisiti dell’arte sacra a cui resterà fedele l’intera iconografia ortodossa.

L’iconostasi, ossia la disposizione delle icone principali attorno al santuario, orienta l’attenzione alle cose celesti e favorisce l’uscita dal mondo sensibile da parte degli oranti. Al centro, di questo schermo si apre una porta (la porta bella: orìa pili o porta reale: vasiliki pili, ma èdetta anche porta santa o del Paradiso) e alla destra di questa porta (rispetto a chi guarda), viene posta una icona grande che rappresenta il Cristo o la Trinità e a sinistra un’altra icona che rappresenta la Madre di Dio. In alto rispetto alla porta, viene collocata una rappresentazione dell’Ultima Cena.

Tutto il resto della parete/schermo viene saturato, sino ad un massimo di sei ordini, da varie icone e rappresentazioni sacre, secondo un criterio prestabilito e rigoroso. Salendo verso l’alto, infatti, si succedono: le feste della tradizione ortodossa, Cristo in trono tra la Madre di Dio e S. Giovanni Battista detto il  Precursore, Arcangeli, Apostoli e Padri della Chiesa.  Segue la Vergine del Segno al centro tra i Profeti e poi una immagine della Trinità in mezzo ai Patriarchi. La cuspide rappresenta il Golgota con la Crocifissione.

L’iconostasi è una fonte straordinaria di suggestioni e di ispirazioni mistiche e liturgiche ma  il grande teologo russo Pavel Florenskij giunge ad una conclusione a dir poco sorprendente per un esponente dell’ordine sacerdotale e tuttavia assolutamente vera e profonda dal punto di vista mistico. Infatti, a suo avviso, è la diffusissima impotenza o debolezza spirituale degli esseri umani a rendere necessaria la funzione della Chiesa e poi esplicitamente afferma:
" ... se tutti gli oranti nella chiesa fossero abbastanza ispirati, se gli oranti fossero tutti veggenti, non ci sarebbe altra iconostasi all’infuori degli astanti testimoni di Dio a Dio, mercè i loro sguardi e le loro parola annuncianti la sua terribile e gloriosa presenza; neanche la Chiesa ci sarebbe."
Ma qual è la ragione profonda per cui  dal punto di vista ortodosso, i veri pittori sarebbero soltanto i teologi e i Santi Padri? La risposta che viene data è questa: solo loro hanno potuto vedere l’Archetipo e soltanto loro sono i grandi mediatori tra il mondo e le Verità archetipiche del Cristianesimo. E’ chiaro che la riduzione delle capacità espressive dell’inconscio collettivo, a una qualunque dottrina teologica potrebbe far sorridere chi, da un punto di vista laico, non riesce a concepire l’arte come subordinata a dettami categorici di alcun tipo ma, tuttavia, non è difficile comprendere perché, all’interno di una qualunque ma rigorosa visione teologica, l’arte sia priva di quelle caratteristiche di libera espressività fattuale e spirituale che, attraverso il Rinascimento e poi, soprattutto, con il  Romanticismo, abbiamo imparato a conferirle.

                                                                                  Vincenzo Guzzo

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Inserito il 18 Dicembre 2010 nella categoria Relazioni svolte