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Il neonato dalla preistoria ad oggi. E poi?...

La dott.ssa Iris Bonanno Conti, primario di neonatolgia, ha articolato la sua relazione spaziando lungo il divenire della storia umana

Relatore: dott.ssa Iris Bonanno Conti

Il NEONATO DALLA PREISTORIA AD OGGI……….E POI?

Grazie al comitato scientifico per l’invito ad essere ancora qui con Voi dopo il mio anno sabbatico.

Come alcuni di voi ricorderanno, nelle precedenti mie conversazioni vi ho parlato della madre, del padre, dei figli , della famiglia, e lo ho fatto, in genere, senza toni edulcorati ed anzi spesso con toni duri e polemici, ma al neonato risparmierò questi toni, perché esso è la creatura più inerme   e indifesa che esiste ed è quella, forse proprio per questo,  che io amo di più. Perchè  è la creatura più meravigliosa che sia mai esistita, perché è unico, perché racchiude in sé tante di quelle potenzialità da  potere essere paragonato all’atomo di idrogeno nell’atomica, e come esso, può esprimere il massimo del bene e del male: sono stati neonati e Aristotele ed Omero e Alessandro e Giulio Cesare e Pitagora e Leonardo e Pasteur e Sabin e S. Francesco , ma lo sono stati anche Attila, Hitler e Stalin; il neonato ha espresso amore, bellezza, scienza, ma anche distruzione.

Nasce quasi dal nulla se nulla è una cellula germinale, e rimane misterioso come il big bang dell’inizio dell’Universo. E tutto ciò che non si comprende è un miracolo ed ogni miracolo ci riconduce a Dio. Dal caos della materia primordiale alla perfezione del neonato: come non si può parlare di miracolo? Il neonato è un coacervo di sofisticati laboratori che sfuggono in gran parte ancora oggi alla  nostra comprensione.

No, non vi annoierò con le patologie del neonato, ma sfiorerò appena la sua storia filogenetica per aiutarvi a comprendere questa meravigliosa creaturina.

Mi piace immaginare che il passaggio filogenetico dall’homo erectus all’homo sapiens sia avvenuto quando per la prima volta una lacrima spuntò sul viso di una femmina dell’homo erectus, quando ella provò per la prima volta il dolore del distacco e della perdita di una parte di sé: la sua creatura. E fu allora che il germe dell’emozione e del sentimento tracciò il solco profondo tra l’uomo e gli altri mammiferi. E la scintilla di quel cruciale passaggio fu lui, il neonato, la scintilla che accese la fiaccola dell’emozione, dei sentimenti, del pensiero e con essi del bisogno della ricerca primitiva, arcaica di un Dio, (inteso come un qualcosa di misterioso, di infinito, di imponderabile, di incommensurabile che permea l’universo), del bisogno di un qualcosa che, si voglia configurare  in idoli o dei o santi, non è altro che l’ingenua risposta al mistero dell’universo. E questo è insito in ogni uomo, per cui non può esistere l’ateo se questo è il senso di ogni religione, ed è questo che porta a 'pregare' (nel significato semantico della parola), anche l’ateo. 

Ma accantonando queste riflessioni filosofiche e riandando alla filogenesi, anche l’origine del passaggio all’homo erectus , anche l’origine del protolinguaggio, anche l’origine delle primordiali aggregazioni sociali sono  da ricondursi al neonato, alla diade madre figlio, secondo le teorie degli antropologi contemporanei più accreditati.

Iniziamo dalla postura: nella preistoria il rapporto madre figlio è come quello che vediamo tuttora negli scimpanzé: il cucciolo di scimpanzé sta aggrappato alla pancia pelosa della madre, la quale può quindi salire sugli alberi, raccogliere semi e frutti,  prendere acqua, tutto con il cucciolo saldamente attaccato. E questo legame è una garanzia di sopravvivenza per il piccolo, è garanzia di un buon adattamento alla vita. Ma quando alcuni milioni di anni fa’ i nostri antenati preistorici nel corso dell’evoluzione diventarono bipedi, tutto cambiò: il cucciolo d’uomo fu privato di quel costante ed intimo rapporto con la madre e questo fu certo critico per la sua sopravvivenza. La grande antropologa Dean Falk ipotizza che fu questo diventare bipedi che cambiò la scena per il futuro della nostra specie: la difficoltà nel bipede di preparare il giaciglio sugli alberi, indusse le madri a restare a terra: finì la fase della vita arborea e fu l’inizio della aggregazione in gruppi numerosi per potersi meglio difendere dai predatori. E da questo primitivo agglomerato a città come Londra e New York il passo è…breve, E ancora, avendo le madri l’esigenza di avere le mani libere, inventarono il marsupio; e quando il cucciolo era troppo pesante le madri risolsero il problema affidando il piccolo al gruppo, gettando le basi di una collaborazione sociale. Per utilizzare le mani lo posarono precocemente a terra provocandone strilli e pianti; e le madri incominciarono a far sentire la loro voce per placarlo con vocalizzi che si fecero sempre più complessi. Secondo D. Falk  queste interazioni madre neonato furono la prima tessera nella sequenza di eventi che portarono alle prime parole dei nostri progenitori, e più tardi alla comparsa del proto linguaggio. L’origine del  linguaggio, prerogativa della specie umana, è, quindi, dovuta al neonato. Fu l’antropologa Dean Falk nella prima decade del 2000 a rivoluzionare tutto, affermando che il proto linguaggio non nasce, come si era sostenuto prima, per l’esigenza dei maschi cacciatori che potevano, emettendo dei suoni,  avvertirsi vicendevolmente dei pericolo. Per la Falk l’origine del linguaggio va ricercata nel rapporto madre-figlio: per tenerli calmi le madri inventavano suoni diversi, di rassicurazione, o di pericolo , o suoni melodici per calmare il piccolo, fino ad arrivare,nel corso di millenni,   all’articolazione di vere e proprie parole, cioè suoni associati ad oggetti o azioni.

A comprova di quanto sia importante questa comunicazione con suoni tra madre e figlio, studi recenti hanno dimostrato che il feto riconosce la voce materna, memorizza le sue melodie e le sue nenie, e una volta nato, nel vagito, nel pianto (come dimostrato dall’analisi fonetica di essi) fa una specie di prova del parlato, cercando di riprodurre suoni e strutture della lingua materna. 

Ritornando alla preistoria, certamente in quell’epoca la mortalità infantile era altissima, pochissimi cuccioli d’uomo sopravvivevano, ma era bassissima anche la fertilità. Per potere restare gravida la donna doveva accumulare una grande quantità di grasso tale da sostenere sé stessa e il figlio, ma per le grandi distanze che coprivano giornalmente per procurarsi il cibo, era difficile accumulare grasso superfluo. Il piccolo veniva portato in spalla durante il cammino: da ogni movenza di esso la madre ne intuiva i bisogni ed è questo intimo rapporto madre-figlio che consentiva anche la trasmissione delle conoscenze, del sapere, inteso come tecniche di sopravvivenza in una natura spesso ostile, trasmettendo anche attraverso il gioco ( come del resto avviene in tutte le specie di mammiferi) il sapere degli antenati.

La nascita era vista come un evento magico ed inspiegabile, tutto riconducibile alla donna, che quindi aveva una posizione eminente nelle prime aggregazioni preistoriche.

E forse in questo affonda il senso del possesso, del potere di fare e disfare della propria prole nel rapporto madre- figlio: senso dell’onnipotenza, che nascendo dalla propria capacità  di creare la vita, si arroga anche il potere di dare la morte. Questa è la matrice dell’uccisione del figlioletto o dell’ossessivo condizionamento psichico del figlio, che è una forma di uccidere il figlio fagocitandolo.

Il neonato sopravvissuto nelle grandi difficoltà della preistoria e  nelle avverse condizioni ambientali trova ancora una tragica sorte nel racconto mitologico di un’era, che può considerarsi protostorica, in cui gli dei divoravano i propri figli e gli uomini li sacrificavano al Dio Moloch. L’iconografia della madre che uccide il figlio è un’iconografia classica. Ricordiamo il mito di Medea. E quante Medee si susseguono nella storia: né i progressi culturali e sociali hanno attenuato questo sconvolgente fenomeno, poiché le cronache recenti sono piene di uccisione di bambini ad opera della madre ( su 10 b. uccisi 6 lo sono per mano materna). E al di là del mito, la storia è piena di donne di altissimo profilo sociale e culturale che hanno osannato e poi annullato i figli, di donne che hanno usato la propria prole come merce, merce di scambio per raggiungere vantaggi politici, economici, sociali,dinastici declassandola a semplice oggetto da baratto, che si può anche facilmente rimpiazzare. Voglio proporvi alcuni episodi come ci vengono tramandati dagli storici contemporanei:

Caterina Sforza, detta la bastarda degli Sforza, detta la leonessa di Romagna, donna bellissima, colta, scrittrice, ma soprattutto grande guerriera ( per non smentire il DNA era nipote di Bianca Maria Visconti e del condottiero Francesco Sforza e madre di Giovanni delle Bande Nere) osannata anche da Machiavelli, che dopo avere beffato il Papa conquistando la fortezza di Castel  Sant’Angelo, si rinchiuse con i suoi armati nella Rocca di Ravaldino (1472) resistendo a tutti gli assedi e anche ai ricatti: agli emissari del Papa che avendo preso in ostaggio i suoi figli la minacciavano di ucciderli se non si fosse arresa, rispose, salendo sugli spalti '…fatelo se volete, impiccateli pure qui davanti a me' e scoprendo impudicamente il pube e battendo con la mano aperta su esso ' …tanto la fabbrica è qua ed è sana ed efficiente'.

E penso ancora a Cornelia Scipione madre dei piccoli Gracchi che passa dall’orgoglio di esibire i figli come i suoi gioielli alla negazione di ogni sostegno quando vede i suoi tribuni deviare da quell’amore primo  per la patria in  cui li aveva allevato: quando vede che con le loro modernissime riforme, azzardate oggi e figuriamoci in quell’epoca,  'la patria perisce' li abbandona al loro destino, non mette il lutto per la loro morte, e racchiudendosi nel suo intellettuale mondo patriottico parla di loro, dicono gli storici, con freddezza e distacco 'come si trattasse di figure antiche!': la figlia dell’Africano li rimuove, dentro di sé li ha già uccisi, ha ucciso i suoi gioielli.

Di madri che fagocitano i figli, che è una forma di ucciderli, è piena la storia: da Agrippina che dominò tanto Nerone da spingere Seneca, uno dei miti dei nostri studi classici, a dirgli 'o ammazzi tua madre o ti rassegni a governare con lei', a Caterina dei Medici, formidabile donna di potere, che riuscì con sottile diplomazia ad assicurare un precario equilibrio religioso, che riuscì a governare al posto di ben tre giovani figli, Francesco II, Carlo IX, Enrico III, re bamboccioni, anche se non riuscì ad impedire che il terzogenito Carlo IX ordinasse nel 1572, il massacro degli Ugonotti nella tragica 'notte di S. Bartolomeo', che portò a una guerra di religione lunga vent’anni, durante la quale Caterina indossò sempre vesti di lutto. Altra donna di potere fiorentina, Maria dei Medici, madre di Luigi XIII , che tenne il regno e il potere, sotto i suggerimenti dell’ambiguo Cardinale Richelieu, finché   il figlio infine  non la mandò in esilio forzato.

E non parliamo poi di  infanticidio che è un epifenomeno circoscritto nel tempo che tutt’oggi trova le sue giustificazioni in un momento circoscritto della vita della madre, con le problematiche legate al contesto sociale, al vissuto delle donne, crimine ancora molto diffuso nella nostra cultura..

E non possiamo non affrontare, in un breve escursus tra mito e storia, il fenomeno dell’abbandono e dell’infanticidio che spesso era un rituale di alcune civiltà. Sacrifici di bambini erano praticati dai Celti d’Irlanda, dagli Scandinavi, dai Galli, dagli Egizi, dai Fenici, dagli Ammoniti, e, fino ad un certo periodo, dagli Israeliti, finché  Mosè non ne impose la proibizione pena la lapidazione. Dal mito di Saturno, di Medea, come non ricordare,  passando per Roma,  l’abbandono di Romolo e Remo o andando in Israele come tralasciare Mosè,  per non parlare di riti ancora più crudeli medio orientali con il sacrificio di fanciulli al Dio Moloch. Ne restano storica testimonianza, oltre che negli scritti di storici romani contemporanei , nella Bibbia. Come resistere alla tetra suggestione dei TOPHET di Cartagine o di Mozia: questi spazi all’aperto consacrati dove venivano posti, racchiusi in urne di argilla, i resti combusti dei bambini sacrificati al dio BAAL HAMMON e TANIT, che con il passaggio sul fuoco assumevano natura divina; questi  riti sono continuati a Cartagine fino al 140 a.c. e a Mozia fino alla sua distruzione. 

Nella civilissima Grecia antica, le legislazioni di Licurgo e di Solone consentivano l’infanticidio e l’abbandono considerati, insieme all’aborto, comportamenti comuni: il fenomeno riguardava soprattutto le figlie, per cui ne veniva fatta sopravvivere una . L’espressione di Pindaro ' l’uomo è l’ombra  di un sogno' per me è la formula più appropriata per descrivere la fugace esistenza dei bambini in quell’epoca. Plutarco ci dice testualmente nelle 'VITE PARALLELE' che a Sparta il genitore non era padrone di allevare il figlio, ma doveva prenderlo e portarlo in un luogo chiamato LESCHE, dove una assemblea di anziani lo valutava, e se lo riteneva sano e robusto ordinava al padre di allevarlo assegnandoli anche una dote di lotti di terra;se invece era malato o deforme era destinato alle voragini del monte Taigeto. Anche Platone approvò l’infanticidio per i nati malformati e sosteneva che i 'figli di nessuno' non potessero entrare a far parte della sua Repubblica ideale, e  Aristotele così si esprimeva:  '….per ciò che riguarda l’abbandono e l’allevamento dei neonati, deve esserci una legge che non permetta di allevare i figli deformi; ma circa il numero dei bambini, deve esserci un limite alla loro procreazione'.  Aristippo pensava che un uomo potesse fare ciò che voleva dei propri figli definendoli cose inutili che eliminano saliva pidocchi etc…. Ma c’era anche qualche voce dissenziente come quella dell’oratore ateniese Isocrate che era contrario all’abbandono dei neonati e lo condannava insieme all’assassinio, all’incesto, all’accecamento. A Tebe invece l’infanticidio era vietato e l’esposizione del bambino era considerato un crimine punibile con la morte. Le cause dell’abbandono nell’Antica Grecia erano molteplici: malformazione fisica, frutto di violenza carnale, frutto di una relazione illecita, frutto di un incesto, problemi economici ( povertà, carestia), problemi patrimoniali ( per non frazionare il patrimonio famigliare), ma anche un cattivo presagio.

Nell’antica Roma il fenomeno dell’abbandono ricalcava nelle motivazioni quello dell’antica Grecia. Il bambino, detto infans fino all’età di 7 anni, aveva già nel nome stesso scritto il suo destino: in= negazione, fans participio del verbo fari = parlare; egli era 'nihil' il cui destino era dipendente dalla patria potestas esercitata dal pater familias. Alla levatio ostetrica il padre, se lo riconosceva, procedeva all’ 'elevatio' e gli imponeva il nome; se il neonato veniva rifiutato avveniva la 'expositio'. Il padre era quello che aveva personalità giuridica in ambito famigliare esercitando 'ius vitae necisque'. All’esordio del Regno, Romolo imponeva di allevare tutti i figli maschi e la prima delle femmine, e vietava di uccidere bambini al di sotto di 3 anni, a meno che non fossero deformi o anomali alla nascita, e in ogni caso l’uccisione doveva essere avvallata da 5 testimoni concordi e garanti, per cui era più facile procedere all’abbandono.

E Seneca proclamava '……..affoghiamo i bambini che al momento della nascita siano deboli o anormali' per una forma di igiene sociale e per la salvaguardia della Sanità dello Stato. I luoghi dell’abbandono a Roma erano le rive del Tevere oppure il Foro Olimpico dove sorgeva la 'Colonna lattaria' attorno alla quale si aggiravano pie donne che offrivano latte ai bambini esposti, ma anche megere che li usavano per preparare filtri e veleni, aruspici che ne facevano strumenti di magie, nutricatores che li raccoglievano per farne schiavi da vendere, da sfruttare nei modi più turpi. Traiano  promulgò la Lex  tutela Italiae che proibiva di vendere come schiavi bambini trovati o comperati, e addirittura aprì un grande ricovero degli esposti e degli orfani abbandonati, istituì collegi per  gli orfani dei suoi legionari e per ragazze e ragazzi poveri. E i rapitori di bambini venivano puniti con la morte perché questo ledeva la patria potestas. Ma non possiamo non ricordare che i sacrifici umani propiziatori agli dei, in verità non frequenti a Roma, furono  aboliti per decreto romano solo nel 97 a.C.

Ma in un’epoca in cui la mortalità infantile ( 1° anno di vita) era del 30-40% la nascita e la morte di un essere ancora indefinito, di un NIHIL, rientrava nel naturale alternarsi della quotidianità, senza quel contorno di emotività che in seguito vi sarà associato. Del resto, in epoche caratterizzate da congiure, carestie, epidemie era naturale che non avesse quella valenza che ha oggi. Per quanto bisogna dire, perché lo apprendiamo dagli storici e dagli scrittori del tempo, nell’eroico mondo romano vi era una certa ritrosia a manifestazioni di dolore in pubblico, ma nel privato di forti espressioni di dolore per la perdita di questo 'nihil' ne abbiamo: mi piace ricordare con quanta profondità nelle 'Lettere di FRONTONE' il Retore, precettore di Marco Aurelio, questi esprime i suoi sentimenti in una lettera indirizzata a Marco Aurelio (165 d.C.) per la perdita di un pargoletto. O ancora mi piace ricordare negli Epigrammi con quanto delicato lirismo Marziale piange la morte di una fanciulletta di 5 anni: chiede che le delicate ossa siano protette da zolle non dure  'nec illi, terra, gravis fueris: non fuit illa tibi'.  Ed ancora, espressioni di questa sensibilità, le troviamo in alcune strazianti epigrafi, in alcune raffigurazioni nelle stele, nel ritrovamento di giocattoli nelle tombe di infantes e ancora in massime molto diffuse come 'maxima debetur puero reverentia' di Giovenale nelle Satire. Diciamo anche che i bambini più fortunati avevano il privilegio di disporre di una stanza propria decorata con animali ed altro, come è stato scoperto nella Villa POPPEA di Oplonti ( oggi Torre Annunziata); venivano sottoposti ad esercizi fisici appropriati, diversi per maschi e femmina per temprarne il fisico nella forza o nella grazia, venivano seguiti e controllati dal loro medico personale fino all’età di 2 anni. Ma ricordiamoci che questo avveniva solo se il padre aveva riconosciuto il figlio con la elevatio. 

 Per quanto, le matrone romane non erano portate come modello di madre nell’area mediterranea, perché troppo dedite alla cura della propria persona: infatti demandavano subito dopo il parto, l’ allevamento alle nutrici, che spesso erano greche o orientali e quindi non conoscevano la lingua; non allattavano per non sciupare il seno, mettevano in atto pratiche anticoncezionali per non deturpare con gravidanze il corpo, tanto è vero che, ci dice Tacito, all’epoca di Augusto a Roma vi era crescita ZERO e con proclami si incitavano le donne a procreare. 

La cultura pagana era comunque improntata sulla legge del più forte, sulla legge del taglione: con l’avvento del cristianesimo si diffusero modi di sentire più umani introducendo nella morale comune concetti più pregnanti di pietas e caritas.  Il Cristianesimo pose l’accento sulla sacralità della vita umana che veniva confermata dal rito battesimale. Ma questo approccio caritatevole della Chiesa aveva la sua origine non solo nella caritas, ma anche nel becero pensiero di salvamento delle anime più che del corpo, per la preoccupazione che gli abbandonati non fossero battezzati. Atenagora già nel II secolo d.C. fu il primo Padre della Chiesa a formulare una dichiarazione di principio sull’abbandono, proibendolo e facendolo equivalere a un omicidio. Ma  fu Costantino,il primo imperatore convertito al cristianesimo, che fece varare nei 318 d.C. una legge che condannava coloro che uccidevano i propri figli con la stessa pena del parricidio, annullando l’antica legge della Ius vitae necisque; tuttavia non proibiva ancora l’abbandono. S. Ambrogio nel  secolo di Costantino ancora considerava la povertà  sia temporanea che permanente, come una giustificazione per l’abbandono. Fu in occasione del Concilio di Nicea 325 d.C. che Costantino decretò che lo Stato dovesse mantenere i bambini abbandonati, creando le premesse per la costruzione degli Orfanatrofi; ma solo nel 374 l’imperatore Valentiniano ordinò a tutti i cittadini di allevare e nutrire i figli, pronunciando contro la loro esposizione e uccisione pene severe, per l’infanticidio in particolatre, fino alla pena di morte. E non si può non ricordare che S. Basilio Magno (329-379) in Cappadocia fondava un grande complesso ospedaliero che da lui prese il nome di Basiliade,  dove venivano accolti i bambini allattati al seno (brefotrofio) e quelli orfani (orfanotrofio), né che nel V secolo Galla Placidia , figlia dell’Imperatore Teodosio, accoglieva nel suo palazzo di Ravenna i bambini abbandonati nelle strade e sui sagrati delle chiese.

Bisognerà però attendere l’epoca di Giustiniano (VI  secolo) perché i diritti del bambino vengano sanciti per legge, quando nel 529 lo stesso Giustiniano fece raccogliere ed integrare le leggi romane in un unico corpus che prese il nome di Corpus Iuri Civilis , in cui sono contenute leggi in difesa dell’infanzia abbandonata, equiparando l’abbandono all’infanticidio: è con Giustiniano che per la prima volta il bambino diventa 'persona giuridica'. Dopo la caduta dell’Impero romano delle leggi di Giustiniano si persero le tracce e furono sostituite da quelle barbariche: la popolazione era preda delle invasioni barbariche e della miseria con conseguente regresso sociale e culturale e la perdita del contatto  con le proprie civili radici. Il solo baluardo fu per secoli la Chiesa con i suoi monasteri: i neonati non venivano più appesi alle piante o abbandonati sul ciglio della strada, ma sui sagrati delle Chiese prima e alla 'ruota degli esposti' più tardi.

Ma comportamenti nuovi e più protettivi per i bambini si facevano lentamente strada, senza peraltro riuscire ad eradicare la piaga dell’infanticidio e dell’abbandono, specie nell’Impero di Occidente. Infatti  l’Impero bizantino non conobbe un alto Medioevo come il nostro . Dopo la 'Basiliade' delle provincie orientali dell’Impero Romano, passarono almeno otto secoli prima che in Occidente nascessero i primi ricoveri per i bambini abbandonati e i brefotrofi. I bambini trovati sui sagrati delle chiese venivano accolti nella famiglia monastica come 'alumni' alunni di Dio. 

Fu Papa Innocenzo III (1198) ,sollecitato dalle notizie che provenivano dai pescatori che spesso con le loro reti traevano a riva i corpicini di bambini buttati giù dai ponti del Tevere, che decise di fondare l’Ospedale S. Spirito sull’esempio di quanto già fatto in Francia da un Cavaliere dell’Ordine degli Spitaleri di Rodi nel 1070  per accogliere i bambini abbandonati  e i reietti, 

E non posso non accennare ad un’altra forma di violenza sui bambini: 'l’ablazione' era l’offerta del bambino a un monastero come dono permanente: già questo era presente nelle Regole di S. Benedetto (VI secolo) .Ed aveva un duplice aspetto: sociale ( con gli stessi fini dell’abbandono) di regolazione demografica e quello religioso, con fini devozionali. Una forma di abbandono con la messa in pace delle coscienze, a mio dire. Se l’ablato avesse poi scelto di ritornare alla vita secolare, avrebbe ricevuto una sentenza di scomunica e sarebbe stato tacciato di apostasia. L’ablato era votato a una vita di povertà, obbedienza, castità. Ma pratiche dell’ abbandono e dell’infanticidio erano ancora molto diffuse nel Basso Medioevo, come apprendiamo da Boccaccio nel Corbaccio. Negli ultimi anni del Medioevo il fenomeno della schiavitù di bambini divenne molto frequente: i bambini costituivano una parte cospicua del mercato degli schiavi ( circa  un terzo degli schiavi avevano meno di 13 anni). Al tempo della dominazione normanna in Sicilia per le madri che vendevano i figli la legge prevedeva il taglio del naso, mentre nella Spagna era previsto il rogo.; ma nel Codice  castigliano era concesso vendere i figli per grave miseria, così come abbiamo notizie di cannibalismo sui propri figli  nel XIV secolo in Sicilia e a  Toledo dove gli Ebrei, durante un assedio, mangiarono i propri figli

Ma tornando alla filogenesi del neonato, l’homo sapiens è il frutto di un’evoluzione che si è realizzata nel corso dei millenni, e che si è determinata con la progressiva diversificazione e trasmissione di caratteri appropriati alla sopravvivenza sia sul piano anatomo-patologico che comportamentale, in un processo di adattamento durato millenni. Ma scientificamente come   si spiega questa evoluzione? Mi domando che cos’è che fa di questa straordinaria creatura un Einstein, un Leonardo da Vinci, un Hitler, un idiota, un criminale? Superata la semplicistica teoria darwiniana, si parla oggi di epigenetica, scienza per la quale lo sviluppo dell’individuo non è determinato solo dal suo DNA ma da una complessa interazione del patrimonio genetico con l’ambiente. L’epigenetica, scienza sorta a partire dagli anni 2000, è lo studio dei meccanismi responsabili di cambiamenti ereditabili nell’espressione del genoma, senza alcuna modificazione della sequenza del DNA: per un processo chimico del DNA  si determina una specie di imprinting che influenza l’espressione genica, per cui, ad esempio, uno dei due alleli che si ricevono dai genitori non viene attivato e rimane silente, non può esprimersi. L’interpretazione epigenetica ha rivoluzionato l’approccio alla genetica, superando il fatalistico determinismo del corredo genetico. Tra genetica ed epigenetica passa la stessa differenza che passa tra scrivere un libro e il leggerlo; il testo del libro (DNA) è identico in tutte le copie distribuite al pubblico, ma  il lettore potrà interpretarlo in modo diverso. Per dirla in maniera semplice l’epigenetica permette interpretazioni differenti di un modello fisso (il codice genetico, il DNA), dando luogo a diverse interpretazioni, a seconda delle condizioni variabili, ed è quindi responsabile dell’evoluzione o involuzione di una specie.  Lo studio dei gemelli monozigoti, che quindi hanno lo stesso patrimonio genetico o genoma, ha confermato l’esattezza della teoria epigenetica. Studiando un centinaio di coppie di gemelli omozigoti (di età compresa tra i 3 e i 7° anni ) si sono riscontrate differenze epigenetiche significative in circa un terzo delle coppie, e tale discordanza aumenta con l’età e con la diversificazione degli ambienti di vita e delle abitudini: in coppie di gemelli omozigoti, di malattie in cui è riconosciuta la predisposizione genetica, uno si ammala di cancro e l’altro no, uno si ammala di Parkinson e l’altro no: significa che ci sono dei geni che nel corso della vita vengono silenziati; a spegnerli o ad attivarli possono essere batteri, virus, tossine ambientali, carenza di micronutrienti….. Tornando più specificatamente al neonato, nella vita intrauterina, una nutrizione non bilanciata è in grado di determinare variazioni nello sviluppo : durante la gestazione l’ambiente nutrizionale e metabolico può programmare in modo permanente la struttura del nascituro, il suo sviluppo motorio e neuro cognitivo, con conseguenze sulla salute nella vita adulta. E non posso non sottolineare l’importanza dell’allattamento con latte materno: un recentissimo studio effettuato su  1100 coppie di gemelli omozigoti, dimostra che esso, oltre a proteggere da malattie infettive varie, da obesità il bambino, determina con il suo microbiota intestinale, un imprinting immunitario che regola il sistema immunitario evitando, tra l’altro, lo sviluppo di autoimmunità . E questo non fa che sottolineare sempre più l’importanza dell’ambiente, delle scelte che facciamo, dello stile di vita. In sintesi i geni non sono totalmente deterministici: un neonato prima e un bambino poi sono la risultante dell’interazione tra le caratteristiche biologiche genetiche e l’ambiente in cui nasce, vive, cresce; e il periodo più critico è quello che va dal concepimento ai due anni di vita:i 1000 giorni che ipotecano il futuro.

E parlando di allattamento al seno non si può non sottolineare l’importanza di esso per un’adeguata sintonizzazione e sincronizzazione tra madre e figlio che inizia già durante la gestazione. Ma oggi alla fiducia verso questa meravigliosa svolta della natura il concepimento, la nascita, si è andato via via sostituendo il dubbio e il distacco, se non addirittura la sfiducia, alimentati da una sorta di onnipotenza indotta dai mezzi messi a disposizione dalla biotecnologia. Ciò spiega il frequente e sistematico ricorso a visite, controlli, esami, alcuni invasivi, per verificare come sta procedendo lo sviluppo prenatale, anche quando non è necessario. Come conseguenza un aumento di preoccupazione, unita ad ansia e tensione. Non dobbiamo meravigliarci se l’allattamento al seno fallisce, se la  madre sconfortata dica ' non vedo l’ora che questo periodo finisca quanto prima… non ne posso proprio più….', se il neonato non è a suo aggio nell’attaccarsi al seno e non è libero di esprimere la memoria iscritta nei suoi geni. Oggi si dà molto spazio nel parto, spesso in maniera impropria, all’induzione, all’epidurale, al taglio cesareo, senza immaginare che questi interventi hanno molto spesso un effetto fortemente stressante, se non addirittura traumatico nella madre e nel neonato, con l’ovvia conseguenza di minare la già fragile e difficile relazione presente fra loro. Ricordiamo che l’allattamento è il mattone fondamentale su cui il bambino costruirà la sua fiducia in se stesso e per estensione nel mondo.

E dal perfetto sconoscimento del neonato agli albori della civiltà, agli eccessi di oggi…. intendo riferirmi allo sfruttamento delle tecnologie più avanzate: fecondazione in vitro, impianti di ovuli eterologhi, supporti respiratori sofisticatissimi che consentono a un neonato alto prematuro che non ha ancora sviluppato i polmoni, di respirare; supporti alimentari sofisticatissimi per l’alto prematuro che non ha ancora la capacità di alimentarsi, parliamo di feti di 5 mesi, 5 mesi e mezzo pari a 22-23 settimane di gestazione, che si tengono artificiosamente in vita, quando per questa creatura la Grande Madre ha il disegno di trasformare la sua piccola culla di vetro in una bara, quando, se sopravvivono, pagano un tributo di gravissimi handicap. Sul finire degli anni ‘90 in un Congresso internazionale (Ross Conference) avente come argomento esclusivo i neonati   ELBW ( parliamo di neonati di peso al disotto del Kg) ebbi l’onore di essere relatrice con una brevissima relazione di 8 minuti rigorosamente assegnatimi, e allora espressi il mio pensiero su questa categoria di neonati, pensiero che non si è assolutamente modificato dopo quasi 20 anni . Io  esordii con un quesito 'How small is too small?' che ancora non ha una univoca risposta. Parliamo di nati di 22-23 w in cui il trattamento medico intensivo, invasivo rappresenta un marker tra vivere e morire, ma in cui la sopravvivenza è gravata da seri rischi. Nella nostra cultura la vita è sacra, ma è la vita in sé stessa che ha valore o solo la vita di una certa qualità? E’ compito del medico preservare in ogni caso la vita, o una vita  che gli assicuri potenziali integri per realizzarsi come 'persona' e che lo faccia entrare a pieno titolo nella sua specie? Non è lecito domandarsi dove stiamo andando? E ancora abbiamo noi medici il diritto di alterare l’equilibrio di una struttura familiare? (queste drammatiche situazioni determinano spesso lo sfascio della famiglia, in cui comunque l’elemento più solido è la madre) . E’ etico non tenere in conto gli interessi di altri figli? E’ etico assorbire ingenti risorse economiche stornandole da altre destinazioni di alto valore sociale? E ancora , anche se il neonato, nel corso del trattamento intensivo, pur soffrendo non è in grado di dirci quanto stia soffrendo, abbiamo noi il diritto di sottoporlo a intenso dolore? Tornando alla moderna epigenetica, sono state osservate anche alterazioni epigenetiche negli alti pretermine: le esperienze avverse  in  UTIN vengono incorporate nel genoma e contribuiscono alla programmazione dello sviluppo comportamentale; infatti l’esposizione a esperienze stressanti, dolorose innescano una metilazione del gene che codifica il trasporto della serotonina nello spazio inter-sinaptico

Nel proporci di salvare una vita dobbiamo noi medici dobbiamo avere rispetto per la qualità degli anni vissuti, che  spesso non sono anni di vita guadagnata,  ma  sono solo un modo lento di morire.

In Olanda hanno legiferato ponendo dei limiti assistenziali precisi.

Ma dove stiamo andando? E non mi riferisco solo alle forzature sui bambini ELBW ma anche a un’altra forzatura: quella delle gravidanze ad ogni costo e costi quel che costi. Prime fra tutte le maternità che io chiamo contro natura, le madri di 50-60 anni, in India da ultimo di 70 e 72 anni, a cui  io dico ' forse che non si può amare una creatura che non si è partorita? forse che non si può amare una creatura che si alleva con amore anche se non vi è in essa traccia del proprio DNA?'.  Quante amare riflessioni: queste maternità spinte, mi suggeriscono, si basano non sull’amore materno, ma sull’egoismo ed egocentrismo umano. E non posso tacere dell’utero in affitto, in cui si priva il neonato della madre biologica, che è solo una madre gestazionale, che scompare come mai esistita e lo si fa nascere  orfano di madre VIVA. 

Preziosa creatura, ambita, desiderata, a volte ad ogni costo, contro la volontà stessa della Grande Madre, la Natura. E’ giusto forzare la mano a questa provvida MADRE? 

Dalla sistematica legale soppressione dei nati alla realtà di oggi. Quale è il ruolo rivestito dal neonato nell’era moderna? Il suo ruolo è strettamente legato all’evoluzione della struttura della famiglia che si è avuta  sia in ambito rurale che urbano; le relazioni familiari intese come rapporti di affetto e di autorità evolvono di pari passo con la struttura economica e produttiva della società: tra il XIV e il XIX secolo finiscono con il prevalere sulle strutture complesse le strutture familiari di tipo nucleare. Le regole di formazione della famiglia, la sua composizione, hanno influito in vario modo sulla configurazione dei ruoli al suo interno. Sempre più tempo viene dedicato alla cura dei propri figli, percepiti non più come un peso , non più visti in un’ottica di importanza dinastica e patrimoniale; le famiglie divengono sempre più intime, le distanze tra i membri della famiglia diminuiscono, le donne prendono sempre più consapevolezza del loro ruolo, controllano meglio le gravidanze. Diciamo che fino al XIX secolo il distacco, il rigore, la disciplina,  la totale assenza di manifestazioni affettuose esteriori segnano il rapporto tra genitori e figli: possiamo dire che solo nel XX secolo l’amore tra genitori e figli diviene palese. Fino ad arrivare all’epoca contemporanea in cui i figli sono diventati destinatari privilegiati delle cure e dell’affetto dei genitori. Il neonato è ormai inserito appieno all’interno della famiglia, ( non più dato a baliatico), 

Nell’ordinamento giuridico più recente  il neonato ha acquistato  soggettività e capacità giuridica completa, anzi anche il concepito, il nascituro pur non essendo ancora persona giuridicamente configurata, è un soggetto con i suoi diritti:  Leggi sull’aborto ….su cui non mi avventuro. Ma solo da pochissimi anni!

Il neonato in Italia, fino alla fine degli anni ’90, pur essendo al momento della nascita  -con l’inizio della prima funzione vitale autonoma,la respirazione- divenuto soggetto di diritto, e pur avendo, appena nato, acquisito la capacità giuridica, non veniva tutelato mediante la notifica del ricovero e la compilazione della cartella clinica, prevedendo la procedura del ricovero solo per i neonati patologici: i neonati sani che costituiscono circa il 90% dei nati vivi, venivano lasciati in un  'limbo' . E permettetemi con grande orgoglio di parlarvi della proposta di Legge la N° 405 della Camera dei Deputati presentata il 9 maggio 1996 a firma primo firmatario Lucchese con altri 36! Deputati di ogni indirizzo politico, avente per oggetto 'Norme per il riconoscimento dello stato giuridico del neonato sano e per una corretta assistenza neonatale' da me predisposta nel contenuto e nel testo, ma condivisa, firmata e proposta con grande sensibilità dall’ On.le Francesco Paolo Lucchese, Primario  Pediatra di Alcamo, poiché un comune cittadino non può certo presentare una proposta di legge. Legge in cui sono contenuti i presupposti della moderna neonatologia, dall’assistenza obbligatoria in sala parto da parte di un neonatologo o da un pediatra appositamente formato, al rooming-in, alla promozione dell’allattamento al seno, alla presenza dei genitori nei reparti di neonatologia, all’obbligo dell’osservazione transizionale dopo il parto, al ricovero alla nascita di tutti i nati vivi con la compilazione della cartella clinica ecc….Vedete quindi come solo alla fine degli anni novanta si arriva a dare una precisa configurazione giuridica al neonato, ben 1500 anni dopo Giustiniano!

Ma  pur riconoscendo oggi non solo il neonato come persona giuridica ma anche  il nascituro come soggetto giuridico, oggi il fenomeno del FETICIDIO (sia chiaro non aborto, parliamo di creature già formate, che nella moderna ecografia tridimensionale potete vedere succhiarsi il dito o arrampicarsi lungo le pareti uterine, o sbadigliare o stiracchiarsi ritmicamente o fare esercizi respiratori o deglutire il liquido amniotico,ecc…) è molto diffuso. Ed è un feticidio diciamo orientato, perché ad essere eliminati sono i feti di sesso femminile: l’omicidio perpetrato sul genere femminile, gendercide, la strage di Eva. Tanto il fenomeno è diffuso che il consiglio d’Europa ha raccomandato agli Stati membri di non rivelare il sesso del nascituro. Nel 1990 l’indiano Amartya Sen premio Nobel per l’Economia, scrisse che almeno 60 milioni di bambine sono state cancellate sul pianeta terra con il 'sessismo dell’aborto selettivo' che è molto diffuso anche in Europa, specie in Inghilterra. Su questa strada, infatti, si rischia di alterare la composizione delle popolazioni, per una discrepanza della consistenza numerica sessuale maschio- femmina. Ciò si è già verificato in Cina, dove ha portato ad un aumento del numero di uomini single, non per scelta ma perché mancano 80 milioni di donne. E  questo ci deve fare riflettere ancora di più sul fatto che le leggi della Natura devono essere rispettate da questo povero piccolo uomo.

E invece, ebbri di scienza e di progresso tecnologico anche nell’evento gravidanza, parto, fatti oltremodo naturali, deleghiamo ad altri ciò che la natura voleva nascesse da un momento di amore, o se non di amore, di godimento estasiante. Deleghiamo ad una fredda provetta le emozioni di un concepimento; e infine deleghiamo sempre più spesso, vuoi per immaturità psichica, o per fobie varie, o per incapacità di affrontare il dolore, anche l’evento finale del concepimento, 'il parto': Deleghiamo il parto a delle figure professionali che non possono trasmetterci l’emozione dell’'ultima spinta', dell’ultimo graffiante spasmo, del grido liberatorio che racchiude dolore e gioia e che si commista al primo vagito del neonato. Deleghiamo ad altri la scelta del fenotipo, anzi ripudiando il genoma, rompendo quella catena che da migliaia e migliaia di anni ti garantisce l’appartenenza alla tua gens, alla tua famiglia. Mi piace immaginare un grande STORE con su scritto NEONATO, dove all’ingresso da una informale hostess viene proposto agli aspiranti genitori un questionario con le caratteristiche della marca richiesta.

E a questo punto, riandando alla distopia di Aldous Leonard Huxley nel 'Mondo nuovo' , non è fuori di ogni logica pensare che tra 100-200 anni ci troveremo immersi nella vita fantascientifica descritta da questo scrittore, nell’Era Ford, per chi ha letto il romanzo. Non più riproduzione vivipara ( questa annotazione primitiva fa rabbrividire i piccoli omini alfa plus), ma provette e incubatoi con caratteristiche specifiche previste secondo i bisogni societari indotti con alchimie ( ad esempio riduzione dell’Ossigeno o no,…..) per avere selettivamente soggetti alfa plus, alfa, beta, gamma, delta, ypslon. Ma non vogliamo forse tutti dei figli alfa-plus? E allora dei beta e dei gamma , di tutta quella miriade di individui variegatamente diversi che compone l’umanità, che ne sarà?, 

Non avete paura che questa umanità di esseri alfa, non  potendo più esercitare il potere sui beta e sui gamma, finirà con il cannabalizzarsi? Ma sono certa che prima si vendicheranno delle tante Medee che hanno costellato il mito e la storia anche recentissima.

Ecco perché ho aperto  con un inno di amore al  neonato, e chiudo con un cupo triste presagio, questo '… e poi?'

Ma per finire in maniera più soft, meno scioccante, volevo proporvi una poesia sul Neonato: ho riletto e Pascoli e D’annunzio e Saba e Pessoa e Ungaretti. Sapete che non ho trovato nessuna poesia sul neonato? Sicuramente molti di voi presenti sono dei letterati e ne avranno conoscenza, ma io non ho trovato nulla, per cui ho pensato, con il vostro permesso, di proporvi delle mie personali considerazioni poetiche sul neonato:


Piccolo batuffolo rosa

Manine tese ad abbracciare il mondo

Piedini ansiosi di cavalcare il vento

Occhi schiusi a mirar  grandi tappeti erbosi e cieli luminosi nei caldi soli autunnali

Orecchie protese al dolce fruscio di  fronde

Pelle di luna vogliosa di un tocco di tenerezza o del tepore di un raggio di sole d’inverno

Un grande mondo racchiuso in un piccolo cuore.-Grazie dell’attenzione.-Iris Bonanno Conti

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Immagine riferita a: Il neonato dalla preistoria ad oggi. E poi?...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Immagine riferita a: Il neonato dalla preistoria ad oggi. E poi?...

 

Autore Prof-Greco

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Inserito il 10 Febbraio 2017 nella categoria Relazioni svolte