Il libro nell'antichità: i papiri come fonte di conoscenza
La papirologia è una disciplina storica che va inserita nella visione unitaria del settore antico, quello greco-romano in particolare. Ne ha parlato la dott.ssa Anna Borghi in una dotta e particolareggiata conferenza
Relatore: Dott.ssa Anna Borghi
Il libro nell’antichità: i papiri come fonte di conoscenza, letteratura e vita.
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1. Definizione finalità e importanza della papirologia
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La papirologia è una disciplina storica che va inserita, insieme alla paleografia, la filologia classica, l’epigrafia, la numismatica, nella visione unitaria e globale del settore antico, quello greco-romano in particolare.
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Il termine papirologia risulta introdotto nell’uso verso la fine dell’Ottocento, quando l’attività scientifica che si volle così denominare era già praticata, in vario modo e anche disordinatamente, da circa un secolo e mezzo. Evidentemente solo allora si ravvisò l’esigenza di dare, oltre ad una sistemazione scientifica, anche una sistemazione formale alla disciplina, e se ne coniò la denominazione, che venne utilizzata per la prima volta in lingua inglese nel 1898, (termine 'Papirology'). Primo ad utilizzare in Italia la denominazione 'Papirologia' fu, nel 1901, Girolamo Vitelli; successivamente il termine venne utilizzato in lingua francese (Papyrologie) e tedesca (Papyrologie/Papyrusforschung/Papyruskunde).
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'Papirologia' è di etimo trasparente. Letteralmente significa 'studio dei papiri',nel duplice senso di studio del materiale scrittorio ricavato dalla pianta del papiro e di studio del contenuto grafico dei papiri stessi. Nel primo senso, meno comune, si richiedono al papirologo competenze tecniche attinenti alla botanica, alla chimica organica, alla geografia climatica, di solito non presenti nella sua preparazione di base; pertanto il papirologo organizza un lavoro di équipe con gli esperti dei vari rami. Nel secondo senso, che è il più diffuso, l’opera del papirologo ha stretta connessione con le competenze del filologo, dello storico dell’antichità, degli studiosi in genere del mondo antico.
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Si sono manifestate delle divergenze nel definire l’oggetto della papirologia, divergenze che nascono dal fatto che i papiri ritrovati appartengono a due categorie: papiri letterari (quelli che contengono opere letterarie o parti e frammenti di esse) e papiri documentari (testi, pubblici o privati, che riguardano tutti gli aspetti della vita: lettere, contratti, leggi, registri, elenchi, ecc…)
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Una larga parte dei papirologi, a partire da Ulrich Wilcken, uno dei padri fondatori della papirologia ufficiale (primi del ‘900), ha considerato come rientranti nella propria competenza solo i papiri documentari, ritenendo quelli letterari di pertinenza dei filologi. La concezione documentaristica prevalse fino alla fine del ‘900 presso alcune scuola e presso autorevoli rappresentanti della disciplina. Si tratta di una visione troppo angusta e unilaterale; bisogna inoltre considerare che il confine fra papiri letterari e documentari non sempre è netto e preciso.
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Per una definizione della disciplina papirologica, ci si attiene a quella proposta da Medea Norsa nel 1935 in <<Enciclopedia Italiana>>, voce 'Papirologia': 'la disciplina che ha per suo fine il deciframento, l’edizione, l’interpretazione delle scritture greche e latine su papiro su altro materiale mobile e facilmente trasportabile'.
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Va precisato che, accanto ai papiri greci e latini, ne sono venuti alla luce moltissimi altri, appartenenti a varie altre lingue e culture dell’antichità: papiri in lingua egiziana (sono i più antichi in senso assoluto), vergati in scrittura geroglifica, ieratica, demotica; papiri copti (cioè nella lingua e scrittura dell’Egitto cristianizzato, dal III sec. d.C. in poi); pochi papiri nubiano-meroitici (della Nubia, regione a sud dell’Egitto); papiri aramaici (opera di coloni ebrei stanziatisi in Egitto, per lo più ad Elefantina nel V sec. a. C.); papiri ebraici e siriaci; pochi papiri persiani (VII sec. d. C.); molti papiri arabi, dal VII al XIV sec. d.C.
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Di conseguenza, esiste una papirologia egiziana, una araba, una aramaica; noi ci occuperemo in questa sede della papirologia greco-latina, che è la più importante sotto diversi punti di vista.
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Va precisato inoltre che si fanno rientrare nell’ambito della papirologia anche gli scritti su ostraca (cocci di terracotta), tavolette di legno, lamine di piombo, pergamena (cartapecora) e altri tipi di pelli di epoca tardo-antica.
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Limiti cronologici: l’arco di tempo cui appartengono le scritture greco-latine su papiro (o su altri materiali di cui si è parlato) va dal IV sec. a.C. al VII d.C.
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Il più antico papiro letterario greco finora ritrovato: ampio frammento di rotolo semicarbonizzato, trovato nel1962 a Derveni, presso Salonicco, in Macedonia: contiene un commentario filosofico a un trattato o poema orfico; risale alla 2^metà del IV a.C. la sua sopravvivenza è dovuta al processo di carbonizzazione subìto (simile a quello dei papiri di Ercolano).
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Più antico documento greco su papiro: ritrovato a Saqqâra, nel deserto egiziano, risale al 330 a. C. circa e contiene l’ordine di Peucesta (comandante lasciato da Alessandro Magno nel 331 a.C. a comandare l’esercito macedone che rimaneva in Egitto) di non attraversare un’area sacra. Proprio questo riferimento ha consentito una datazione abbastanza precisa. Precedentemente il più antico papiro documentario era un contratto di matrimonio trovato ad Elefantina e datato al 311 a. C.
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A partire dal VII sec. d.C. (6414 d.C.) la dominazione araba sostituisce quella bizantina in Egitto, con conseguente progressiva scomparsa della lingua e della cultura greca.
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Ovviamente i limiti cronologici suddetti non vanno intesi rigidamente, in quanto legati alla possibilità di nuovi ritrovamenti.
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Limiti geografici: la grandissima maggioranza dei papiri scoperti proviene dall’Egitto, dove il clima secco ha consentito la conservazione del materiale papiraceo, in località che nel corso della storia sono state abbandonate dagli abitanti. Ma si possono annoverare ritrovamenti anche al di fuori dell’Egitto, soprattutto in Siria, sulle rive dell’Eufrate (a Dura Europo: sono stati ritrovati papiri soprattutto greci) e in Palestina (rotoli di cuoio del Mar Morto). Accanto a questi, vanno ricordati i papiri di Ercolano (circa 1800) l cui sopravvivenza trova altra spiegazione.
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Come ben si comprende, alla luce di quanto detto, i confini della papirologia sono incerti e oscillanti: sia per quanto riguarda l’oggetto specifico della disciplina, sia per il materiale scrittorio, sia per la delimitazione cronologica e spaziale. Pertanto l’attività papirologica richiede larga pratica dell’interdisciplinarità con l’opera dello storico e del filologo.
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2. Metodo di fabbricazione carta da papiro:
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Tra i materiali destinati alla scrittura, il papiro fu il più diffuso nell’antichità, sia in Egitto, luogo di produzione della pianta, sia negli altri paesi che si affacciano sul Mediterraneo.
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Il termine deriva dal latino 'papyrus' (plurale: 'papyri') e dal greco πάπυρος, termini probabilmente derivati dall’egiziano 'per-perâ'
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Il suo impiego come materiale scrittorio ha origini remote: in Egitto era già in uso nel corso del III millennio a.C.; fuori dall’Egitto se ne diffuse l’uso probabilmente nel II millennio. Esso era esportato in Fenicia nel XII-XI sec. a. C., in particolare verso la città di Byblos, in cambio di legname, tanto che taluni fanno derivare proprio dal nome di questa città la parola greca βύβλος che indicava il papiro e che è ritenuta comunemente di origine fenicia (gubla).
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Probabilmente il papiro era già conosciuto in Grecia in età micenea, ma il ricordo del suo uso risulta scomparso nella tradizione letteraria. Non si hanno notizie certe circa l’introduzione (o la reintroduzione) del papiro in Grecia in epoca storica, probabilmente ciò accadde intorno alla metà del VII sec. a. C.
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La pianta di papiro, che cresce in luoghi paludosi, umidi e caldi, trovava le condizioni ambientali più favorevoli alla sua crescita in Egitto, dove abbondava soprattutto nella zona del delta del Nilo e nell’Arsinoite, attuale Fayûm, mentre oggi cresce più a sud, in Abissinia e in altre zone dell’Africa settentrionale e della Palestina.
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In quantità più ridotte, la pianta era presente anche in Etiopia, Palestina, Babilonia, e più tardi, importata forse dagli Arabi, in Sicilia, dove tuttora cresce spontaneamente, in particolare lungo le rive del fiume Ciane, presso Siracusa, e nel bacino della fonte Aretusa ad Ortigia. La Sicilia è l’unica regione d’Europa in cui il papiro cresce a tutt’oggi
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La pianta necessita di acque molto pulite che fluiscano lentamente in modo che le radici possano usufruire di una ossigenazione continua e costante. Le piante di papiro sono caratterizzate da un fusto a sezione triangolare alto da 1 a 3 m. e relativamente sottile (dai 5 ai 10 cm alla base), che sull’estremità superiore ha un caratteristico ombrello composto da infiorescenze piumose. Il papiro di alta qualità destinato alla produzione dei rotoli e dei codici veniva probabilmente coltivato in apposite piantagioni; nel corso della storia sono stati rinvenuti papiri di qualità diversa: evidentemente ci sono stati vari periodi di affinamento e di miglioramento delle tecniche di lavorazione. Non sappiamo in quale periodo dell’anno anticamente si raccogliessero le piante e se erano preferite mature o meno.
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La pianta, prima ancora che per ricavarne materiale scrittorio, veniva utilizzata per ricavarne diversi prodotti: cibo, nutriente e a buon mercato, materiale da ardere, medicine, bende, abiti, scarpe, coperte, vele, funi, e anche piccoli canotti leggeri.
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Dal fusto della pianta si ricavava il materiale per la fabbricazione del foglio di papiro, secondo un processo descrittoci dettagliatamente, ma anche con talune inesattezze da Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) nella sezione della sua Naturalis Historia dedicata a questo argomento. (XIII, 68-89). (Prima di Plinio, qualche accenno è già in Erodoto, II libro delle Storie). Le metodologie dettagliate della lavorazione del papiro sono andate perdute attorno al XVI secolo circa, in seguito all’introduzione della carta ottenuta dagli stracci.
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Per confezionare una superficie scrittoria si usava la parte più bassa del fusto del papiro: essa veniva tagliata e privata della corteccia mentre era ancora fresca, per metterne alla luce il midollo. Dal midollo si ricavavano, in senso verticale, strisce sottilissime, della stessa lunghezza e larghezza (φίλυραι). Le strisce venivano lavate e disposte su un letto duro (in genere una tavola bagnata con acqua del Nilo), in modo che si accavallassero leggermente e che le fibre fossero tutte nella medesima direzione. A questo strato se ne sovrapponeva un altro, costituito da strisce disposte ad angolo retto con le prime. Bastavano pochi colpi dati con una pietra larga e piatta perché questi due strati si fondessero senza bisogno di sostanze incollanti.
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Il lavaggio è una fase molto importante in quanto consente la fuoriuscita del succo della pianta che agisce come una colla capace di tenere assieme le varie strisce affiancate l’una all’altra. Gli Egiziani pensavano che fosse essenziale utilizzare l’acqua sacra del Nilo ma in realtà si può utilizzare benissimo anche altra acqua ed ottenere ugualmente lo stesso identico risultato. La composizione e le impurità presenti nell’acqua utilizzata in questa fase hanno comunque un ruolo fondamentale in quanto se esse non sono appropriate la carta si deteriora soltanto dopo pochi anni. La differenza tra un buon papiro e un cattivo papiro consiste molto nel tempo di conservazione del materiale.
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Il foglio veniva quindi posto sotto una pressa tra due panni di materiale assorbente (come il feltro) per alcuni giorni, fino a quando non si era seccato per bene. La fase di essiccazione veniva poi probabilmente completata lasciando asciugare al sole le pagine. La superficie del foglio ottenuto era certamente ancora un po’ ruvida e quindi veniva levigata battendola con la pomice (o una conchiglia o con un utensile in avorio o con delle pietre).
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Alla fine di questo processo, il foglio risultava di colore chiaro, forte e nello stesso tempo flessibile, adatto quindi a restare piegato o arrotolato senza immediato deterioramento.
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A Siracusa esiste, dal 1975, l’Istituto del Papiro, un centro di produzione della carta ottenuta dal papiro secondo le tecniche più antiche, riprodotte in laboratorio: ci sono voluti anni e anni di studi e ricerche ed affinamenti per mettere a punto una tecnica di lavorazione del papiro ed ottenere risultati soddisfacenti.
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Il materiale scrittorio così fabbricato veniva tagliato in fogli (κολλήματα), atti a contenere un limitato numero di colonne di scrittura (all’incirca delle dimensioni dell’odierno formato A4).
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Questi fogli venivano poi incollati gli uni agli altri a formare un rotolo (τόμος, lat. volumen), il quale, in genere, ne conteneva 20, per una lunghezza media di circa 4,50 metri. Ovviamente, da questa unità di misura si potevano ritagliare pezzi più piccoli, per redigere lettere o documenti; al contrario, se il rotolo non era sufficientemente lungo per le necessità del momento, vi si potevano aggiungere pezzi supplementari o, addirittura, un secondo rotolo, senza comunque superare i 9-10 metri complessivi per evidenti motivi di maneggiabilità.
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Dalle fabbriche il papiro usciva in rotoli già pronti secondo una misura standard, in base alla quale si calcolava il prezzo.
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Gli scrittori e gli storici antichi ci hanno tramandato le varie dimensioni caratteristiche dei fogli di papiro e i nomi dei vari tipi di carta secondo la qualità della medesima.
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Il termine greco χάρτηϛ indicava un rotolo pronto all’uso: la superficie interna aveva le fibre disposte in senso orizzontale (recto o faccia perfibrale), quella esterna in senso verticale (verso o faccia transfibrale). (Poi nel codice, altra forma di libro antico affermatasi in età imperiale e corrispondente all’incirca alle caratteristiche del moderno libro a stampa: recto è passato ad indicare il lato destro delle pagine a due facce, senza tenere conto della direzione delle fibre). (Per i fogli di pergamena, invece, le denominazioni più appropriate sono: lato carne e lato pelo).
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Un volume antico è scritto in una serie di colonne parallele al lato più corto del rotolo, inizianti alla sua sinistra.
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Il rotolo veniva maneggiato nel medesimo modo sia per la scrittura che per la lettura: si srotolava con la mano destra, si riavvolgeva con la sinistra.
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Il primo foglio del rotolo (πρωτόκολλον) era l’unico ad avere le fibre in senso verticale ed in genere era lasciato in bianco, così da fungere da custodia all’intero papiro che, una volta scritto e completato, veniva avvolto intorno ad un bastoncino cui si appendeva una striscetta recante il nome dell’autore e il titolo dell’opera.
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Per quanto riguarda la qualità della carta fabbricata con il papiro, esiste una nomenclatura tramandataci da Plinio, che però è da ricollegare agli usi della Roma del I d.C.:
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la 'charta ieratica' (riservata in origine alla stesura di testi sacri) era la migliore, larga e molto fine;
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la 'charta liviana' (in onore della moglie di Augusto) era larga ma meno fine;
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la 'charta claudiana' era di qualità inferiore, ma più resistente.
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Vi erano poi le carte di uso comune, fra le quali ricordiamo la 'charta emporetica'.
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La qualità della carta da papiro andò progressivamente peggiorando (dal III secolo d. C. in poi la carta diventa sempre deteriore), per cui il papiro più arcaico è quello confezionato meglio.
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Il foglio confezionato non richiedeva, in genere, un trattamento specifico per sostenere la scrittura: gli antichi parlano di un’applicazione di olio di cedro per preservare il materiale e per mettere in risalto le lettere. Queste ultime, nell’antico Egitto, veniva dipinte, più che scritte, con una canna morbida che era penna e pennello insieme. Gli scribi greci, come gli egiziani, sedevano a gambe incrociate, sostenendo la superficie scrittoria con l’abito teso strettamente sulle ginocchia, ma si servivano di una canna dura, il κάλαμοϛ, che tagliavano con un coltello, e con la quale le linee venivano tracciate e non dipinte.
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Il primo inchiostro veniva preparato al momento ed era costituito da un denso carbone nero (nerofumo), colla e acqua.
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Nel mondo antico il papiro fu relativamente a buon mercato, ma poi, per l’accresciuta richiesta, si fece più costoso. Non sembra, comunque, doversi ricollegare in misura determinante al prezzo l’abitudine di riutilizzare pezzi di un rotolo già utilizzato sul recto per scrivervi sul verso, e, a volte, di lavare con una spugna la superficie scritta per riadoperarla.
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Vi era anche un commercio di papiro già scritto su un lato: di solito si dà il caso di rotoli contenenti testi letterari sul recto, che venivano riutilizzati per scrivervi documenti sul verso; molto meno comune è il caso opposto, di cui l’esempio più notevole è costituito dalla Costituzione degli Ateniesi di Aristotele (Papiro Letterario di Londra 108), scritta sul verso di un documento contabile.
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3.1 Dal papiro alla pergamena:
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Si fece comunque ricorso, in ogni epoca, ad altri materiali scrittori, spesso di ripiego: frammenti di anfore rotte (όστρακα) o pezzi di calcare, lini che avvolgevano le mummie, corteccia o foglie di palma, lastre di ardesia, tavolette di legno imbiancate, o tavolette di legno scavate al centro e riempite di cera.
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L’unico materiale che, nel Vicino Oriente, resse alla concorrenza del papiro fu la pelle degli animali, in particolare la pelle di pecora. Varrone racconta (citato da Plinio, N. H. XIII, 70) che il re d’Egitto Tolemeo VI Filometore, per impedire ad Eumene II re di Pergamo di costituire nella sua capitale una biblioteca come quella di Alessandria, bloccò l’esportazione della carta di papiro e costrinse Eumene a ricorrere alla pelle di pecora, che da Pergamo prese il nome di pergamena (II a.C.)
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Le pelli di animali vari (capre, pecore, antilopi, asini) usate come materiale scrittorio erano comunque note da molti secoli in Persia, in Asia Minore, in Egitto.
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A Qumrân, località sul Mar Morto, sono stati rinvenuti rotolo di cuoio, simili in tutto ai rotoli di papiro.
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I termini cuoio e pergamena si riferiscono a trattamenti diversi cui la pelle veniva sottoposta: il cuoio si ottiene immergendo la pelle in una sostanza vegetale contenente tannino, la pergamena ricoprendo la pelle di albume e cospargendola di gesso in polvere.
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Va notato che la pergamena, che pure si diffuse in Egitto a partire dal III sec. d. C., non soppiantò mai completamente il papiro, che scomparve, neppure però definitivamente, solo con l’avvento della carta di stracci (la prima fabbrica di carta ricavata da stracci fu fondata a Bagdad alla fine del VIII sec. d. C.). Esistono documenti su papiro databili al XI sec. d. C. e qualche raro scritto risalente al XIV secolo, quando ormai la produzione di carta di papiro era cessata e la pianta stessa gradualmente scomparsa, arretrando verso l’Alto Nilo.
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3.2 Dal rotolo al codice:
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Per gli antichi un libro (βύβλος, βίβλος, βιβλίον, volumen) fu, appunto il rotolo di papiro. Esso presentava però taluni inconvenienti per chi doveva trascrivere un testo, soprattutto se di una certa lunghezza (le grandi opere, ad esempio richiedevano più rotoli: ad esempio, ognuno dei nove libri delle Storie di Erodoto e degli otto delle Storie di Tucidide corrispondeva ad un rotolo). Inconvenienti anche maggiori toccavano agli utenti: il rotolo impegnava anche fisicamente il lettore, che doveva servirsi di entrambe le mani per tenerlo aperto, srotolandolo a destra e arrotolandolo a sinistra, per averne sott’occhio le strette colonne di scrittura. Il rotolo, pur se costituito di materiale abbastanza resistente, mal sopportava la continua usura ed era facilmente vulnerabile, anche se veniva racchiuso in contenitori cilindrici (capsae). Il rotolo aveva di solito una durata non eccessivamente lunga, durata che dipendeva dalla qualità del manufatto, dal modo di conservazione, dalla frequenza d’uso, dal tipo di utente, ecc… Per quanto riguarda la quantità di contenuto, un rotolo, essendo scritto su un solo lato, poteva al massimo contenere una tragedia o due, o tre libri di Omero, se brevi.
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Queste ed altre ragioni favorirono la diffusione (anche se non ne determinarono la nascita) di un altro tipo di libro, il codice, che gradualmente, in epoca imperiale, prima si affianca al rotolo e poi finisce per soppiantarlo, determinando quella che è stata definita 'la più grande rivoluzione nella storia del libro prima della stampa' (Guglielmo Cavallo, 'Libro e pubblico alla fine del mondo antico' 1975).
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Un codice (σωμάτιον, codex 'tronco, ceppo'), quando nel IV secolo d.C. ebbe raggiunta la sua forma definitiva, era costituito da fogli di papiro o pergamena ripiegati al dorso e messi insieme a quaternioni, cuciti tra di loro e ricoperti da una rilegatura di legno. Il codice così formato presentava indubbi vantaggi pratici: poteva restare aperto da solo, poteva essere consultato servendosi di una sola mano, le pagine si potevano scrivere su entrambi i lati e, quindi, in totale, il contenuto poteva essere anche quattro o cinque volte quello di un rotolo; inoltre era rilegato e quindi protetto contro l’usura.
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Il cambiamento di formato non è comunque connesso con la sostituzione del papiro con le pelli: i primi codici erano infatti papiracei; d’altro canto, fin dai tempi antichi, la pelle veniva utilizzata come materiale scrittorio anche sotto forma di rotolo.
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Non è possibile datare con sicurezza l’avvento del codice: secondo il Turner, esso si riconnette alla progressiva diffusione della letteratura cristiana: la parola di Gesù cominciò a circolare infatti su taccuini, e il fatto che il Vangelo si diffondesse all’inizio in questo formato determinò l’abitudine a servirsi del codice per le scritture cristiane in genere. La letteratura laica (pagana) seguì l’esempio lentamente, forse, in un primo momento, per motivi economici.
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Guglielmo Cavallo: 'Il codice è il libro della letteratura popolare, cristiana e anche tecnica, comunque destinata alle classi subalterne e meno abbienti, di fronte al quale stava il rotolo, custode della grande arte letteraria, riservato ai solo fruitori in grado di apprezzare quell’arte, le élites sociali tradizionalmente colte. A determinare il rinnovamento tecnologico del libro è dunque una spinta dal basso. … L’avvento del codice veniva a rompere, quindi, la cerchia ristretta dei lettori abituali: sotto tal profilo la sua funzione può essere paragonata, quindi, all’avvento dei tascabili nella nostra epoca'.
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L’unità di misura più usuale, sebbene non l’unica, del codice era il quaternione (quaternio), costituito da un insieme di quattro fogli cuciti al centro, per un totale di otto foglietti e sedici pagine.
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Dopo essere stati scritti i fogli venivano cuciti e rilegati. La rilegatura conferiva solidità al codice. Esistevano vari tipi di rilegatura: le più antiche erano costituite da tavolette di legno spesso scavate, ricoperte di cuoio decorato.
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In conclusione, nel mondo greco-romano il libro fu costituito prima dal rotolo, poi dal codice. Il rotolo, papiraceo, fu in uso da quando cominciò a diffondersi la scrittura e si passò dalla cultura orale, auditiva, a quella di comunicazione scritta, visiva, affidata al βιβλίον, fino al II-III sec. d.C. Il codice, prima papiraceo, poi prevalentemente pergamenaceo, sorse come libro cristiano e popolare, s’impose poi come libro sia della Chiesa che della cultura laica fino alla dissoluzione del mondo antico, continuò la sua vita nel chiuso degli scriptoria ecclesiastici nei cosiddetti secoli bui, per poi tornare a circolare con la rinascita bizantina e carolingia del sec. IX, quando la scrittura maiuscola letteraria dell’antichità fu sostituita dalla scrittura minuscola libraria.
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4. Papirologia greco-egizia e papirologia ercolanese: differenza e problematiche annesse
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Le prime scoperte di papiri risalgono alla metà del XVIII secolo. Per prima vennero scoperti i papiri ercolanesi, successivamente quelli egiziani. Fino ad allora, erano noti pochi papiri medievali sopravvissuti più o meno fortunosamente conservati in biblioteche e archivi europei: ricordiamo i papiri dei re Merovingi (VII secolo); i papiri ravennati, scritti a Ravenna nel periodo in cui fu capitale dell’Impero d’occidente e poi del regno ostrogoto; i papiri papali, documenti emanati dalla curia pontificia, di cui abbiamo esemplari fino al sec. XI.
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Le prime scoperte di papiri greco-latini avvennero ad Ercolano tra il 1752 e il 1754, mentre la loro pubblicazione cominciò nel 1793 con il PHerc. 1497, primo papiro letterario dato alle stampe.
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4.1 Papirologia greco-egizia
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I papiri greco-egizi costituiscono la totalità dei papiri documentari e gran parte dei papiri letterari.
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Motivo fondamentale della conservazione dei papiri in Egitto è stato il clima caldo e secco tipico della valle del Nilo, ad esclusione del Delta, zona nella quale sono stati trovati soltanto papiri carbonizzati. Nelle altre zone, soprattutto in località elevate e non raggiunte dalla piena del fiume, i papiri si sono conservati là dove, soprattutto in epoca araba, le popolazioni avevano abbandonato i centri abitati e la sabbia del deserto aveva finito con il ricoprire e preservare tutto. Scavando dunque fra le rovine di questi antichi centri e anche nei mucchi di rifiuti ai margini dei centri stessi sono venuti alla luce migliaia di frammenti di papiri nelle più varie condizioni di conservazione e sempre bisognosi di ripulitura e restauro. Molti papiri sono stati ritrovati anche in tombe, dove erano stati sistemati a corredo del morto. Non pochi, inoltre, sono stati recuperati dai cartoni con cui si usavano rivestire le mummie: molti di questi cartoni erano costituiti da rotoli di papiro in disuso, incollati l’uno sull’altro e pressati.
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Il primo papiro greco proveniente dall’Egitto pubblicato in Europa contiene un documento datato al 192/193 d.C. (33° anno dell’Imperatore Commodo), contenente una lista di abitanti di Ptolemais Hormou, un villaggio dell’Arsinoite, che dovevano prestare la loro opera nel lavoro dei canali e delle dighe a Tebtynis, un centro del Fayyum. Questo papiro, pervenutoci in ventitré frammenti, contiene una iscrizione in greco corsivo, disposta, sul più grande, su quindici colonne di trentatré righe di scrittura ciascuna. Venne acquistato nel 1778 presso Gizeh (l’antica Melfi) da un mercante italiano, il quale lo donò al cardinale Stefano Borgia, che lo collocò nel suo Museo di Velletri e lo fece studiare al prof. danese Niels Schow, teologo ed esperto di paleografia greca. Venne pubblicato a Roma nel 1788, con il titolo di Charta papyracea Graece scripta Musei Borgiani Velitris. Il papiro si conserva oggi nel Museo di Napoli ed è comunemente noto come Charta Borgiana. Esso ha un grande valore documentario, in quanto testimonia della struttura sociale dell’Egitto romano, ma anche un pregio indiretto, per aver contribuito alla nascita degli studi papirologici in Italia, essendo il primo papiro greco qui pubblicato.
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La spedizione napoleonica del 1798 risvegliò un grande interesse per la civiltà antica di quel paese: alla spedizione presero parte, per volere di Napoleone, numerosi studiosi che alimentarono studi e ricerche, che portarono, fra l’altro, alla decifrazione delle scritture egiziane ad opera di Champollion nel 1822.
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All’interesse per i papiri dimostrato in Egitto dagli stranieri, corrispose quello degli elementi locali di trovare e offrire in vendita testi papiracei. Cominciarono così ad affluire in Europa papiri greci destinati a collezioni di antichità egiziane, in origine messe insieme da privati. Tali collezioni confluirono poi in grandi musei e biblioteche, soprattutto al Louvre di Parigi, al British Museum di Londra, a Berlino, a Leida, a Torino, dove fu fondato un Museo Egizio ad opera del re Carlo Felice. Papiri il lingua egiziana ma anche in greco pervennero sia per donazione che per acquisto anche alla Biblioteca Vaticana di Roma, dove nel 1838 papa Gregorio XVI fondò il Museo Egizio.
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Si iniziarono così le pubblicazioni: dapprima si trattò di qualche documento isolato, per passare poi a piccole collezioni. Nel 1826-27 l’abate Amedeo Peyron pubblicò i 14 papiri documentari della raccolta torinese Drovetti (PTor). Seguirono nel 1831 i 6 papiri vaticani, pure documentari, pubblicati da Angelo Mai (PVat). Successivamente, dalla metà dell’800, vennero pubblicati i papiri di Leida (PLeid), i papiri del Louvre (PPar, 1865); papiri acquistati in Egitto cominciarono ad essere pubblicati anche in Russia.
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Le scoperte di papiri più o meno casuali di papiri in Egitto attraversano un periodo di stallo fino al 1877, quando cominciò ad affluire sul mercato antiquario del Cairo una grande quantità di papiri provenienti dalla zona dell’Arsionoite (odierno Fayûm): papiri greci (soprattutto di età romana), latini, copti, ebraici, siriaci, persiani, arabi. Questi papiri provenivano in prevalenza da cumuli di macerie e di rifiuti accatastati per secoli, così da costituire piccole alture dove gli indigeni li avevano trovati per l’abitudine di trarre da questi rifiuti il sebbak, un terriccio ancora ricco di sostanze organiche e perciò fertilizzante.
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Fu questa l’occasione che permise la prima massiccia diffusione dei papiri egiziani in molti paesi d’Europa e, in un secondo momento, degli Stati Uniti. In quegli stessi ultimi decenni dell’800 molti studiosi di vari paesi organizzarono, accanto agli acquisti, campagne di scavo in Egitto per la ricerca dei papiri, ottenendo quasi sempre cospicui risultati. Cominciò così la costituzione di grandi collezioni, soprattutto europee, e la formazione di centri di studi papirologici. Da sottolineare come la collaborazione internazionale sia stata sempre particolarmente attiva in questo campo, soprattutto nel secondo dopoguerra, tanto che è diventata proverbiale la cosiddetta 'amicitia papyrologorum'.
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I paesi in cui, già a partire dalla fine dell’800, si registrò un’intensa attività papirologica di decifrazione, pubblicazione e sistemazione dei papiri provenienti dall’Egitto furono:
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- l’Austria (Corpus Papyrorum Raineri, 52.000 papiri greci per lo più documentari, custoditi attualmente presso la Biblioteca Nazionale di Vienna. Si tratta di papiri d’acquisto);
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- la Gran Bretagna, cui spetta il 1° posto in campo papirologico, sia per l’impegno nella ricerca, sia per l’importanza dei ritrovamenti, sia per l’organizzazione di studio e di edizione. Gli Inglesi scavarono in Egitto dalla fine dell’800, ricordiamo le campagne di scavo effettuate ad Ossirinco sotto la supervisione di Grenfell e Hunt, ai quali si deve la pubblicazione dei primi 17 volumi dei papiri di Ossirinco, appunto (POxy). Questi sono arrivati al 49° volume ad inizio anni ’80, per complessivi 3521 papiri fra letterari, subletterari, documentari, e contengono alcuni dei testi greci più importanti rinvenuti in Egitto.
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Fra le altre collezioni inglesi, annoveriamo: Papiri Chester Beatty (papiri biblici, provenienti da Panopolis, in 8 volumi), i Papiri del Fayûm (1 volume). Le campagne di scavo effettuate dagli Inglesi furono finanziate dall’ Egypt Exploration Fund. Oltre ai già citati Grenfell e Hunt, ricordiamo altri noti studiosi: Friederic Kenyon, che pubblicò, fra l’altro, la Costituzione degli Ateniesi di Aristotele e i Mimiambi di Eroda (1891) e le Odi di Bacchilide nel 1897; il Lobel, editore dei più importanti frammenti dei melici greci; il Turner e numerosi altri che hanno lavorato soprattutto a Londra e Oxford, nelle cui biblioteche è custodita la maggior parte dei papiri trovati dagli inglesi (British Library di Londra, Bodleian Library di Oxford).
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Durante tutto il ‘900 è continuato il lavoro di ricerca sul terreno da parte degli inglesi, sia in Egitto, dove il sito che ha dato migliori risultati, anche per l’antichità dei testi ritrovati, è stato Saqqâra (vicino Menfi), cui si è aggiunto, successivamente Qasr Ibrîm (a sud di Assuan), sia nella stessa madrepatria: gli scavi effettuati al confine con la Scozia, nell’antica Vindolandia, dove sorgeva il romano Vallo di Adriano, hanno portato alla luce tavolette cerate e anche sottili strisce di legno usate per scrivere quale sostituto del papiro (lettere e testi documentari del I d.C.);
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- la Francia: scavi soprattutto nel Fayûm ai primi del ‘900, istituì l’Istituto francese di Archeologia orientale del Cairo (diretto da Jouguet), rinvenimento ad opera di George Lefebvre ad Aphroditopolis, nell’archivio del notaio Dioscoro, del codice cairense di Menandro.
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Nacquero varie scuole francesi di papirologia: quella di Lille (importante raccolta di papiri tolemaici). A Parigi fu fondato l’Istituto di papirologia della Sorbonne, che curò la pubblicazione dei Papiri della Sorbonne. I Francesi hanno lavorato anche in Egitto per conto del governo egiziano contribuendo, fra l’altro, allo studio e alla pubblicazione dei papiri bizantini del Museo del Cairo;
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- l’Olanda: tradizione papirologica molto antica, Istituto di Leida
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- la Germania: il fondatore e massimo esponente della papirologia tedesca fu Ulrich Wilcken, che, insieme ai suoi collaboratori, si occupò della pubblicazione dei papiri esistenti nei Musei statali di Berlino, papiri sia documentari che letterari. In Germania fiorirono numerose scuole, spesso arricchite anche da proprie raccolte di papiri, formatesi sia per i numerosi scavi in Egitto, sia per acquisti da parte di varie università e istituti (collezioni di Giessen, Heidelberg, Monaco, Colonia, il centro papirologico più recente, pubblicazione della serie Papyrologica Coloniensia: fa parte di questa raccolta il più lungo frammento finora noto di Archiloco);
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- Anche Belgio, Svizzera e Spagna si sono mossi in ambito papirologico; ricordiamo in Svizzera la ricca collezione Bodmer che comprende testi classici e biblici (sviluppatasi ad opera di Victor Martin a Cologny, presso Ginevra)
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- Stati Uniti: i papiri cominciarono ad arrivare negli Usa nei primi anni del ‘900, prima presso l’Università di Chicago, poi presso l’Università del Michigan; ad Ann Arbor fu organizzato il primo vero centro di studi papirologici (Herbert Youtie, il migliore papirologo documentarista del ‘900)
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- Egitto: all’inizio si limitò ad alimentare con i suoi papiri le raccolte di tutto il mondo, solo in un secondo momento ha cercato di frenare l’esportazione dei papiri ritrovati, stabilendone il deposito presso il Museo del Cairo. Accanto a studiosi di ogni parte del mondo, vi lavorano anche elementi locali, addetti soprattutto al riordino e ripristino del materiale; non si può comunque parlare di una vera e propria scuola papirologica egiziana.
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4.2 Papirologia ercolanese
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La sopravvivenza dei papiri di Ercolano, diversamente dai papiri egiziani, che si sono conservati grazie alla secchezza del clima, è stata dovuta al processo di carbonizzazione cui furono soggetti per effetto dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., che distrusse Ercolano, Pompei e Stabia.
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La prima casuale scoperta avvenne nell’ottobre del 1752, quando i cavamonti napoletani, che scavavano già da alcuni anni nel territorio dell’antica Ercolano per conto di Carlo di Borbone, trassero fuori, da un’immensa villa suburbana, poi divenuta famosa come Villa dei Pisoni (pare infatti appartenesse a Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, suocero di Giulio Cesare e console nel 58 a.C.; in base ad alcuni recenti studi epigrafici, è stato anche proposto il nome di Appio Claudio Pulcro, cognato di Lucullo e console nel 38 a.C.) o anche Villa dei papiri, i primi rotoli di papiri carbonizzati, cui ne seguirono molti altri nei mesi successivi, fino a tutto il 1754.
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Si trattava di parecchie centinaia di rotoli (impossibile determinare il numero esatto), più o meno deformati dal peso sostenuto per secoli. I papiri sono oggi custoditi nella Biblioteca Nazionale di Napoli, che ha inventariato e catalogato 1826 unità (si tratta, ovviamente, non di interi rotoli, ma, per lo più, di frammenti di rotolo).
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A Ercolano nel I secolo a.C. si costituì un circolo di Epicurei per opera di Filodemo di Gadara (Siria), allievo di Zenone di Sidone. Entrato in contatto con Calpurnio Pisone, quest’ultimo lo incaricò di allestire una biblioteca – in gran parte di contenuto filosofico- nella sua villa di Ercolano.
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Si tratta di una dimora di grande rilievo architettonico dotata di una suppellettile di eccezionale ricchezza e qualità, paragonabile a una Villa Imperiale, corredata dell’unica Biblioteca finora restituita dal mondo antico. I papiri, le opere d’arte (sculture, pitture, mosaici), gli oggetti del quotidiano furono portati prima nell’Herculanense Museum, allestito nella Reggia di Portici, poi nel Palazzo degli Studi di Napoli (a partire dal 1806), l’attuale Museo Archeologico Nazionale. L’edificio fu esplorato in età borbonica attraverso pozzi e cunicoli e mai riportato alla luce: ecco perché se ne auspica uno scavo compiuto, nella fiducia che possa restituire ancora testi e opere d’arte sfuggiti all’indagine settecentesca. Inoltre, uno studio dell’edificio nel suo insieme potrebbe chiarire alcune questioni che concorrerebbero a una nostra migliore conoscenza di alcuni aspetti della cultura della Roma tardorepubblicana.
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I parziali interventi di esplorazione (1986-1987) e scavo (1992-1997) compiuti nello scorso secolo hanno rivelato che l’edificio si estendeva su più piani (almeno tre) sottostanti rispetto a quello già noto e non esplorati dall’indagine settecentesca e che la continuità tra la Villa e la zona occidentale della città era determinata dalla presenza di altri edifici che dallo scavo sono emersi.
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La villa doveva appartenere a un facoltoso e colto aristocratico romano, forse identificabile in Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, suocero di Giulio Cesare. Calpurnio Pisone creò una biblioteca principalmente di carattere filosofico. Si ritiene che la biblioteca sia stata raccolta e selezionata da un amico e cliente di famiglia, l’epicureo Filodemo di Gadara. I seguaci di Epicuro studiavano gli insegnamenti di questo filosofo morale e naturalista. La sua filosofia insegnava che l’uomo è mortale, che il cosmo è il risultato di incidenti, che non esiste un dio provvidenziale, e che il criterio di una buona vita è il piacere. I collegamenti di Filodemo con Pisone gli diedero l’opportunità di influenzare i giovani studenti di letteratura e della filosofia greca che si erano riuniti intorno a lui a Ercolano e a Napoli. Molte delle sue opere furono scoperte in circa un migliaio di rotoli papiracei nella biblioteca filosofica recuperata a Ercolano. Filodemo superava il livello medio letterario a cui aspirava la maggior parte degli epicurei riuscendo ad influenzare i romani più colti e distinti della sua epoca. Le sue opere in prosa non erano conosciute fintantoché non furono scoperti i rotoli tra le rovine della Villa dei Papiri.
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Al tempo dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., la preziosa biblioteca era stata imballata in casse, pronta per esser trasportata in salvo, ma purtroppo fu sommersa dalla colata piroclastica; l’eruzione alla fine depositò circa 20–25m di cenere su tutto il sito, carbonizzando i rotoli ma conservandoli — l’unica biblioteca sopravvissuta dell’antichità classica — grazie all’indurimento della cenere che divenne tufo.
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I papiri rinvenuti a Ercolano, per il calore del materiale piroclastico che con l’eruzione del 79 d. C. ricoprì la città e per l’umidità a cui sono stati sottoposti per tanti secoli nel sottosuolo del territorio ercolanese, sono carbonizzati. Sono pertanto molto fragili, e il problema di srotolarli in modo adeguato si pose drammaticamente dal primo momento. Dopo alcuni tentativi infruttuosi e dannosi, il procedimento più adeguato fu elaborato da uno scolopio di origine genovese, l’abate Antonio Piaggio, che, su richiesta di Carlo di Borbone, il Prefetto della Biblioteca Vaticana inviò a Portici nel luglio 1753. A lui si deve l’invenzione della celebre macchina con la quale sono stati srotolati la maggior parte dei rotoli che oggi leggiamo (macchina dal funzionamento molto semplice: l’inizio del papiro e poi man mano il resto di esso, attaccato a una sottile membrana, venivano molto lentamente tirati su da fili di seta manovrati da ganci posti nella parte superiore della macchina. In questo modo, la macchina non poteva restituire le prime colonne di scrittura dei papiri. Il sistema si rivelò efficace ma molto lento: entro il 1754 fu svolto solo il primo papiro, contenente il IV libro del trattato di Filodemo Sulla musica). Il Piaggio lavorò nell’Officina (così venne chiamata quella parte del Real Museo di Portici in cui i papiri erano custoditi e svolti) per più di quarant’anni, fino alla morte: i papiri svolti furono una quindicina e un solo volume fu edito. Successivamente, furono compiuti altri esperimenti di svolgimento, che non hanno prodotto risultati apprezzabili, finché, nel corso degli anni Ottanta del Novecento, un’équipe norvegese, guidata dal filologo Knut Kleve, ha ideato un metodo, fondato sull’impiego di acido acetico, gelatina e acqua, che si è rivelato efficace. Per molti anni i tecnici norvegesi, in collaborazione con la Biblioteca Nazionale di Napoli e con il CISPE, hanno compiuto operazioni di svolgimento e restauro dei papiri. Tra i nuovi testi, aperti col metodo ‘osloense’, un rotolo, ora conservato nella Bibliothèque de l’Institut de France, perché donato a Napoleone, ha rivelato un libro di Filodemo di Gadara dal quale sono emersi i nomi dei poeti augustei: Virgilio, Plozio Tucca, Quintilio Varo, Vario Rufo: così si è potuta migliorare la nostra conoscenza del clima culturale in cui operava Filodemo e, quindi, dell’Epicureismo in terra d’Italia.
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A Kleve si deve anche la messa a punto di ottime tecniche fotografiche. Oggi, grazie all’interessamento di Marcello Gigante e in seguito a una convenzione con la Biblioteca Nazionale di Napoli, operatori della Brigham Young University (Provo, Utah) hanno realizzato la riproduzione fotografica multispettrale dell’intera collezione, che consente un migliore approccio di lettura ai testi anneriti.
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IL CENTRO INTERNAZIONALE PER LO STUDIO DEI PAPIRI ERCOLANESI
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Il Centro si costituì a Napoli nel 1969 per iniziativa del prof. Marcello Gigante, che lo ha guidato fino alla morte (2001). Dal primo momento ne furono membri i piú illustri filologi e papirologi. Il CISPE sorse col duplice intento di collaborare alla ripresa dello scavo della Villa dei Papiri in Ercolano e di promuovere il rinnovamento dello studio dei testi ercolanesi, conservati nella Officina dei Papiri nella Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli. Come è noto, i papiri furono trovati dagli scavatori borbonici, a partire dal 1752, nella Villa ercolanese probabilmente appartenuta alla famiglia romana dei Pisoni. L’edificio fu esplorato allora attraverso pozzi e cunicoli e mai riportato alla luce: ecco perché se ne auspica uno scavo compiuto, nella fiducia che possa restituire ancora testi e opere d’arte sfuggiti all’indagine settecentesca.
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La villa dei papiri, scoperta accidentalmente nell’aprile del 1750 mentre si scavava un pozzo in Via Cecere, rappresenta uno degli esempi più imponenti dell’architettura ercolanese prima dell’eruzione del 79 d.C.
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Dopo aver portato alla luce una veranda semicircolare con un magnifico pavimento ad intarsio di marmi policromi, venne scoperto un peristilio con sessantaquattro colonne che circondava una piscina rettangolare. Sul bordo della piscina l’ingegnere Karl Weber, che per più di dieci anni si occupò dei lavori, trovò una vera e propria collezione di opere d’arte, oggetti e sculture in bronzo e marmo che oggi vengono custoditi nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, in un’ampia sala dedicata esclusivamente ai ritrovamenti della Villa dei Papiri.
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Gli scavi borbonici, eseguiti attraverso cunicoli, dopo aver raggiunto il secondo peristilio ed il corpo centrale della villa, giunsero nel lato orientale della costruzione in una piccola stanza in cui vi era una biblioteca che custodiva all’incirca 1800 rotoli di papiri carbonizzati. La difficoltà nello svolgere i papiri per leggerli, ne ha causato la parziale distruzione: svolti in un primo momento dal Paterni e poi dall’abate genovese Antonio Piaggio, che aveva inventato una ingegnosa macchina simile ad un telaio per svolgere questi importanti reperti semicarbonizzati, i rotoli di papiro suscitarono ben presto l’ interesse di studiosi e specialisti che fondarono l’Officina dei Papiri Ercolanesi, una officina libraria che si avvalse della collaborazione di interpreti, svolgitori, lettori, disegnatori ed incisori. Ancora oggi essi sono oggetto di studio da parte di filologi e storici del pensiero antico e vi sono circa 800 papiri che devono essere tuttora srotolati e letti. La maggior parte dei papiri srotolati fino ad ora è scritta in greco, ad eccezione di una ventina di rotoli scritti in latino. Essi contengono trattati di filosofia epicurea, in gran parte del suo esponente Filodemo da Gadara, per cui si è supposto che la villa appartenesse a Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, amico e protettore del filosofo e suocero di Giulio Cesare, nonchè console nel 58 a.C. Gli scavi della villa furono terminati poco dopo il ritrovamento della biblioteca, e dopo il 1765 tutte le gallerie ed i pozzi furono di nuovo chiusi. Ripresi nel 1985, sono attualmente ancora in corso e non sappiamo quando la villa potrà essere riportata di nuovo alla luce, a causa delle grosse difficoltà incontrate nello scavo, dovute principalmente ad infiltrazioni di acqua.
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5. Papiri letterari e papiri documentari
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Si è soliti distinguere i papiri greco-latini in due grandi gruppi: letterari e documentari. Alcuni papiri vengono definiti subletterari, in quanto si collocano a metà strada fra le due categorie (si tratta di taluni testi scolastici, testi magici, lettere di un certo impegno, ecc…).
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E’ possibile attribuire un papiro ad uno dei due gruppi sia in base al contenuto, sia e ancor prima in base alla scrittura:
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nei testi letterari veniva usata la maiuscola libraria, detta onciale
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per i documenti ufficiali si usava la scrittura cancelleresca
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per i documenti privati si usava la scrittura corsiva, propria della vita quotidiana.
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Ovviamente, si registravano reciproche interferenze e influenze fra i 3 tipi di scrittura: di solito è stata la scrittura libraria (o letteraria) a influenzare le altre, ma spesso si è verificato anche il caso opposto, cioè della maiuscola libraria che ha assunto tendenze corsiveggianti.
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Bisogna poi tenere conto delle notevoli differenze che corrono fra testi letterari trascritti da scribi di professione e testi egualmente letterari trascritti da gente comune, scolari, ecc…
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Il numero di gran lunga maggiore di papiri ritrovati appartiene alla categoria dei documenti (rapporto di circa 10 a 1 rispetto ai testi letterari): è comunque impossibile fornire cifre attendibili, in quanto manca un inventario completo dei papiri documentari editi; sono più di 5000 i testi letterari su papiro o materiale affine finora pubblicati (è imprecisabile il numero dei testi ancora non editi).
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I papiri letterari vanno poi distinti in due categorie: quella dei testi nuovi e quella dei testi già noti dalla tradizione medievale.
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I testi nuovi hanno accresciuto e rinnovato profondamente la nostra conoscenza della letteratura greca (in misura minore della latina); i testi già noti hanno influenzato la critica testuale.
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Entrambe le categorie hanno dato un contributo decisivo alla storia del libro antico e costituiscono una testimonianza della vita scolastica e culturale dell’Egitto dal regno tolemaico al dominio bizantino.
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5.1 Nuovi testi letterari greci
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Solo una piccola parte del ricchissimo patrimonio letterario della Grecia antica si è salvata attraverso la tradizione bizantina e medievale, grazie soprattutto alla riscoperta degli umanisti (soltanto 2000 opere circa si sono trasmesse direttamente).
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Si è trattato di una selezione rigorosissima, operata, in primo luogo, dai greci stessi, anche per esigenze scolastiche. Questa scelta ci ha conservato quasi sempre il meglio della loro produzione, anche se la valutazione critica degli antichi non sempre corrisponde ai criteri di noi moderni.
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Un’ulteriore selezione, del tutto casuale e irrazionale, fu operata da circostanze esterne nei cosiddetti secoli bui del Medioevo: distruzioni, guerre, lotte religiose, ecc.. che hanno distrutto opere che per i greci stessi meritavano di essere salvate: tipico è il caso di Menandro, il maggiore esponente della commedia nuova, e di Iperide, che solo eventi esterni hanno fatto scomparire del tutto, fino alla parziale resurrezione avvenuta attraverso i papiri.
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Vari altri autori ci sono stati rivelati dai papiri, o quasi esclusivamente come Bacchilide, Timoteo, lo storico di Ossirinco, Eroda, Cercida, o più spesso parzialmente, con l’aggiunta, cioè, di materiale nuovo a quello già noto della tradizione medievale.
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Ricordiamo soltanto alcuni casi significativi di 'nuovi capitoli' aggiunti alla storia della letteratura greca:
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di Esiodo (VIII a.C.) sono venuti alla luce una cinquantina di papiri del perduto Catalogo delle donne o Eoie, che hanno arricchito gli scarsi resti della tradizione indiretta;
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di Archiloco (VII a.C.), prima noto soltanto da citazioni, circa venti papiri hanno restituito vari frammenti
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di Alcmane (VII a. C.) sono stati rinvenuti frammenti di parteni
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di Alceo e Saffo (lirici del VI a. C.), noti solo da citazioni indirette, sono stati rinvenuti numerosi frammenti che da un lato hanno illuminato i motivi fondamentali della loro poesia, dall’altro hanno contribuito a risolvere problemi testuali presenti nella tradizione.
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Frammenti sono stati ritrovati anche del poeta corale Stesicoro (VI a.C.), di cui meno è rimasto nella tradizione indiretta.
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Bacchilide, uno dei tre grandi poeti corali del tardo arcaismo (V a. C.) è divenuto noto solo grazie ai papiri (anche nei Papiri di Ossirinco).
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Di Pindaro (V a. C.) i papiri hanno aggiunto parti, talora anche estese, di odi alle opere tramandate dalla tradizione medievale (soprattutto per esigenze scolastiche)
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I papiri ci hanno restituito anche I Persiani di Timoteo di Mileto (fine V a. C.) opera incentrata sulla battaglia di Salamina.
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Dei tre tragici il più fortunato è stato Euripide, di cui sono stati ritrovati 85 papiri, con frammenti di drammi perduti, a testimonianza della maggiore popolarità postuma di cui godette; una trentina di papiri contengono frammenti di Eschilo e una ventina di Sofocle. (La tradizione antica aveva limitato a 7 le tragedie di Eschilo e Sofocle, e forse 10 quelle di Euripide).
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Uno scrittore rivelato interamente dai papiri è l’anonimo autore delle Elleniche di Ossirinco, degno di essere annoverato fra i maggiori storici greci.
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Iperide, oratore del IV a.C., andato completamente perduto, fu uno dei primi autori greci a tornare alla luce.
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Uno dei testi più importanti rivelati dai papiri è la Costituzione degli Ateniesi di Aristotele (di cui la parte più estesa è contenuta nel PLit Lond 108, edito dal Kenyon nel 1891): il testo è scritto sul verso di documenti. Un altro frammento della stessa opera era venuto alla luce in un papiro berlinese: grazie a questi papiri si è potuto disporre dell’opera fondamentale per ricostruire la storia della costituzione della più gloriosa polis greca.
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Molti papiri contengono testi di età ellenistica e romana.
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La commedia è uno dei generi letterari meglio rappresentati nei reperti, in misura minore per quanto riguarda Aristofane e la commedia antica, come pure la commedia di mezzo, in misura imponente per quanto riguarda la commedia nuova e Menandro in particolare.
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Menandro è stato quasi interamente rivelato dai papiri: nel corso del ‘900 sono stati rinvenuti oltre 50 papiri di varia estensione, contenenti taluno più drammi, altri soltanto pochi versi. Ricordiamo, nel 1959, la pubblicazione del PBodmer IV contenente il Dyscolos; dieci anni dopo furono editi la Samia e l’Aspis (sempre papiri Bodmer. Bodmer: banchiere ginevrino). Ricordiamo, sempre in riferimento a Menandro, il PSorbonne contenente 400 versi del Sikyonios (tardo III a. C.): questo papiro si presenta tondo nella parte inferiore perché tagliato da un rotolo per farne cartonnage per una mummia. E’ anche un esempio di papiro palinsesto, in quanto l’attuale contenuto è riscritto su una superficie già usata e poi lavata.
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Callimaco, il più ragguardevole poeta ellenistico, di cui la tradizione diretta ha conservato solo gli Inni egli Epigrammi: sono stati ritrovati circa una sessantina di papiri, contenenti frammenti degli Aitia, dei Giambi, dell’Ecale. Fondamentali per la conoscenza di Callimaco, sono i 2 papiri delle Diegheseis, che forniscono l’esposizione, purtroppo incompleta, del contenuto delle sue opere.
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Mimiambi di Eroda: sette componimenti e parte dell’ottavo, mimi in trimetri giambi scazonti, ispirati a figure e momenti della vita quotidiana.
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Ricordiamo ancora il rinvenimento di un lunghissimo testo manicheo in un codice pergamenaceo del V d.C., restaurato nel 1969. Si tratta di un codice, di piccolissimo formato, che contiene la biografia greca di Mani, fondatore nel III d. C. in Persia del movimento religioso del Manicheismo, movimento religioso che a lungo contrastò il Cristianesimo.
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Nuovi testi sull’origine del romanzo, genere letterario assai diffuso in epoca tardo-antica: un papiro di Berlino edito dal Wilcken e il PSI 1305 edito dalla Norsa nel 1945, entrambi del I d. C., contenenti brani del Romanzo di Nino che inducono ad assegnare la nascita di questo genere letterario al periodo alessandrino (periodo che si fa iniziare nel 323 a. C., anno della morte di Alessandro Magno, e terminare con la conquista romana del Regno tolemaico d’Egitto (battaglia di Azio del 31 a.C.) che porta l’oriente nell’orbita romana occidentale.)
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In conclusione, la letteratura greca, grazie ai nuovi apporti, si è notevolmente arricchita di testi perduti e inaspettatamente ritrovati: oltre ai ritrovamenti di parti di opere più o meno importanti, moltissimi altri frammenti, spesso anonimi, hanno contribuito a far conoscere una produzione minore, talora di carattere popolare, consentendo di tracciare un quadro più attendibile della storia culturale dei greci.
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5.2 Ritrovamenti di testi già noti
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Numerosi papiri ritrovati contengono brani di opere che la tradizione medievale ha conservato, per i quali viene meno l’elemento della novità.
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L’importanza di tali ritrovamenti è di altissimo valore: infatti, i manoscritti che ci hanno tramandato le opere greco-latine non sono più antichi del IX-X secolo d.C. e sono redatti in minuscola. I papiri letterari, in maiuscola, sono tutti anteriori ai più antichi manoscritti, talora anche di molti secoli. Alcuni di essi sono addirittura anteriori al lavoro dei grammatici alessandrini, che fissò criticamente il testo delle opere della letteratura precedente, e qualche volta solo di pochi decenni posteriori agli autori delle opere contenute nei papiri stessi.
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La maggiore antichità dei papiri rispetto ai codici pergamenacei è di rilevante importanza per la ricostruzione dei testi tramandati.
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Dei papiri relativi ad opere trasmesseci dalla tradizione diretta, la stragrande maggioranza riguarda un ristretto numero di autori, evidentemente i più letti e studiati in Egitto in età alessandrina e romana. Fra di essi, appartenenti prevalentemente alla letteratura greca classica, Omero si colloca a grandissima distanza da tutti gli altri, con più di 700 papiri di varia estensione; fra i papiri omerici predominano quelli dell’Iliade, che era il poema di gran lunga più diffuso.
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Seguono per numerosità i ritrovamenti omerici, quelli di Demostene e Euripide.
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Questi papiri letterari sono stati ritrovati in piccoli villaggi all’interno dell’Egitto, si tratta di testi non di grandi pretese, destinati ad un pubblico non particolarmente esigente, che viveva in sedi periferiche, come Ossirinco, Tebtunis, Karanis, ecc…
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Quando si parla di ritrovamenti papiracei, bisogna anche considerare il largo spazio da attribuire al CASO.
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Di fronte alla circostanza che spesso i papiri presentano varianti rispetto al testo trasmessoci dai codici medievali, si pone il problema di quale delle due tradizioni sia più autorevole e accettabile: bisogna valutare caso per caso, in relazione ad un complesso di fattori.
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Importanza dei papiri contenenti testi già noti: tali papiri danno un’idea della diffusione e della fortuna di determinati autori ed opere. Inoltre, la preferenza accordata in Egitto a determinati testi rispetto ad altri consente di ricostruire l’ambiente culturale di questa grecità periferica e la sua evoluzione nel tempo. Poiché parecchi dei papiri rientrano nel settore scolastico, è possibile, grazie ad essi, conoscere i contenuti culturali della scuola greco-egizia ai suoi diversi livelli.
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Talvolta i papiri hanno contribuito a risolvere questioni di vario genere, soprattutto cronologiche, relative ad autori già noti ma erroneamente datati.
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5.3 Ritrovamenti di testi latini
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Il numero complessivo di papiri latini ritrovati è enormemente inferiore a quelli greci: sono circa 500 fra letterari e documentari. Di seguito le ragioni dell’esiguità dei papiri latini: nel caso della Villa dei papiri, si trattava di una biblioteca di un filosofo greco, ospite di un nobile romano, in cui la presenza di opere latine doveva essere del tutto marginale. Per i testi di provenienza egiziana la motivazione risiede nel fatto che l’Egitto, anche dopo il passaggio dall’amministrazione tolemaica a quella romana (a seguito della battaglia di Azio del 31 a. C.) e fino alla conquista araba, conservò la lingua e cultura della classe dominante, accanto alla lingua e cultura egiziana della popolazione indigena. Nell’amministrazione civile e giudiziaria, nella scuola, nei rapporti sociali, si continuò a parlare e a scrivere in greco, mentre il latino si limitò ai vertici del governo locale (editti trasmessi da Roma ai funzionari imperiali di Alessandria), ai soldati romani che presidiavano la regione (i quali hanno fornito il gruppo più consistente di documenti latini), ai pochi cittadini romani trasferitisi in Egitto.
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Per quanto concerne i testi letterari latini, essi sono poco numerosi, e vi è una nettissima prevalenza di testi noti rispetto a quelli nuovi, cioè non trasmessici dalla tradizione diretta: frammenti di Cicerone, Virgilio, gli autori più popolari e letti dai romani in Egitto, ma anche Terenzio, Sallustio, Lucano, Giovenale (ricordiamo il rinvenimento di papiri che contengono parte della I e l’intera II Catilinaria di Cicerone).
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Scarsissimo l’apporto di testi nuovi: ricordiamo un breve frammento elegiaco risalente al I a. C. e attribuito a Cornelio Gallo, poeta amico di Virgilio e autore di elegie d’amore, di cui si era salvato un solo verso per tradizione indiretta.
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5.4 Papiri documentari
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La stragrande maggioranza dei papiri trovati in Egitto e in alcune zone contermini è costituita da documenti: quelli editi sono più di 40.000, altrettanti quelli ancora non editi.
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Il contributo di tali papiri riguarda la vita dell’Egitto grecizzato, nei suoi molteplici aspetti e nelle sue varie epoche.
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I rapporti dei greci con l’Egitto risalgono già all’età micenea e ripresero dall’VIII secolo in poi, in età arcaica. Fino ad Alessandro Magno non si può tuttavia parlare di influenza greca di un qualche rilievo in Egitto. Con la conquista macedone (332/331 a.C.), con la fondazione di Alessandria e con l’instaurazione prima della satrapia, poi del regno dei Tolemei, la presenza greca diviene determinante e comincia il periodo, documentato nei papiri, di ellenizzazione dell’Egitto, i cui effetti si protrarranno fino alla conquista araba (641 d. C.).
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In questo arco di tempo millenario si distinguono 3 periodi: il tolemaico (323-30 a. C.), il romano (fino al IV d. C), il bizantino (l’Egitto tocca all’Impero d’Oriente, fino alla conquista araba del 641 d. C.).
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In tutti e 3 i periodi coesistono nel paese i dominatori stranieri e la popolazione indigena, la quale conserva lingua, religione, costumi, ecc… Il ceto dominante introduce e impone la propria lingua, il greco della koiné, che però non soppianta mai la lingua degli indigeni.
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I papiri documentari che l’Egitto ha conservato sono di varie tipologie e variano anche di epoca in epoca nell’ambito della stessa tipologia. Ma c’è un elemento che attenua le differenze diacroniche: la notevole fissità e formularità dei documenti che, rispettando formule e schemi stereotipate, ben poco si modificano nel corso dei secoli.
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I documenti sono molto scarsi per la primissima epoca tolemaica, per poi infittirsi nel III e II a. C. ; assai più numerosi sono quelli del periodo romano (soprattutto risalenti al II d. C.); assai meno sono i documenti bizantini.
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Di seguito le tipologie di documenti ritrovati su papiro (classificazione proposta da Orsolina Montevecchi):
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- Documenti legislativi (editti tolemaici, costituzioni, testi di legislazione bizantina…). Questo settore di documenti investe l’ampio campo del diritto, dal diritto privato, al diritto della famiglia, della proprietà, ecc…al diritto penale e processuale. A partire da questi documenti si è sviluppato il filone della papirologia giuridica, che, a partire dl ‘900, vanta un’eccellente tradizione di studi anche in Italia (Vincenzo Arangio Ruiz).
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- Documenti amministrativi: documenti connessi all’attività della pubblica amministrazione che regolava la vita dell’Egitto (circolari, disposizioni, registri, elenchi…). Essi permettono di conoscere l’organizzazione burocratica-amministrativa del paese nei vari periodi della sua storia.
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- Documenti relativi all’organizzazione fiscale (ordinanze di tasse, liste di contribuenti, ricevute di contributi)
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- Documenti relativi all’amministrazione della giustizia (citazioni, mandati di arresto, sentenze…)
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- Documenti dell’esercito e della flotta in età romana (tutto ciò che riguarda l’organizzazione militare e la vita dei soldati in età romana; di solito sono scritti in latino)
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- Documenti inviati da privati a funzionari: costituiscono il gruppo numericamente più cospicuo (dichiarazioni di nascita, di morte, di censimento, ecc…). Particolarmente importanti le dichiarazioni di censimento, che forniscono il maggior numero di dati sulla convivenza, la composizione della famiglia, il numero dei figli, l’età delle nozze, i matrimoni tra consanguinei, ecc… Le dichiarazioni di proprietà aiutano lo storico nello studio delle vicende della terra.
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- Atti tra privati: categoria assai ricca di materiale: contratti di matrimonio, atti di divorzio, adozioni, testamenti, divisioni di proprietà, compravendita di case e di terreni.
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- Attività commerciali e trasporti: elenchi di merci, inventari, libri di conti di commercianti,
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- Vita religiosa (pagana): testi su feste sacre, onoranze funebri, testi magici, preghiere…
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- Vita religiosa (cristiana): documenti che chiariscono momenti e circostanze della diffusione del Cristianesimo in Egitto, tra cui i libelli della persecuzione di Decio, atti riguardanti chiese e monasteri, preghiere, ecc…
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- Lettere private: le lettere sono testi largamente presenti nei ritrovamenti papiracei, anche in numerosi archivi familiari. La corrispondenza fra privati aiuta a rendersi conto di costumi, mentalità, modi di vita, particolari dell’esistenza quotidiana, e costituisce, pertanto, una preziosa miniera di informazioni. Dal punto di vista formale, le lettere rispettano un formulario costante, e abbondano di luoghi comuni e ripetizioni di formule stereotipate (notizie sulla salute, la famiglia, ecc…)
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- Associazioni: statuti, delibere, ecc. che documentano la vita delle associazioni
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- Documenti vari: ricette mediche, testi relativi a medici pubblici, ecc…
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Documenti greco-latini su papiro: dalla metà del IV a. C. all’VIII d. C.
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Documenti contenuti anche in archivi pubblici e privati: utilissimi per la ricostruzione storica dell’Egitto:
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Archivio di Zenone di Cauno (uomo di affari di Apollonio, dioiketés di Tolemeo II Filadelfo): 3.000 papiri trovati a Filadelfia nell’Arsinoite e dispersi in varie raccolte e, quindi pubblicati in varie collezioni. Essi risalgono al III a. C. e contengono informazioni molto interessanti sulla politica tolemaica del tempo.
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Archivio di Eronino (III d. C.), incaricato del fisco romano a Teadelfia, testimonia la profonda crisi economica del tempo. Il grosso del materiale è stato recuperato tramite acquisti ed è conservato nella Biblioteca Laurenziana a Firenze e pubblicato da D. Comparetti nel Vol. II dei Papiri Fiorentini.
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6. Datazione e scrittura dei papiri
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Una delle operazioni preliminari e fondamentali dell’editore di un papiro è quella di stabilirne la datazione: anche a questo fine bisogna distinguere fra papiri letterari e documentari.
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Per quanto concerne i documenti, questi, sia pubblici che privati, sono generalmente datati, e molto spesso, oltre all’anno, recano l’indicazione del giorno e del mese. Ovviamente ciò è valido se la parte di documento in cui si trova la data si è conservata, in caso contrario si dovrà ricorrere ad altri metodi.
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I papiri letterari, invece, non sono mai datati. Se è conservata la parte finale dell’opera, vi è il colophon, in cui è indicato il nome dell’autore e il titolo dell’opera: ma anche questa indicazione non ci dà notizie in merito alla datazione del papiro, ma soltanto un incontrovertibile terminus post, qualora dell’autore si conosca l’epoca di riferimento.
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Datare un papiro significa stabilire con precisione o, meglio, con approssimazione, l’epoca in cui il papiro stesso è stato materialmente scritto, il che è cosa ben diversa dal determinare l’età del testo letterario riportato nel papiro.
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Si è riscontrata una sostanziale uniformità geografica delle scritture greche e latine su papiro (che verrà meno nel medioevo).
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Per la cronologia dei papiri letterari si ricorre a vari metodi, tutti indiretti:
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1) Utilizzo di dati archeologici, quelli cioè connessi al ritrovamento del papiro:
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per esempio, per i papiri ritrovati in cartoni di mummie l’età della mummia costituisce un terminus ante quem. Per i papiri di Ercolano, il terminus ante è fissato al 79 d.C., data dell’eruzione del Vesuvio.
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- Nel caso di testi letterari ritrovati insieme a papiri documentari datati, provenienti dallo stesso ambiente, la data dei documenti costituisce un valido punto di riferimento (pur con debite oscillazioni)
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- Casi in cui un rotolo sia scritto su entrambe le facce, recto e verso: si possono distinguere 2 casi:
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a) Testo letterario scritto sul recto e documento scritto sul verso: la data del documento costituisce il terminus ante quem, in quanto l’utilizzo del papiro per la stesura del documento è posteriore (ma non si può stabilire di quanto) alla stesura del testo letterario
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b) Testo letterario scritto sul verso di un papiro che sul recto contiene documenti: in questo caso, la stesura del brano letterario è posteriore a quella dei documenti.
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- Possono essere utili a stabilire la cronologia taluni dati contenutistici, l’esistenza di note marginali aggiunte al testo e più facilmente databili rispetto al testo stesso, l’uso di determinati segni critici
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- Qualche indicazione cronologica può essere fornita dall’esame del manufatto, cercando di stabilire il tipo di papiro o pergamena, le caratteristiche della confezione, l’inchiostro usato, ecc…
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2) Quando mancano gli elementi orientativi sopra descritti, bisogna ricorrere all’esame paleografico, che risulta il metodo di gran lunga più utilizzato.
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A tal proposito, bisogna distinguere fra scrittura letteraria o libraria (o capitale) scrittura cancelleresca (tipica dell’amministrazione pubblica e degli scribi ufficiali di essa) e scrittura corsiva, legata alle esigenze della vita quotidiana.
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La prima è di norma la scrittura dei papiri letterari, ma può eccezionalmente riscontrarsi anche in papiri documentari datati: proprio questo fortunato caso ha fornito punti fermi e sicuri alla cronologia della paleografia letteraria. Gli altri due tipi di scrittura solitamente compaiono sui documenti.
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La distinzione fra scrittura letteraria e documentaria non sempre è evidente: nel IV sec. a- C., epoca a cui risalgono i più antichi papiri greci ritrovati, tale distinzione è in realtà impossibile, essendo sia i testi letterari che quelli documentari redatti in scrittura di tipo epigrafico, con netta separazione delle lettere. Successivamente e gradualmente, i due tipi di scrittura iniziarono a differenziarsi: la scrittura documentaria evolve molto più rapidamente in corsiva, quella letteraria si modifica più lentamente, rimanendo legata al suo modello epigrafico.
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Maiuscola libraria: è il tipo di scrittura che più interessa per la datazione dei testi letterari. Le variazioni stilistiche rilevate in questo tipo di scrittura attraverso i secoli (distinguendo diversi tratti stilistici e modalità di tracciare le lettere) hanno permesso una collocazione cronologica (più o meno approssimativa, con oscillazione anche di un secolo) dei testi papiracei.
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Fra gli stili di scrittura libraria, ricordiamo:
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- stile ad alternanza di modulo (stile di età tolemaica, III a. C., lettere grandi e piccole, larghe e strette)
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- stile apicato (II-I a. C., contraddistinto dalla presenza di apici ornamentali su alcune lettere)
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- stile epsilon-theta (I a. C., il tratto mediano di queste lettere si riduce ad un punto)
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- tipi di scrittura formale (I-IV d. C.), in cui si è registrato il passaggio da 'stile' a 'canone' (cioè a stili che hanno perduto la loro originaria spontaneità e tendono a ripetersi con forme tipologiche identiche):
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maiuscola rotonda (o onciale romana) (I-II d.C.): scrittura elegante, armoniosa, equilibrata, predominano le linee curve,
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maiuscola biblica (II-III d. C.): elegante, armonica, prevalenza di tratti dritti, contrasto tra pieni e filetti all’interno della stessa lettera, che produce una sorta di chiaroscuro, è tipica dei manoscritti biblici, ma compare anche in testi profani
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maiuscola ogivale (III-VI d. C.): le lettere sono inclinate verso destra
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maiuscola alessandrina (o onciale di tipo copto) (V-VI d.C.): netto contrasto fra tratti pieni e sottili e presenza di occhielli.
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Per l’epoca tardo-antica è stata notata una reciproca influenza tra tipi di scritture greche e latine, il che ha indotto ad ammettere una 'koinè scrittoria greco-romana' (G. Cavallo).
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Anche per il latino vige la distinzione fondamentale tra scrittura capitale libraria e scrittura corsiva.
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7. La scrittura nei papiri: segni critici e tecnica editoriale.
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Nei papiri veniva utilizzata la scriptio continua: le parole non erano separate l’una dall’altra. Inoltre non vi erano elisioni di lettere, ma le parole venivano scritte per intero: scriptio plena.
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Non si trovano segnati né spiriti né accenti (tranne che negli esercizi di scuola).
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Non venivano adoperati segni di interpunzione (a parte casi eccezionali). A volte il nostro punto veniva sostituito da uno spazio lasciato vuoto all’interno del rigo.
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A volte, lo spostamento del rigo verso sinistra indicava l’inizio di un nuovo componimento.
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In alcuni papiri letterari è stata riscontrata la presenza di segni critici che ci riportano al lavoro scientifico, di edizione e commento svolto dai grammatici alessandrini nei confronti dei testi dei classici, di Omero in primo luogo. Di seguito i più utilizzati:
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Paragraphos: (---) lineetta marginale (dalla parte sinistra) tra due righe di scrittura per separare due parti di testo;
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Dicolon: (:) per dividere il testo, indicava passaggio di parti soprattutto nei drammi;
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Stigmè: (.) può essere posizionato in alto, al centro, in basso: indica fine (in alto) o divisione nel periodo.
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Dieresi: su alcune vocali
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Coronide: paragraphos con disegnino stilizzato: usata per divisioni di strofe, o nella poesia in genere
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Obelo: trattino usato in margine per indicare un verso spurio
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Asterisco: segna la fine di un’ode in Pindaro e Bacchilide.
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Il monogramma χρ indicava il coro nei punti del dramma in cui era previsto.
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Le moderne edizioni di testi papiracei hanno seguito vari sistemi, soprattutto nella fase di inizio e consolidamento della disciplina, per pervenire ad un sistema editoriale convenzionale unificato: quello adottato nella collezione inglese degli Oxyrinchus Papyri, che è stato via via modificato e perfezionato.
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Di seguito i più comuni segni impiegati per pubblicare testi papiracei:
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[ ] indicano lacuna, la cui estensione, se determinabile, è indicata con un punto per ogni lettera mancante;
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( ) soluzioni di abbreviazioni
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{ } espunzione fatta dall’editore
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< > omissione nel testo, eventualmente colmata o corretta dall’editore
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[[ ]] cancellatura dello scriba
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‘ ‘ inserzione nell’interlinea
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Il puntino sotto la lettera indica che essa è lettera incerta
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Uno o più punti fuori parentesi indicano tracce di lettere illeggibili.
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Di solito prima veniva effettuata la trascrizione diplomatica dei testi (fedele riproduzione del contenuto del papiro in alfabeto minuscolo (o anche maiuscolo, più fedele all’originale); all’edizione diplomatica seguiva l’edizione critica vera e propria, con l’impiego dei segni ortografici e diacritici ed eventuali integrazioni delle lacune. Oggi si tende ad utilizzare solo questo secondo tipo di trascrizione.
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L’operazione più delicata e importante consiste nella ricostruzione del testo, quando esso sia nuovo (cioè non altrimenti noto) e risulti frammentario e lacunoso. Per fare questo, l’editore, accanto ad una profonda conoscenza della lingua, dell’usus scribendi dell’autore (qualora sia identificato), della metrica (se si tratta di versi), del contesto, occorrono anche doti di intuizione e gusto.
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8. Cenni di storia della papirologia in Italia: Girolamo Vitelli e Medea Norsa
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A parte il lavoro sui papiri di Ercolano e a parte sporadiche pubblicazioni di modeste raccolte documentarie, agli inizi dell’Ottocento, mancò nel resto dei quel secolo una vera e propria attività connessa ai papiri d’Egitto.
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Quando negli ultimi due decenni dell’800 cominciò la corsa verso l’Egitto, per scavare o comprare, e se ne videro i primi tangibili risultati, gli studiosi italiani non furono partecipi di questa gara, anche se isolatamente qualcuno di essi si interessò ai papiri.
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Ad esempio, Domenico Comparetti (1835-1927) già nel 1858 aveva studiato Iperide, da poco venuto alla luce, e ne aveva pubblicato due orazioni, per poi dedicarsi allo studio dei papiri ercolanesi, e tornare dopo qualche decennio ai papiri egiziani affluiti a Firenze; Giacomo Lumbroso (1844-1925), documentarista e storico insigne dell’economia e della società ellenistica, fu tra i primi ad utilizzare i papiri per le sue ricerche; alcuni romanisti, come Vittorio Scialoia studiarono parecchi dei nuovi papiri di interesse giuridico.
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Ma la spinta effettiva a lanciarsi nella stimolante avventura venne da un discepolo del Comparetti, Girolamo Vitelli (1849-1935), titolare della cattedra di letteratura greca a Firenze, agli inizi del ‘900.
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A partire dal 1901 sia il Vitelli sia altri studiosi si preoccuparono di acquistare papiri in Egitto, con fondi privati e pubblici. Ben presto si promossero anche scavi, che dal 1903 quasi annualmente si affiancarono, senza sostituirli, agli acquisti. Con i papiri affluiti in grandi quantità a Firenze, vennero pubblicati tre volumi di Papiri Fiorentini (PFlor.), per complessivi 391 testi, in maggioranza documentari.
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Intanto, nel 1908 si costituì a Firenze la 'Società Italiana per la ricerca dei papiri greci e latini in Egitto', che con fondi raccolti tra soci e simpatizzanti provvide a finanziare da allora in poi le campagne di scavi e la pubblicazione dei papiri, contrassegnati dalla sigla PSI, Papiri della Società Italiana. I primi 11 papiri dei PSI furono curati dal Vitelli, dal 1912 al 1935, e contengono, tra i complessivi 1222 papiri, notevoli testi letterari nuovi (Pindaro, Esiodo, Callimaco, Menandro, Eschilo, ecc..) e moltissimi documenti, fra i quali ricordiamo gli oltre 300 del famoso Archivio di Zenone, del III a. C.
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Dopo la Morte del Vitelli sono stati editi, a cura della sua allieva e fidata collaboratrice Medea Norsa e di Vittorio Bartoletti, altri 3 volumi dei PSI.
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I papiri pubblicati nei PSI sono in massima parte custoditi nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze; altre centinaia attendono la pubblicazione da parte dell’Istituto Papirologico 'G. Vitelli', subentrato nel 1928 alla 'Società Italiana'.
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Dal 1928 al 1939-40 l’Istituto Papirologico condusse campagne annuali di scavi in Egitto che, dopo la lunga sospensione causata dal secondo conflitto mondiale, ripresero a partire dal 1964, sempre con cadenza annuale. Nel 2013 è stato pubblicato il XVI volume dei PSI. In totale, i testi finora pubblicati nei PSI sono 1653.
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La parte numericamente più rilevante della collezione, tuttavia, è costituita dalla serie dei PSI ancora inediti, che solo per la parte già inventariata arriva a quasi 4.000 numeri.
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Al di fuori dell’Istituto è stata promossa la collana 'Papyrologica Florentina', che ha pubblicato papiri quasi tutti documentari, conservati in Laurenziana.
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Rimane a Firenze, e al Vitelli, in particolare, il merito di avere innalzato la papirologia italiana a livello internazionale, affiancandola degnamente alle migliori scuole europee.
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Accanto a Firenze, l’unico altro centro italiano notevole in campo papirologico è Milano, sede di due distinte scuole: quella dell’Università Cattolica e quella dell’Università Statale.
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La prima sorse nel 1913 per iniziativa di Aristide Calderini, possiede una non cospicua raccolta di papiri, frutto di acquisti e di una donazione, editi nei Papiri Milanesi (PMed). Va menzionata anche la rivista di egittologia e papirologia Aegyptus, fondata dal Calderini nel 1920. Alla stessa scuola appartiene Orsolina Montevecchi che, con il suo trattato 'La papirologia', ha fornito un validissimo strumento di lavoro non solo per i papirologi, ma anche per gli storici dell’Egitto greco-romano e per i filologi.
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Una collezione più cospicua di papiri possiede il secondo centro milanese, l’Istituto di Papirologia dell’Università Statale. La raccolta è stata promossa da Achille Vogliano, a partire dal 1934, sia con acquisti, sia con varie campagne di scavo in Egitto, e ha alimentato la pubblicazione dei Papiri Milanesi Vogliano (PMil), che contengono sia papiri letterari che documentari.
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Altre piccole raccolte italiane di papiri: quella dell’Università di Bologna, dell’Università di Genova, della Biblioteca Vaticana (una cinquantina fra testi letterari e documentari).
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Per quanto sopra esposto, Teodoro Mommsen definì il ‘900 come il 'secolo dei papiri'.
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Autore
Prof-Greco
Inserito il 20 Maggio 2014 nella categoria Relazioni svolte
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