Relatore: Prof. Antonino Tobia
<_div>Giovan Battista Piranesi è noto soprattutto per la sua attività di incisore. Ma per tutta la vita egli fu anche un infaticabile scavatore e scopritore di reperti archeologici, da lui religiosamente raccolti in una preziosa collezione, venduta successivamente dal figlio Francesco al re di Svezia ed oggi conservata presso il Museo di Stoccolma. Celebratore della grandezza dell’architettura romana, lettore dello storico Livio e nostalgico dell’antica res publica, entrò in contrasto con Johan Joachim Winckelmann, storico dell’arte e archeologo tedesco, appassionato di letteratura e di arte greca, che a Roma ricopriva l’incarico di sovrintendente alle antichità (1764). Il teorico della 'nobile semplicità e quieta grandezza', canone fondamentale del Neoclassicismo, di cui lo studioso tedesco fu tra i massimi esponenti, considerava insuperabile l’armonia dell’arte greca e anteponeva l’architettura ellenica a quella romana. Di contro alla nitidezza armonica delle forme e della serena compostezza dell’arte classica, in cui lo storico dell’arte tedesco vedeva realizzato il suo ideale di bellezza assoluta ed eterna, Piranesitraduce nelle sue incisioni il senso della meraviglia, ereditato dall’arte barocca, con una sofferta coscienza dello spazio e del tempo, resa in una prospettiva tragica di morte, di distruzione e di rovine. La nostalgia dell’antica Roma consunta dal tempo, unita ad una esigenza di libertà espressiva, convinse non pochi critici a considerare Piranesi un anticipatore del movimento preromantico Sturm und Drang, caratterizzato dalla tempesta delle passioni, dalla spontaneità naturale e dal rifiuto delle convenzioni sociali. In questa ricerca di libertà espressiva,Piranesiappare un genio profondamente inquieto, al pari di Dante, Michelangelo, Tasso Alfieri, Foscolo. Geni tragici accomunati dalla innata capacità di sublimare le loro emozioni attraverso l’arte.'Demone dell’incubo architettonico', come lo definì lo scrittore inglese Thomas De Quincey in Confessioni di un mangiatore d’oppio, Piranesi inventa un intrico di volte, di strutture oniriche, che procedono all’infinito, con circonvoluzioni labirintiche che, a detta di Victor Hugo, riproducono l’andamento curvilineo del suo 'nero cervello'. L’immagine del labirinto è suggerita, in particolare, dalle sedici tavole delle Carceri d’invenzione.Il labirinto è un archetipo e una metafora dell’uomo alla ricerca di se stesso. Ogni epoca ha immaginato un suo labirinto, cioè il suo percorso di iniziazione, suggerito dalla propria visione del mondo. Come Teseo entra nel labirinto di Cnosso per combattere la matta bestialità che convive con la spiritualità dell’uomo, così Dante dà una propria immagine del suo itinerario spirituale, e lo vive attraversando i mille ostacoli che intravvede nel suo cammino esistenziale. La sua esperienza, che propone a paradigma etico-spirituale per l’umanità, è il tentativo di superare la notte dell’ignoranza, al fine di scorgere la luce della verità al di là delle mura del labirinto. Come Dedalo, il costruttore del labirinto di Creta, è costretto a mettersi le ali per riacquistare la libertà, anche se le medesime non servirono al figlio Icaro, distratto dal desiderio di andare oltre i consigli del padre.Alla stessa stregua Dante ha condannato nella bolgia infernale dei consiglieri fraudolenti Ulisse, perché l’eroe omerico avevaintrapreso il folle viaggio solo con gli strumenti umani di cui disponeva, incurante dell’editto divino. Da qui il suo disastroso naufragio, conseguenzadella funzione allegorico-religiosa, che il labirinto aveva nel Medioevo.Dante nel mezzo del camminera stato colto da una profonda crisi di smarrimento etico-filosofico, che lo aveva fatto precipitare in una dimensione a lui estranea, in un loco d’ogni luce muto, dove non era tracciata alcuna strada che lo indirizzasse verso il colle illuminato. Il poeta si sentiva drammaticamente solo e l’intrico della selva e la tentazione delle tre belve, la lonza, il leone, la lupa, lo gettarono nella disperazione assoluta, frastornato dalle lusinghe del mondo, che appiattivano la sua anima verso il basso. Tentò invano di uscire dal labirinto dove era precipitato, ma la riedificazione di sé richiedeva un aiuto, gli occorrevaquel filo di Arianna che finalmente gli veniva offerto da Virgilio. Se chiudiamo gli occhi e cerchiamo di immaginarci la selva dantesca 'selvaggia aspra e forte', probabilmente riusciremo meglio a penetrare il lato oscuro di certe incisioni di Piranesi.Anche il labirinto, in cui il Petrarca sente di essere entrato, è costituito dai mille meandri che le tentazioni della carne, della gloria, della ricchezza irretiscono la coscienza umana. Il labirinto petrarchesco è più insidioso della selva oscura di Dante. Il sommo poeta era riuscito a focalizzare bene gli ostacoli che doveva di volta in volta superare edera guidato da chi sapeva scegliere l’itinerario da percorrere per venire fuori dal labirinto.Al contrario l’Aretino si dibatte, vittima della sua stessa accidia, in un continuo contrasto tra cielo e terra, tra l’individuazione del bene e la voce suadente delle sirene. Non c’è accanto a lui né Virgilio, né tantomeno Beatrice, ma solo la voce di Agostino, il santo delle Confessioni, che aveva sperimentato in vita il dramma della prigione dei sensi.Pertanto, il cantore di Laura si avviluppa in una sorta di voluptasdolendie di cupio dissolvi, che lo allontanano dall’uscita del labirinto: video melioraproboque, deteriora sequor. Indecisione e l’irresolutezza allontanano qualsiasi buona riuscita.La struttura del Decameron presenta la regolarità geometrica del labirinto, con un ingresso principale scelto volontariamente da 10 giovani e una uscita naturale, che segna il trionfo della vita sulla morte. Le cento novelle sono disposte in modo simmetrico, ordinate secondo regole che i protagonisti pongono alla base del loro progetto di vita nel luogo che hanno scelto per sfuggire alla peste.Se la costruzione della cornice è lineare e ben disposta nelle sue parti, all’interno delle singole novelle, invece, il labirinto si rivela nella complessità delle vicende. Si tratta ogni volta di un percorso iniziatico tutto immanente,attraverso il quale si acquisiscono gli strumenti necessari ad affrontare le regole della nuova società borghese e mercantilistica,natasulle macerie della visione del mondo medievale. Quanto il contesto è geometricamente controllato, tanto i personaggi delle novelle devono misurarsi con l’ambiguità e il capriccio della Fortuna. Nella novella di Andreuccio da Perugia, per esempio, il labirinto è costituito dalla stessa città di Napoli, in cui l’inesperto Andreuccio si era recato per comprare dei cavalli con in borsa cinquecento fiorini d’oro. Napoli è una città labirintica, insidiosa, come la selva dantesca, imprevedibile, propizia ad assecondare i giochi della Fortuna, in una cornice in cui ladri e malfattori, prostitute e assassini hanno buon gioco nei confronti di un giovane provinciale, irretito dall’ambiente equivoco della grande città in cui non era mai stato. In una sola notte Andreuccio è sorpreso da tre gravi accidenti: il tranello della siciliana che si spaccia per sua sorella; gli incontri fortuiti durante il suo vagabondare notturno; il furto nella cattedrale. Da questa rete di pericoli,Andreuccio gradualmente riesce a venir fuori. L’intenzione del narratore era, infatti, dimostrare la validità del processo iniziatico della vita, che consente al ragazzo di diventare adulto. Così, in questa novella il labirinto visivo della città fa da sfondo a quello tutto interiore del personaggio e diventa strumento di maturazione della sua personalità. Se Dante aveva usato i simboli della ragione, Virgilio, e della fede, Beatrice, per uscire dal labirinto e giungere alla visione del Sommo bene, il Boccaccio, consapevole del cambiamento dei tempi e esperto delle regole della civiltà mercantilistica, di cui egli stesso da giovane aveva acquisito conoscenza proprio a Napoli, individua nell’intelligenza e nell’astuzia gli strumenti di cui l’uomo nuovo deve servirsi per districarsi all’interno del labirinto ogni volta diverso della casuale e volubile Fortuna. La dea bendata del Boccaccio opera all’interno del consorzio umano, mentre in Dante era espressione di un volere trascendente, una intelligenza celeste e provvidenziale.Se verticale si presenta la costruzione del labirinto dantesco, che richiede un moto ascensionale per uscirne, se intricato con percorsi di andirivieni è quello in cui si agita l’animo del Petrarca, orizzontale ed immanente è la struttura del labirinto pensato dal Boccaccio, dove l’uomo non si perde, ma viritrova se stesso e ne diventa il dominus, quando ha imparato a percorrerlo in tutte le sue circonvoluzioni.Col Boccaccio siamo alle porte della civiltà umanistico-rinascimentale, con la nuova visione antropocentrica dell’homo faber. L’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto delinea la personalità dell’uomo nuovo, che aspira ad un perfetto equilibrio tra microcosmo e macrocosmo, né santo né eroe, ma attento ad osservare le vicende del mondo, con uno sguardo laico e distaccato, capace di misurarsi con la realtà fisica e convinto della sua perfettibilità. Tracciare il disegno generale del poema ariostesco significa seguire il continuo intersecarsi di inseguimenti, incontri casuali, fortuiti disguidi, smarrimenti, improvvise interruzioni e dislocazioni. Nel complesso le ottave si muovono, per dirla con Italo Calvino, attraverso un movimento errante, all’interno di un complesso labirinto, di cui solo il costruttore conserva la mappa. Secondo Borges, si tratta però di un 'labirinto felice', anche se quella felicità è separata dalla follia da un sottile filo rosso, che dissolve le coordinate di spazio e di tempo e crea un’atmosfera di astrazione fantastica. La eudemonia, cui accenna Borges, non la si trova nei personaggi, ma è un privilegio che spetta al loro autore. Il poeta-burattinaio si colloca al di sopra della pazzia umana eosserva gli attori dall’alto della sua ironica comprensione, facendoli dimenare forsennatamente in una dimensione onirica priva di un centro e di un riferimento. La delusione dell’attesa è il tema ricorrente, ma la ricerca dei personaggi non approda a nullaenon li avvia ad un processo d’iniziazione e di maturazione: insegue ciascuno un sogno che lo tiene prigioniero nel labirinto della sua esistenza, instabile e manchevole di un ubiconsistam. Il labirinto ariostesco porta sempre al punto di partenza, come accade ai cavalieri che per un loro motivo personale finiscono con l’essere trattenuti nel castello del mago Atlante. Il palazzo costruito dal mago è il simbolo artisticamente più riuscito della fantasia ariostesca, in cui l’ossessiva e vana ricerca dei personaggi traduce il triste paradigma delle incongruenze e dell’irrazionalità della vita. Tutto è vano, tutto è illusorio:Vanitas vanitatum et omnia vanitas, come si legge nel libro biblico dell’Ecclesiaste, la cui lettura il poeta avrà di certo ricordato,quando si immergeva nel suo mondo di evanescenze e di inganni, irridendo le sue stesse creature, forte della lezione oraziana del ne quid nimis.Il castello del mago Atlante è la raffigurazionedello sgretolamento dell’homofaber rinascimentale, della sua dignitas, e contestualmente accenna alla crisi del razionalismo e dell’uomo misura di tutte le cose.L’Orlando furioso è il poema del cosmo strutturale e del caos esistenziale, il canto del cigno della civiltà rinascimentale, che s’era tenuta lontana dal Castello del mago Atlante, dove l’irreale è scambiato per reale, ogni cosa è priva di contorni ben definiti e i fantasmi dei propri desideri sottopongono l’infelice inseguitore alle pene di Tantalo.L’Ariosto costruisce, come ha sottolineato Italo Calvino, 'un universo a sé in cui si può viaggiare in lungo e in largo, entrare, uscire, perdersi'. Il tema del labirinto riemerge in un altro passo del poema nella descrizione dell’isola di Alcina. Il labirinto ha questa volta una funzione positiva, in quantosegna un momento essenziale del percorso di formazione di Ruggero. Nell’isola incantata della maga, Ruggero si trova a scegliere tra la via dei piaceri, suasiva e agevole e quella del la virtù, aspra e irta di ostacoli. Alcina è l’allegoria del vizio, Logistilla, sorella di Alcina, rappresenta allegoricamente la ragione che guida alla virtù. L’eroe, conquistato dalle apparenze ingannevoli, sceglie la via dei piaceri e non riesce a cogliere il carattere illusorio e falso di tutto ciò che l’isola gli offre, dalla lussureggiante vegetazione alla stessa bellezza allettatrice della maga, in realtà vecchia e laida, come gli apparirà sotto l’influsso dell’anello magico di Melissa. Ma questo traviamento dalla giusta via è necessario alla ricostruzione etica della sua personalità, e la sua palingenesi è la cifra del motivo encomiastico: l’Ariosto destina Ruggeroa sposare Bradamante e ne fa il capostipite della casa estense.Il romanzo di Ruggero procede in direzione opposta a quella di Orlando. Il primo subisce un processo di maturazione attraverso il superamento degli ostacoli, al contrario l’eroe dellachanson de geste non è più il grande paladino innamorato della bella Angelica, ma un essere umano con pregi e difetti, che da saggio qual era è diventato pazzo furioso di gelosia.Il labirinto creato da Alcina è l’espressione dell’edonismo tipico della civiltà cortigiana del ‘500, che si compiace delle delizie della vita e anela ad una dimensione serena, armoniosa e piacevole del vivere quotidiano. Accanto al vagheggiamento dell’idillio umanistico, cantato dal Poliziano nelle sue Stanze, il poeta si serve di Ruggero per indicare una prospettiva etica nell’aurea mediocritas.Il labirinto fino al Rinascimento, per citare Borges, 'era una strutturain cui si arrivava sempre al centro; dopo il Rinascimento, col manierismo, invece, il labirinto diventa il luogo della perdita, quindi esiste un labirinto che è più vicino alla nostra sensibilità e che comincia col manierismo e col barocco' (Achille Bonito Oliva, Prefazione in forma di dialogo sul labirinto dell’arte con Jorge Luis Borges, in Enciclopedia della parola, Skira, 2008).L’Ariosto, figlio legittimo del Rinascimento, non si illude, come molti umanisti, che l’uomo nella sua perfettibilità possa essereesente da errore. Da qui le sue drammatiche perplessità, che nel suo poema si traducono in una velata analisi della politica e sociale che stava per sconvolgere la stessa weltanschauung rinascimentale. Se il Segretario fiorentino era ancora convinto che il principe poteva dominare i capricci della fortuna con la sua virtù, il cantore del Furioso disegna un mondo intricato e labirintico, che pare procedere all’infinito, con continui rinvii ed interruzioni. Il Tasso seguirà la strada della crisi, vivendola drammaticamente. Se l’Orlando furiosoè stato definito il poema dell’armonia per il suo ordinato policentrismo e per la giusta misura che conferisce ai temi, ai personaggi e ai sentimenti, la Gerusalemme liberata è il poema delle contraddizioni, della divisione, del conflitto sempre aperto.Si intrecciano e stridono intenti diversi, formali e morali: nella ricerca di una struttura unitaria costituita dall’assedio di Gerusalemme e della conquista del Santo Sepolcro, convivono il rispetto delle regole aristoteliche con il fine didascalico-pedagogico indicato nel Proemio. Tuttavia, la celebrazione della religione, che aleggia nel poema, non nasconde il vagheggiamento dell’idillio e la nostalgia dell’edonismo rinascimentale. Il labirinto del Tasso si sviluppa e si avvolge nella sua irrequieta coscienza; il poeta si sente chiuso come in una prigione, nella quale non trova le ali per uscirne. Se il poema si apre con la celebrazione dell’eroe cristiano, Goffredo di Buglione, 'che ‘l gran sepolcro liberò di Cristo', ciò non gli impedisce di guardare con simpatia umana anche ai pagani, di trattare con dignità il diverso da sé, in un rapporto conflittuale non risolto tra laicismo rinascimentale e codice controriformistico, tra una dimensione spaziale orizzontale, come quella del poema ariostesco e una dimensione verticale, che ricorda la Commedia di Dante. Il labirinto in cui si agita il Tasso è costituito dal suo tempo, che lo condiziona nella libertà fantastica e nell’espressione letteraria, tra gli scrupoli retorici e i severi canoni della Controriforma. Per rispettare l’unità di luogo, confina il centro dell’azione nella città assediata di Gerusalemme e nell’accampamento cristiano.Si tratta di uno spazio troppo limitato, dal quale il poeta sente il bisogno di evadere attraverso alcuni suoi personaggi, come Erminia, Tancredi e soprattutto Rinaldo. La parentesi idillica di Erminia, principessa pagana innamorata segretamente di Tancredi, inizia con la disperata fuga verso la selva, che ricorda la fuga di Angelica nell’Orlando furioso Sono comunque diverse le personalità delle due donne. Angelica è abile, mutevole, ingannatrice, quanto Erminia è timida e smarrita, in balia del caso e in perfetta sintonia con la personalità del suo autore. Ma è proprio il caso che la libera e l’allontana dal fragore della guerra e le fa gustare la dolcezza della vita semplice e umile dei pastori. La fuga di Erminia compromette l’unità dello spazio ma conferisce al poema una nota di sereno edonismo e di variazione tonale. In questo idillio pastorale l’animo tormentato del Tasso è come se si adagiasse nel sogno della mitica età dell’oro, vagheggiata nell’Aminta, e ne traesse conforto, avendo trovato il varco che lo guidava fuori del labirinto, lontano dagli intrighi della corte, oggetto di amore e odio.Se il locus amoenus del mondo pastorale segna una via di fuga dal labirinto esistenziale, il giardino di Armida, di contro, si trasforma per Rinaldo in un nuovo labirinto, in cui è irretito dalle seduzioni della maga Armida. Il labirinto e il giardino incantato tornano a rappresentare lo sconvolgimento interiore dell’uomo, deviato dalle passioni, incapace di scegliere come guida la ragione. Gli incantesimi della maga hanno creato attorno al giardino una serie intricata di logge, disposte tra oblique vie in un 'ravolgimento impenetrabile', simile agli intrecci architettonici delle incisioni del Piranesi.Anche qui, però, l’eco dell’idillio umanistico si fa sentire. Tutto ciò che di lussureggiante il giardino presenta ha i riflessi della nostalgica atmosfera edonistico-rinascimentale, che era statadel Poliziano, del Boiardo e dell’Ariosto. Manca, tuttavia, la corrispondenza tra la serenità dell’idillio e l’armoniosa visione della realtà nella quale si rifletteva l’animo dell’Ariosto. Nel Tasso, al contrario, le delizie della natura, lelascivette note degli uccelli, il canto del pappagallo, l’invito a cogliere la rosa mezzo aperta ancora e mezzo ascosa, nascondono pericolosi inganni, propri della morale pagana, del disordine morale, in cui l’individuo precipita quandoil corso della sua vita è determinato dalle bizzarrie del cavallo nero di platonica reminiscenza, che non ubbidisce più al freno dell’auriga.Se il labirinto nel Rinascimento aveva espunto i contenuti etico-religiosi, ereditati dalla cultura medioevale, e indicava all’uomo il percorso da seguire perriscoprire la sua dignità,attraverso la virtù, intesa come aretè , la Controriforma condiziona l’ansia di libertà del Tasso, che non riesce a scavalcare la cinta muraria del labirinto della sua coscienza. Più tardi sarà Pirandello ad indicare nella pazzia la via d’accesso alla libertà assoluta, senza maschere né infingimenti.Per concludere,vorrei citare una riflessione di Norberto Bobbio sul labirinto: L’etica del labirinto richiede che 'non ci si butti mai a capofitto sull’azione, che non si subisca passivamente la situazione, che si coordino le azioni, che si facciano scelte ragionate, che ci si propongano a titolo d’ipotesi mete intermedie, salvo a correggere l’itinerario durante il percorso, ad adattare i mezzi al fine, a riconoscere le vie sbagliate e ad abbandonarleuna volta riconosciute'.-Antonino Tobia
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