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I ragazzi del Belice: l'abbandono, l'adozione

Il prof. Riccardo Ascoli ha presentato il suo ultimo libro 'Ehi papà

Relatore: prof. Riccardo Ascoli - Urologo - Università di Palermo

 I  RAGAZZI  DEL  BELICE. L’abbandono, l’adozione.
di Riccardo Ascoli
I
Dirigevo una scuola di fotografia e mi fu offerto di fare un corso a Camporeale.
Fummo ospitati per una settimana nell’incompleto Istituto Don Bosco di Maria Saladino. Era marzo, dormivamo vestiti perché ancora non erano stati montati gli infissi. Fu proprio lì che io e Maria familiarizzammo, parlando tanto, da soli.
Maria Saladino, scomparsa qualche anno fa, pose da sempre la sua vita al servizio dei bambini abbandonati. Divenuta maestra si dedicò al catechismo per i fanciulli. Innamoratasi della figura di San Giovanni Bosco accarezzò l’idea di fondare la comunità per i 'bimbi senza sorriso'. Al diploma presentò uno studio sul metodo dell’educatore: ogni scippatore poteva diventare un grande lavoratore e un vero cristiano, perché ciò non poteva avverarsi a Camporeale? Si recò negli Stati Uniti per raccogliere i fondi per quello scopo. Costruì tre comunità per minori e altre strutture come il centro sociale, la biblioteca, il laboratorio di ceramica e il teatro che divennero centri vitali per tutto il paese.
II
Col rosario in mano stava più dal Giudice dei Minori che in chiesa. Entrava nei tuguri disgraziati e contrattava la cessione dei figli infelici arrivando pure a minacciare i genitori indegni. Fra Camporeale e Castelvetrano, ancora giovane maestra, aveva scoperto situazioni terrificanti. 'Devi prendere con te i miei tre bambini" le aveva detto una donna con una bruttissima cicatrice sulla gamba. "Mio marito teneva un grosso pezzo di pane sotto il cuscino', raccontava, 'Glielo rubai per darlo ai miei tre figli che avevano fame. Lui se ne accorse e mi tirò una bottiglia di vetro. I miei figli devi portarli via!', le raccomandava, 'Due maschi e una femminuccia, tutti violentati dal padre!' Maria raccontava queste cose e piangeva. Era però felice se ricordava i ragazzini che era andata a prendere con un pullman per portarli via, in Umbria, in un bellissimo posto messo benevolmente a disposizione. Lì poterono studiare, ma soprattutto mangiare, lavarsi e dormire in un letto.

Quando si cominciò a costruire la Palermo-Sciacca la mafia minacciò coloro che pensavano di poter lavorare senza il suo permesso. Ciro Sciortino era stato uno dei suoi ragazzi, un grande lavoratore. L'avevano avvicinato e gli avevano detto di non partecipare alla gara. Lui partecipò. Un giorno si presentarono due uomini e al figlio di Ciro seduto sul camion vicino al papà dissero 'Scendi che dobbiamo ammazzare tuo padre'. Il bambino scese e si nascose sotto il veicolo. E quelli ammazzarono Ciro.
III
Si può dire che i pesci d’acquario pratichino, nella vasca di vetro che li ospita, la fecondazione 'in vitro', una sorta di fecondazione che ai nostri occhi assume la caratteristica di una fecondazione 'artificiale'. La femmina emette i suoi gameti, il maschio ci spruzza sopra i suoi e così diventano un padre e una madre: il loro atto creativo è quello. Certo, il congiungimento fra un uomo e una donna è fortemente trascinante, ma non è solo un dono del paradiso se serve anche a provocare violenza, dolore, sopraffazione… E poi per le varie impotenze che stanno cogliendo gli uomini la fecondazione all’esterno del corpo può apparire indispensabile, come pure quella all’esterno della famiglia. Ma alcuni Stati vietano l’esecuzione della fecondazione 'eterologa', vale a dire con ovuli o seme di persone estranee alla coppia. E se qualche energumeno del sentimento s’infastidisce perché con la fecondazione eterologa uno dei tre, nella famiglia, non è geneticamente in linea, s’imbatte in una considerazione assai triste nell’ambito del sentimento e traballante sul piano dell’opportunità. Un esempio è quello di ser Piero, notaio di Vinci, che se non avesse voluto conservare il frutto geneticamente non in linea scaturito dalla sua unione con la schiava a lui donata non sarebbe apparso uno dei più grandi geni dell’umanità, vale a dire Leonardo.
E dei figli adottati, doppiamente estranei alla linea genetica perché nati da una fecondazione doppiamente eterologa, cosa si dovrebbe dire? Si abbia il coraggio di pensare alla propria ascendenza, la si valuti in base a quanto l’uomo si è sempre concesso in tema di procreazione e di affiliazione. Ognuno guardi il proprio albero genealogico e nutra qualche dubbio sul fatto che le caratteristiche genetiche si siano fedelmente propagate lungo quei nomi appesi l’uno all’altro. Ricerche prima statunitensi e poi europee hanno stabilito che dieci su cento sono i traditi seriali, vale a dire i mariti le cui mogli hanno avuto più figli con uomini ogni volta diversi.
IV
A nessuno sfugge che su ogni albero genealogico si siano potuti appendere frutti di un altro albero. Allora adottati o no viviamo, al riguardo, le stesse evenienze, e questo fa sì che si sia tutti uguali.
Nel libro Ehi papà!  la suora di Sambuca fa questa considerazione:
'Un figlio naturale esce da dentro i genitori e se ne porta appresso il sentimento, il legame, l’identità... Ma un bambino adottato, un bambino prima sconosciuto, un intruso nella linea di sangue dei nuovi genitori, che fa il percorso inverso perché non esce, ma entra dentro di loro attraverso l’affetto che dà e che riceve, è tanto più d’un figlio perché non costituisce l’esito di una unione carnale.  È diventato figlio con altri mezzi. Non la biologia quindi, ma la volontà, l’amore, la coscienza assemblano tali famiglie. Per le tenerezze che penetrano le une all’interno delle altre senza affinità genetiche, o abitudini familiari consolidate, il miracolo che appare è veramente grande.'
La quarta di copertina del libro sottolinea che il diritto di restare sconosciuta, concesso a una donna che abbandona il figlio appena nato, può arrivare qui da noi a durare moltissimo, fino a sconfinare nel sempre. E per garantire questo si deve per forza negare alla creatura lasciata sulla ruota il suo di diritto, quello di conoscere la propria storia e quindi la propria madre. Ciò porta a una diminuzione del ricorso all’aborto. Si sceglie così di avere più bambini vivi assieme però a più bambini orfani.
Nel testo c’è poi una presa di posizione per niente in accordo con quei sociologi che consigliano ai tanti figli rimasti con uno solo o senza nessuno dei genitori di non ritenerlo un evento ingiusto perché, in fin dei conti, tutto questo è sempre accaduto. Fanno infatti presente che il passato ricorda madri portate via dalla febbre da parto o dalla tubercolosi e padri periti durante una guerra. Perciò, sostengono alcuni, l’abitudine di restare con una sola o senza le figure parentali dovrebbe essere consolidata e quindi supinamente accettata.
 

Immagine riferita a: I ragazzi del Belice: l'abbandono, l'adozione

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Autore Prof-Greco

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Inserito il 01 Aprile 2014 nella categoria Relazioni svolte