Uno dei temi più scottanti della nostra storia patria consiste nella “quasi totale assenza (con le ovvie eccezioni ad esempio le cinque giornate di Milano) di consenso popolare attivo.
Relatore: Prof. Antonino Tobia
Paolo Mieli, importante saggista e opinionista italiano, sottolinea che il periodo 'a cavallo tra la fine del Settecento, la Rivoluzione francese, l’inizio dell’Ottocento e la stagione napoleonica, è quello in cui si posero le basi per il Risorgimento italiano'. Ma aggiunge che uno dei temi più scottanti della nostra storia patria consiste nella 'quasi totale assenza (con le ovvie eccezioni ad esempio le cinque giornate di Milano) di consenso popolare attivo … Tra il 1861 e il 1915 il popolo, anziché essere una riserva di consenso, costituì un problema per le élite liberali che fecero l’Italia'1].Ma qual è il significato di questa parola?Il consenso (1348) dal latino consensus – cum sentire implica la conformità di voleri, d’intenti e di giudizi. Nel linguaggio politico il consenso consiste nell’appoggio che un gruppo di persone offre a chi gestisce il potere o si fa promotore di un’impresa, di un cambiamento, di una rivoluzione.Esempio recente di consenso sono le elezioni del 25 settembre 2022 per ilrinnovo del Parlamento Italiano:Aventi diritto al voto: 50.869.304 - Hanno votato: 32.500.000 circa il 64% - Consenso per il Centro Destra; 44% del 64% circa = 14.324.000 Maggioranza utile per governare . Giorgia Meloni Primo ministro FDI : 26% = 8.450.000.-FI = 2.632.000. LEGA = 2.892.500 circa. [b]La mancanza di consenso popolare era già stato sperimentato nel 1799 con il fallimento della rivoluzione partenopea, allorché l’armata sanfedista, guidata dal cardinale Ruffo, sconfisse il giacobinismo napoleonico, anche perché era venuto meno il supporto delle armate francesi. In realtà, quella rivoluzione ideologica imposta con la forza fu concepita dal popolo come un’imposizione esterna e nemica, perché si sentiva violentato nella sua identità, convinto, per dirla con Vincenzo Cuoco, che 'il voler tutto riformare è lo stesso che voler tutto distruggere'. Se la storiografia di Sinistra sostiene che ' le insorgenze antifrancesi in Italia nel triennio giacobino'[/b][b][2]furono la conseguenza di un cattolicesimo reazionario, ostile ad ogni forma di Risorgimento e aizzate dalla crisi agraria di fine Settecento, con spirito meno polemico, nota Mieli, lo storico di scuola cattolica, Massimo Viglionesi pone ad esaminare il triennio giacobino e la reazione o insorgenze dellemasse popolari costrette a subire atti di violenza che sono vere e proprie angherie : 'vengono in Italia sistematicamente vuotati i conventi, violate le chiese, conculcata la religione, arrestati o costretti alla fuga i Papi, profanate reliquie e ostie consacrate e altro ancora '[/b][b][3].[/b][b]Della bufera antigiacobina si è interessato anche lo storico Roberto Salvadori, rilevando nel comportamento arrogante e vessatorio dei 'liberatori francesi' il rigetto delle nuove istanze rivoluzionarie:' Dovunque arrivassero requisivano fieno per i cavalli; sequestravano attrezzi, viveri, opere d’arte; esigevano contributi … uccidevano, saccheggiavano, stupravano, condannavano a morte… calpestando costumi tradizionali e sentimenti religiosiprofondamente radicati'[/b][b][4]. In Toscana i soldati francesi erano chiamati 'nuvoloni', dal loro esigere prepotentemente col detto 'nousvoulons…'.Nelle considerazioni di Viglione e di Salvadori si avverte l’eco delle riflessioni dello storico Vincenzo Cuoco, quando scriveva nel suo Saggio storico sulla rivoluzione partenopea : il popolo è il grande, il solo agente della rivoluzione e della controrivoluzione … ecco tutto il segreto delle rivoluzioni: conoscere ciò che il popolo vuole e farlo, egli allora vi seguirà …, arrestarsi tostochéil popolo più non vuole; egli allora vi abbandonerebbe (cap. XVII). Le masse popolari vanno istruite gradualmente, ma prima debbono essere comprese le loro esigenze, l’indirizzo che vogliono dare al loro cambiamento. Gli intellettuali sono necessari per far lievitare il pensiero che i popoli hanno in nuce, anche se incapaci di esprimerlo per mancanza delle necessarie premesse culturali e perché gli vengono conculcati i diritti alla libertà di parola. Da qui il fallimento dei moti liberali promossi dalla Carboneria e dalla Giovine Italia, che ebbero come sanguinoso epilogo la spedizione di Sapri del 1857, allorché Carlo Pisacane fallì nel suo intento di fare insorgere l’Italia meridionale e finì massacrato insieme ai suoi uomini dalla popolazione del luogo.[/b]La Carboneria sorse prima nell’Italia meridionale tra il 1807 e il 1812 durante il regno di Gioacchino Murat, al fine di acquistare una sua indipendenza dalla Massoneria, troppo condizionata dal potere napoleonico. Si diffuse dalla Calabria in Sicilia e successivamente nelle regioni dell’Italia centrale e settentrionale, entrando in contatto con le organizzazioni segrete di indirizzo giacobino, che si riconoscevano in Filippo Buonarroti, importante rivoluzionario europeo del primo Ottocento, di idee socialiste.La Carboneria si diffuse negli anni venti anche in Francia e in Spagna. Ma il fallimento delle rivoluzioni del 1820-21 e del 1831 ne segnò il declino e la sua rapida scomparsa. La Francia, specialmente dopo la rivoluzione di luglio (1830), che rovesciò il regime assolutistico di Carlo X, ultimo sovrano assolutista della dinastia dei Borbone, sostituito da Luigi Filippo d’Orleans, eletto re dai Francesi (1830-1848), ma anche la Gran Bretagna e il Belgio offrirono asilo ai tanti rivoluzionari sfuggiti alle persecuzioni.L’emigrazione favorirà l’ampliamento del dibattito politico tra gli esuli, ancora più motivati dalla speranza nella trasformazione dell’assetto politico del loro Paese.Le idee liberali e democratiche presenti nella Carboneria trovarono un orizzonte politico più ampio, una profondità di pensiero coerente e un programma d’azione meglio definito in Giuseppe Mazzini, che nel 1831 fondò a Marsiglia l’associazione patriottica Giovane Italia con l’obiettivo di pervenire all’unità nazionale, all’indipendenza dalla presenza straniera e alla costituzione di una repubblica democratica. A differenza delle sette segrete, la Giovane Italia rendeva pubblici i suoi obiettivi e i suoi programmi, anche se la struttura organizzativa restava ovviamente segreta.[b]Anche il nonno di Giovanni, Giovanni Verga Distefano, era stato carbonaro e deputato al Parlamento siciliano del 1812, come scrive il De Roberto in un suo articolo dal titolo Il maestro di Giovanni Verga.Nella famiglia di Giovanni si respirava aria liberale, e il padre, Giovanni Battista, discendente dei baroni di Fontanabianca, affidò l’educazione del figlio aun intellettuale di provincia,don Antonino Abate, autore di opere retoriche animate da spirito patriottico democratico e antitirannico. Accanto allo studio dei classici latini, della storia e della filosofia, impartito dal suo educatore, Giovanni trascorse la sua adolescenza appassionandosi alla lettura delle opere di Lord Byron. Walter Scott, Alessandro Manzoni, Dumas padre, Domenico Guerrazzi. Lo spirito storico patriottico di queste letture emergerà nei suoi primi romanzi. A sedici anni compose Amore e patria (1856), che gli fu sconsigliato di pubblicare da uno dei suoi maestri, don Mario Turrisi, che lo giudicava eccessivamente retorico.Successivamente vennero I Carbonari della montagna(1862) eSulle lagune (1863). Le opere risentono dell’alone romantico sentimentale che si respirava ancora in Italia, quando in Francia Flaubert aveva già fatto conoscere a puntate Madame Bovary, l’opera che demoliva i miti romantici della letteratura europea. Il primo romanzos’ispira ad un avvenimentodella guerra d’indipendenza americana tra azioni eroiche e vili tradimenti. Il protagonista è Edoardo Walter, soldato di George Washington, un giovane dai lineamenti e dai sentimenti romantici che ricordano Jacopo Ortis. A differenza della tragica fine dell’eroe foscoliano, il giovane capitano Edoardo riesce a coronare il suo sogno d’amore e a sposare la bella Eugenia.[/b][b][5][/b]Il giovane scrittore segue con passione le vicende della seconda guerra d’indipendenza e dopo la spedizione dei Mille si arruola volontario nel Corpo della Guardia nazionale istituitasi a Catania tra il 1861 e il 1862. Ma scarsamente incline alla vita militare, si dimise pagando la somma di tremila e cento lire per ottenere l’esonero. Sono gli anni in cui maturano i due romanzi storico-patriottici, NeI Carbonari della montagna il Vergaanalizza l’impegno della Carboneria calabrese nella lotta contro la politica dispotica e vessatoria del vicerèMurat. Nel terzo romanzoSulle laguneil giovane Verga ritorna al filone romantico-sentimentale e narra l’amore contrastato di un ufficiale austriaco per una ragazza veneta. Lo sfondo è la laguna veneta nel ‘61durante l’occupazione di Venezia da parte degli austriaci, la cui dominazione si concluderà nel 1866. Alla pubblicazione del terzo romanzo, segue la morte del padre. A Catania Verga partecipa ai salotti culturali, si dedica al giornalismo, è apprezzato per la sua vena letteraria. Desideroso di conoscere l’Italia in cui ha creduto, ma anche di ampliare i suoi orizzonti culturali,interrompe glistudi di giurisprudenza percompiere alcuni viaggi. Dal 1865 al 1872 soggiornerà a Firenze,negli anni in cui il capoluogo toscano è capitale del regno d’Italia, dal 3 febbraio 1865 al 3 febbraio 1871, e il 1865 si festeggia il centenario della nascita di Dante. Sono gli anni del cosiddetto tardo-romanticismo, alimentato dal sentimentalismo del Prati e dell’Aleardi, che segnano il lento estinguersi degli ardori e dei valori risorgimentali. A Firenze è presentato all’ambiente letterario dai conterranei Luigi Capuana e Mario Rapisardi, legato affettivamente al poeta Francesco Dall’Ongaro, massone di forte sentire patriottico, col quale Giovanni Verga intrecciò una sincera amicizia e dal quale fu indirizzato alla cultura positivisticarivolta allo studio dei casi umani. Il successo letterario nel clima intellettuale e mondano di Firenze al Verga non manca. Nel 1866 pubblica il romanzo Una peccatrice, cui segue nel 1871 Storia di una capinera. Entrambi i romanzi sono ambientati a Catania, ma risentono del clima letterario fiorentino per l’enfasi melodrammatica e il gusto del macabro. Luigi Russo definì Una peccatrice 'un museo degli orrori romantici', ma anche selo stesso Verga maturo definirà la sua opera 'un errore di gioventù', tuttavia il romanzo incontrava il gusto di un pubblico borghese. Tratta dell’amore travolgentedi Pietro, un intellettuale giovane catanese per la contessa Narcisa, che respinge le dichiarazioni amorose dell’artista sconosciuto, anche perché non è disposta a tradire il marito. Il giovane, prima respinto, conquista poi la donna con il suo talento letterario. Ma, quando Narcisa avverte che la passione di Pietro per lei va diradandosi, decide di togliersi la vita col veleno. Il tragico gesto di Narcisa spegne la vitalità e l’estro creativo di Pietro, la cui esistenza scivolerà nella mediocrità. La Storia di una capinera narra in forma epistolare la vicenda di una fanciulla siciliana costretta a rinunciare al suo amore e a soffrire la clausura del convento. Qui morirà consumandosi come una capinera in gabbia. Anche in questo romanzo non mancano i motivi macabri ed è vivo il ricordo della Geltrude manzoniana. Al Manzoni il Verga mandò una copia del libro, attendendo una sua valutazione che non arrivò mai. L’opera, apprezzata dalla critica, soprattutto da Dall’Ongaro, ebbe un largo successo presso i lettori. Già in questo romanzo si avverte l’accenno a quella offesa pietà per gli umili, che diventerà sempre più indagine psicologica e sociale.Per un ventennio, a partire dal 1872, il Verga vive a Milano, dove la sua arte intraprende la via che approderà al Verismo, attraverso l’esperienza realistico-scapigliata. L’ambiente milanese è quello di una civiltà industriale con i suoi miti positivi e negativi, tesa a rincorrere il progresso. A Milano, come lo scrittore scrive a lettere maiuscole nella Prefazione al suo romanzo Eva: ARRICCHIRE è l’unico scopo che ogni individuo si prefigge.Il soggiorno milanese, il contatto con l’ambiente scapigliato e i fermenti generati dal progresso economico e sociale della metropoli lombarda gli danno la misura della distanza tra il mondo arcaico della sua terra lontana e i nuovi orizzonti esistenziali ed etici della nuova Italia, in particolare quella delle regioni settentrionali. Il Verga non si lascia travolgere dalle nuove mode, ma rimane saldo banditore degli ideali e dei valori che ha ereditato dalla sua formazione giovanile, solo che l’Italia nata col Risorgimento comincia ad apparirgli sempre più un affare dei potentati politici ed economici.Si comprende meglio questa delusione politico-ideologica del Verga se consideriamo i romanzi Evadel 1873, Tigre reale ed Eros scritti tra il 1873 3 il 1875. Anche questi scritti sono dominati dal tema dell’amore e rientrano nell’atmosfera narrativa tardoromantica, da cui gli Scapigliati ambiscono ad uscire, ricorrendo ora ad un esasperato realismo, ora tentando di sprovincializzarsi, guardando ai modelli d’oltralpe, da Baudelaire a Edgar Allan Poe. Eros ha per sfondo l’ambiente mondano e aristocratico degli anni di un Romanticismo che si volge ormai alla decadenza. Il protagonista, il marchese Alberti, è un fallito che cerca nella passione erotica e nella ricerca dell’amore sensualela risposta alla sua irrequietudine esistenziale. Tradisce la moglie, che le rimane fedele fino alla morte. Inappagato e sconvolto da tale tragedia, non riesce a sopravvivere alla depressione e si toglie la vita. Il protagonista anticipa col suo modus vivendi,fatto di arte, raffinatezze e sesso, AndreaSperelli, che nel Piacere, scritto 15 anni più tardi dal D’annunzio, affermerà di voler fare della propria vita un’opera d’arte. Anche nel titolo i due romanzi si confrontano. Ma Il Verga non sta al marchese Alberti come D’annunzio ad Andrea Sperelli. Lo scrittore siciliano ha un atteggiamento critico rispetto alla vita dissoluta e senza alcun principio etico del suo personaggio.[b]Con Eros sta per concludersi questa fase della produzione tardo-romantica del Verga, che si avvia ad intraprendere una nuova strada. Lo prova la pubblicazione contemporanea ad Eros dei bozzetti Nedda e Padro ‘Ntoni. che preludono alla sua definitiva conversione al Verismo.[/b]Il Verga 'fu verista senza sapere di verismo', semmai , nota il Croce, il Verismo agì nell’animo del Verga come spinta liberatrice', valida a confermare e rafforzare ciò che già era nell’animo dello scrittore. Tre elementi, secondo Gaetano Trombatore, concorsero ad avviare il Verga verso il Verismo: l’aver preso coscienza della questione meridionale, in seguito alle inchiestee agli studi promossi dal Villari, da Jacini e da Giustino Fortunato; l’incontro con il Naturalismo che col canone dell’impersonalità gli insegnò che l’arte non deve essere pretesto di facile esibizionismo, ma di trasposizione della realtà: suntlacrimae rerum; l’esigenza artistica e morale di ritrarre la verità della vita umana e di rivolgersi perciò agli strati più umili della società, sulla scorta che i naturalisti francesi offrivano, da E. Zola a G. de Maupassant, ai fratelli Goncourt. Con la raccolta delle novelle Vita dei campi, pubblicata nel 1880, l’autore si dedica ad esplorarei meccanismi che regolano la vita degli umili, braccianti, pastori, pescatori, minatori, esclusi dal mondo sociale, ignari del momento storico in cui vivono. Segue il romanzoI Malavoglia, il cui nucleo narrativo era stato anticipato dal bozzetto Padron ‘Ntoni. Nel 1889 Verga pubblica il secondo romanzo del Ciclo dei vinti, Mastro don Gesualdo, preceduto dalle Novelle per un anno.Questa produzione decennale è dedicata alla rappresentazione di 'un’umanità inferiore', per dirla col Trombatore, che è posta in aperta polemica con 'l’umanità superiore'. L’impegno non è esplicito ma la pagina letteraria vale a denunciare l’ignoranza e la miseria, in cui erano costrette a vivere le plebi siciliane. Il Verga trae linfa dalla vita di quel quarto stato, che sarà immortalato qualche anno dopo dal pittore Giuseppe Pellizza da Volpedo nel suo famosissimo dipinto Il quarto stato, simbolo e manifesto della questione operaia vessata dagli sviluppi della seconda rivoluzione industriale, che si protrasse dalla metà dell’Ottocento fino ai primi decenni del XX secolo. Non va dimenticato però che il quarto stato siciliano si configura socialmente diverso dal quarto stato della classe operaia che sta emergendo nel triangolo industriale Torino-Milano-Genova. La rivoluzione industriale non appartiene al mondo degli umili verghiani, non li coinvolge, ma semmai li travolge, rendendo più aspra la loro precarietà esistenziale. I governi della nuova Italia lasciano il Meridione soffocato dal feudalesimo, non riconosce nuovi diritti, mentre impone gravi doveri come l’obbligo del servizio militare. 'Il sol dell’avvenir' è lontano dal sorgere e il progresso,come una violenta fiumana, trascina la vita di chi tenta di alleggerire il peso della loro lotta per la vita.. Il Verga non denuncia ma si limita a far parlare uomini, cose e situazioni.Il sogno romantico della libertà dei popoli e le lotte risorgimentali che avrebbero dovuto unire tutte le regioni in una nazione dalle Alpi alla Sicilia, assicurando pari diritti, svanisce già all’indomani dello sbarco in Sicilia di Garibaldi.Il disegno mazziniano di uno stato democratico, garante della partecipazione del popolo all’opera di governo è naufragato nel mare di sangue versato da tanti giovani martiri. Verga aveva creduto che l’azione dell’Eroe dei due Mondi avrebbe restituito la libertà ai siciliani con l’abolizione del regime feudale. Con tale stato d’animo il giovane Verga si arruola nella Guardia nazionale, allora istituita. Ma la soppressione delle rivolte popolari per l’abolizione del dazio sul macinato e la violenza repressione manu militariorganizzata da Nino Bixio,a seguito della reazione dei contadini del catanese, costellata di saccheggi, atti vandalici e delitti, spense definitivamente il giovanile ardore risorgimentale. Nella novella La libertà, che fa parte della raccolta Novelle rusticane, pubblicate nel 1883, due anni dopo il romanzo I Malavoglia, lo scrittore rievoca questa brutta pagina dell’impresa garibaldina, scritta a Bronte. Si tratta di una pagina chesegna lo sconforto definitivo del Verga sulla possibilità di veder nascere un mondo nuovo. Era da poco sbarcato a Marsala il generale Garibaldi, accolto come un liberatore sceso dal cielo, quando lo stesso fu costretto ad infliggere ai siciliani lo scotto del suo sbarco fortunato e della sua impresa abbondantemente finanziata dalle sterline inglesi. Il generale garibaldino, Nino Bixio, interessato a proteggere soprattuttola Ducea di Bronte, che apparteneva agli eredi dell’ammiraglio Nelson,con grande tempestività e approfittando della disorganizzazione dei rivoltosi, represse ogni forma di violenza insieme con le speranze che avevano animato gli insorti. Tanti pagarono con la condanna a morte e anni di carcere ogni sogno di libertà e di giustizia sociale. Le terre occupate furono restituite ai signori. Contadini e braccianti tornarono a lavorare i campi dei gentiluomini come prima. La rivolta, iniziata al grido di 'Viva la libertà' si chiude amaramente con le parole del carbonaio processato con le manette ai polsi: 'Se avevano detto che c’era la libertà'. Il Risorgimento soffoca l’azione popolare, perde l’empito rivoluzionario e mazziniano per sempre.Già nella novella Fantasticheria, scritta prima del 1878, inserita nella raccolta Vita dei campi del 1880, questa amara delusione storicaveniva stigmatizzata con la metafora dell’ideale dell’ostrica: quanti appartengono alla classe sociale dei deboli sono necessariamente costretti a rimanere attaccati alle loro tradizioni, legati ai valori della famiglia, al lavoro, alla loro casa, per evitare che il mondo come un 'pesce vorace', li divori. Come l’ostrica, anche questa povera gente deve tenacemente legarsi allo scoglio sul quale la fortunaha lasciato cadere ciascuno. La casa, la famiglia, le tradizioni, l’onestà, il sacrificio sono i valori che sostengono gli umili nelle avversità. Ma si tratta di valori che il Verga ama custodire per contrapporli ai disvalori della società aristocratica e borghese delle città del Nord, dove egli ha trascorso molti anni. Intorno all’ideale dell’ostrica si muovono i personaggi de I Malavoglia. Il tema centrale del romanzo è costituito dalla Casa del nespolo dove vive la famiglia Toscano, Malavoglia per i paesani. Qui, abbarbicati alle loro tradizioni, uniti dalla 'religione della famiglia', stretti fra di loro 'per resistere alle tempeste della vita', tutti i protagonisti trovano il loro unico centro morale ed economico, che quasi una muraglia li separa e li protegge dal mondo esterno.Così il giovane Verga che aveva scritto di Amore e patria, che aveva ereditato dalla sua famiglia le speranze di un autentico Risorgimento, con i suoi ideali di libertà, uguaglianza e fratellanza, si trincera in un pessimismo che non conosce né luce di speranza né di redenzione. Tutta la narrazione del primo romanzo del Ciclo dei vinti è ambientato ad Aci Trezza alla fine dell’Ottocento. Al contrario, Mastro don Gesualdo, il secondo romanzo del Ciclo,è ambientato in epoca risorgimentale, prima dello sbarco di Garibaldi a Marsala e antecedente i fatti di Bronte, che si conclusero con la giustizia sommaria applicata da Nino Bixio ai contadini rivoltosi.Ci si chiede come mai il Verga abbia deciso di anteporre la narrazione de I Malavoglia, i cui fatti si svolgono dopo l’unità d’Italia, mentre per Mastro don Gesualdo sceglie il periodo storico che precede l’unificazione. La risposta la possiamo trovare nel bisogno che lo scrittore avverte di analizzare le premesse che portarono al disfacimento prima dello Stato Borbonico e successivamente alla 'bancarotta del Risorgimento', come scriverà successivamente Luigi Pirandello in I vecchi e i giovani. Verga con Mastro don Gesualdo torna indietro con la sua analisi storica, esociale. Si sofferma ad analizzare i meccanismi dell’economia, dello sfruttamento dei ricchi e della miseria della plebe siciliana. Pur essendo vissuto tanti anni nel Nord a contatto con lo sviluppo industriale che dall’Inghilterra stava estendendosi anche alle regioni settentrionali dell’Italia, non trae ispirazione dallo sfruttamento delle classi operaie, costrette a vivere in condizioni disumane all’interno delle fabbriche, ma guarda alla sua gente del Sud, contadini, pescatori, braccianti, che considera certamente dei 'vinti', ma forse meno disgraziati di quei contadini delle regioni settentrionali che hanno tradito i valori della loro tradizione e si sono trasformati in operai, abbandonando i loro campi, lasciando la loro vita all’aria aperta, disgregando le loro famiglie per lavorare come schiavi chiusi in infernali luoghi di lavoro. Operai del Nord e le misere genti del Sud si trovavano, pertanto, uniti nel giogo che i padroni avevano posto sul loro collo, senza speranza di un futuro migliore. Marx aveva creduto nella dialettica storica e nella rivoluzione del proletariato industriale. Si era sbagliato e la rivoluzione proletaria esploderà nelle terre della lontana Russia, lontana dal progresso industriale, ma popolata di milioni di servi della gleba. Con Mastro don Gesualdo il Verga denuncia un’altra verità che la storia ci insegna: saranno sempre i più furbi, i più maneggioni, i senza scrupoli ad inserirsi nell’alveo dello sviluppo e a trarre nuovi vantaggi da ogni cambiamento.Mastro don Gesualdo incarna lo spirito dell’imprenditore moderno. È un uomo spregiudicato in ambito economico, ma anche lui un 'vinto', eternamente solo nella sua titanica lotta per accaparrarsi la 'roba'. Né la ricchezza accumulata, né il matrimonio con una nobile decaduta riusciranno a cancellargli l’appellativo di 'mastro' che precede il 'don' che si è meritato con tanto sudore e sangue. Gesualdo non ha idealiné affetti, tranne quelli naturali che prova per la sua serva-amante Diodata, Però ha buon fiuto e pur nella sua ignoranza avverte nell’aria il cambiamento che da lì a poco sconvolgerà il suo mondo e perciò decide di non trovarsi escluso. Partecipa quindi ad una congiura carbonara, perché intuisce che gli era necessario indossare la maschera del rivoluzionario se voleva difendere e mantenere i propri interessi.'Tutto deve cambiare perché tutto resti come prima', sarà la frase che Tomasi di Lampedusa farà pronunciare al giovane nipote del principe di Salina, protagonista del Gattopardo.Il nobile Tancredi Falconeri sposerà Angelica, plebea, ma ricca della dote che suo padre, Mastro don Gesualdo, potrà donarle.[b]Commenta il saggista Tano Gullo: 'Come capita a tanti, lo scrittore nasce incendiario e muore (nel 1922) pompiere; anche se mantiene sempre vivi certi slanci sociali che avevano determinato quella giovanile scelta di campo liberale e risorgimentale' [/b][b][6].[/b]Politicamente però Verga non fu mai un incendiario, al di là dei giovanili ardori risorgimentali. Infatti, non aderì alla nuova ideologia progressista, cui si ispirava il partito socialista, fondato a Genova nel 1892, a tutela e in rappresentanza dei lavoratori italiani. Il linguaggio degli agitatori politici, come Carlo Cafiero, Enrico Malatesta, Andrea Costaera dettato dalle condizione del proletariato industriale del Nord, lontano dalle esigenze dei diseredati del Sud e della Sicilia in particolare.[b]Sebbene la produzione verista facesse supporre che lo scrittore nutriva una certa simpatia per l’ideologia socialista che stava organizzando il movimento dei lavoratori, fino alla costituzione del primo partito di massa, il partito socialista, fondato a Genova nel mese di agosto del 1892, tuttavia, ritornato definitivamente nella sua Catania, il Verga interruppe il ciclo dei vinti ai primi capitoli del terzo romanzo. La duchessa di Lejra. Si possono avanzare solo delle ipotesi su tale scelta.Forse lo scrittoresi era ricreduto anche sulla sua tesi circa l’ideale dell’ostrica, che poneva nella medesima categoria di 'vinti' gli umili, i borghesi e gli aristocratici? O forse non gliera possibile trattare la materia degli altri romanzi che dovevano completare il ciclo dei vinti conservando il metodo dell’impersonalità, visto che i protagonisti sarebbero appartenuti alla medesima classe sociale della sua famiglia? O forse perché nello stesso anno in cui pubblicava Mastro don Gesualdo incontrava grande successo tra i lettori Il Piacere di D’Annunzio, che segnava la conclusione della stagione verista?[/b][b]'Da uno scrittore così ricco di offesa pietà per gli umili e per gli oppressi, così animato da sordo rancore per i prepotenti, da commiserante disprezzo per il mondo fattizio degli uomini e delle donne di lusso, ci si sarebbe aspettato – commenta Gaetano Trombatore, – veramente un approfondimento delle sue preferenze sentimentali e delle sue convenzioni morali, una loro chiarificazione e certificazione in una sia pur rudimentale ideologia sociale' [/b][b][7].L’assenza di una ideologia impedisce al Verga di esprimere una chiara visione della vita. Gli umili del Manzoni erano oppressi dall’ingiustizia come i vinti verghiani. Con la differenza che la Provvidenza, protagonista del capolavoro manzoniano, regge le sorti della storia e concede ad ognuno, in qualsiasi condizione sociale si trovi, di sperare nell’avvenire, aiutato dalla fede e la stessa sofferenza è per lo sconfitto sempre un valore che potrà spendere nella conquista del premio eterno.I perdenti manzoniani non sono mai vinti. Verga, con la sua concezione meccanicistica del progresso, condanna tutti gli individui alla medesima sconfitta.I vincitori di oggi sono destinati ad essere travolti anch’essi dal destino che li vuole vinti domani. L’indignazione, la protesta, la ribellione che affiorano nella narrazione dei fatti non vanno oltre il suo animo offeso, non inducono il Verga disilluso dalla conclusione del Risorgimento, a prendere una posizione, che sia un sostegno ideologico.Preferisce, invece, chiudersi in un disarmante pessimismo. È il pessimismo di chi ha visto fallire i sogni giovanili, è il pessimismo di chi ha conosciuto i diversi ambienti sociali con i loro pregi e difetti, è il pessimismo di chi non crede nell’uomo: povero essere in balia degli avvenimenti che lo travolgono, destinato a vivere dove la natura lo ha posto, come l’ostrica attaccata allo scoglio che non ha scelto.[/b][b]Dal tuo al mio, testo teatrale composto dal Verga nel 1903 e diventato romanzo nel 1906, rappresenta la sintesi della sua immutabile e grigia visione esistenziale. Il mondo è dominato dal denaro, dalla roba, dall’immane sforzo a cambiare stato sociale, credendo che la roba lo renda felice, mentre è destinato alla sconfitta e a lasciare in una fine solitaria ogni cosa che ha conquistato. Mastro don Gesualdo è ricchissimo, ma infelice, invidiato e odiato da chi lo aveva conosciuto e disprezzato come un povero 'mastro'. Ma sarà felice Luciano che difende la roba del padrone una volta diventata anche sua ?La vicenda di Luciano è ambientata in Sicilia al tempo della costituzione dei Fasci, il movimento, nato a Catania il 1° maggio 1891. Sotto la guida di Giuseppe De Felice Giuffrida, il proletariato urbano, i braccianti agricoli, gli operai delle zolfatare erano scesi in sciopero per chiedere la fine del regime feudale, l’abolizione delle gabelle, una riforma fiscale, la redistribuzione delle terre e un salario che non fosse solo sfruttamento indecoroso. In questo clima di rivolta, Lisa, la figlia del padrone di una zolfatara, il barone Navarra, s’innamora di un operaio, Luciano, attento a controllare il lavoro della zolfatara. Il padre non accetta il comportamento della figlia e la caccia di casa. Scoppia la rivolta e i riottosi si recano alla casa del barone. A questo punto, Luciano, ambasciatore dei minatori in rivolta, divenuto genero non bene accolto dal barone, si pone a difesa della famiglia della sua Lia, ormai anch’egli facendone parte. Riesce ad arrestare la fiumana della rivolta, finché non giungono le forze armate a disperdere i rivoltosi, con un sospiro di sollievo dei padroni e di Luciano che ha fatto il salto di classe. ' Gli squilli di tromba della forza pubblica, accorrente a difesadei coalizzati interessi padronali – conclude Trombatore - dovevano essere la barriera oltre la quale l’arte del Verga non poteva procedere'[/b][b][8].Ma [/b]la conquista di Luciano è essa stessa figlia del tradimento di classe. 'Proletari di tutto il mondo, unitevi' è una voxclamans in deserto. L’egoismo dei singoli prevale sull’altruismo come l’egoismo delle nazioni incontra enormi difficoltà al raggiungimento di un mondo di pace.L’egoismo e l’individualismo appartengono al DNA della borghesia, nata per sostituire l’aristocrazia, rilevandone i privilegi. Non ha creduto il Verga che la borghesia, producendo ricchezza, possa facilitare l’ascesa sociale anche delle classi inferiori. Il Verga nega che lo sviluppo dell’economia potesse rappresentare un fattore di progresso e di lotta contro il feudalesimo, il latifondismo e il pre-capitalismo che per decenni ancora hanno rese stagnanti le condizioni delle regioni del Meridione d’Italia. Anche questo atteggiamento antiborghese è strano per uno scrittore decisamente conservatore e, diremmo, di destra.Il Verga scrittore era approdato ad un pessimismo storico, senza vie d’uscita.. Come ebbe a notare Asor Rosa, ' quel che affascina lo scrittore non è la sofferenza dei ceti subalterni, considerati come aventi leggi e manifestazioni proprie, bensì la ciclica inesorabile riconferma di una legge comune a tutti i ceti, a tutti gli uomini, a tutte le creature viventi '.Nel 1912 il Verga aderì all’Associazione nazionalista Italiana, sorta a Firenze nel dicembre 1910, fondato da Enrico Corradini. Vi aderirono intellettuali come Gabriele D’Annunzio e giuristi come Alfredo Rocco e militari come Costanzo Ciano. Refrattario ad ogni visione democratica della storia d’Italia, rimase fermo nella sua fede monarchica, contrario ad ogni forma di regionalismo, incapace di comprendere la dialettica dei partiti, essenziale alla democrazia.Nel 1920 viene nominato senatore del regno.Muore a Catania il 27 gennaio 1922 per paralisi celebrale. ---------------Trapani, 27.X.2022 - prof. Antonino Tobia--------] P. Mieli, Storia e politica Risorgimento Fascismo e Comunismo, Rizzoli, Milano, 2001 pp. 103-104 - [2] Titolo del volume scritto da autori vari del 1992, Ares, MILANO 1992-[3] P. Mieli, op. cit. p. 98 - [4] R. G. Salvadori, Gli ebrei italiani nella bufera antigiacobina, La Giuntina, Firenze 1999 -[5] Il manoscritto purtroppo si è smarrito e non vi è traccia tra le carte verghiane del Fondo catalogato nella biblioteca dell’Università di Catania, venduto alla Regione Siciliana dagli eredi legittimi del Verga nel 1978 per 85 milioni di lire. Del romanzo che segna l’esordio letterari di Giovanni Verga restano in tutto 46 righe in tre frammenti pubblicati da Federico De Roberto, amico devoto di Verga, e da Lina Perrone[5]. Questa studiosa insieme col marito Vito, due studiosi di Barcellona Pozzo di Gotto, era venuta in possesso nel 1928 dell’ ampio archivio di documenti autografi appartenenti al Verga e lo aveva tenuto per circa ottant’anni senza averne diritto, finché la magistratura non ne riconobbe i legittimi proprietari negli eredi dello scrittore. Nel luglio del 2013 i carabinieri hanno sequestrato nell’abitazione di una delle eredi dei Perrone 36 manoscritti appartenenti al vecchio archivio che stavano per essere venduti per circa quattro milioni di euro ad una casa d’aste. I 36 manoscritti sono andati a completare il Fondo verghiano dell’Ateneo catanese.-[6] Tano Gullo, L’esordio di Verga nel romanzo scomparso' in Repubblica 14 gennaio 2007][7] G. Trombatore, Verga e la libertà in Riflessi letterari del Risorgimento in Sicilia, Manfredi Palermo,1960, p.61-8] G. Trombatore, ibidem
Inserito il 31 Ottobre 2022 nella categoria Relazioni svolte
social bookmarking