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Gesù e il suo tempo

Il dott. Antonio Bica, studioso di cultura orientale, ha illustrato la figura del Messia svolgendo il tema 'Gesù di Nazaret: la vicenda umana e l'enigma storico'

Relatore: Dott. Antonio Bica

Immagine riferita a: Gesù e il suo tempoChi era l’uomo che 2000 anni fa in Palestina parlava alle folle e guariva gli ammalati? Anche se non sapremo mai nulla del suo aspetto fisico o della sua voce, cercheremo di individuare il personaggio nella sua storicità. Gesù fu ebreo, legato indissolubilmente al suo mondo e alla Legge di Mosè. Abramo è il primo personaggio biblico ad essere definito 'ebreo'; emigra da Ur in Caldea, nella Mesopotamia meridionale, verso la terra di Canaan per motivi politici e qui riceve da Dio la promessa che dalla sua stirpe sarebbe nato il messia. Si recherà in Egitto e poi farà ritorno a Betel, in Palestina, ad abbracciare il suo Dio. Le peregrinazioni di Abramo, il suo inquieto girovagare, indicherebbero il viaggio dell’uomo dal politeismo alla conoscenza di sé e quindi di Dio. Una prima considerazione da fare è che la nostra cultura e noi stessi siamo una filiazione della Rivoluzione Francese, delle spinte razionalistiche e del pensiero liberale del 18° secolo. L’origine dello Staro Liberale inteso come una forma di Stato cui sta a cuore la tutela delle libertà e dei diritti inviolabili dei cittadini attraverso una Carta Costituzionale risale proprio alla Rivoluzione Francese. Lo Stato Liberale è intrinsecamente laico, in virtù della separazione delle sfere di influenza tra potere pubblico e forme di religione organizzata; "Libera Chiesa in Libero Stato" fu un celebre motto attribuito a Cavour, non a caso annoverato tra i principali ispiratori del liberalismo. E’ una conquista tutta occidentale la separazione fra affari di Stato e affari di Chiesa. Insomma è come se Dio fosse il capo dello Stato. Così era anche nella Palestina dei tempi di Gesù. Nell’escatologia della Palestina di Gesù c’era l’attesa del messia che doveva liberare Israele dal dominio straniero; nell’escatologia di oggi c’è la speranza di avere uno stato, una terra. E’ come se nulla sia cambiato.  Le lingue che si parlavano al tempo di Gesù erano l’ebraico, usato dalla classe dotta e dalla casta sacerdotale e che cadrà in disuso nel 6° secolo durante il periodo dell’esilio babilonese e verrà rimpiazzato dall’aramaico; il greco, per via degli scambi commerciali con la Grecia, era diffuso fra gli ebrei della diaspora; l’aramaico, che era la lingua parlata dal popolo e anche da Gesù; il latino, infine, era la lingua ufficiale dell’amministrazione statale romana. Il contesto storico e sociale della Palestina di Gesù era caratterizzato dalla presenza dei Sadducei, una casta sacerdotale chiusa, osservanti rigorosi della Torah, cristallizzati nelle loro posizioni e senza spinte di rinnovamento; oggi potremmo definirli la destra conservatrice. Poi c’erano i Farisei, che erano degli oppositori, dissidenti, dall’ebraico 'Parushim'. Erano agricoltori, contadini, appartenenti alla 'classe media'. Erano osservanti pignoli delle regole cultuali, delle norme di purità, e si ammantavano di un falso formalismo. Tradizionalmente sarà l’unico gruppo  ebraico con cui Gesù manterrà un dialogo. Gli Esseni erano il terzo partito religioso ed avevano una visione estremo-radicale del culto puro; si dedicavano all’ascesi, alla vita comunitaria, alla rigida osservanza delle regole. Gli Zeloti costituivano la quarta scuola filosofica, erano jihadisti, fautori della guerriglia armata contro Roma. Cresceva la pressione politica di Roma nei confronti del popolo ebraico e veniva esercitata con la dinastia Erodiana; Erode, figlio di madre ebrea, era appoggiato dal clero di Gerusalemme ma non dal popolo. Gli ebrei erano presi da una sorta di crisi della loro identità nazionale, culturale e religiosa, crisi del rapporto col Dio del Vecchio Testamento, che non era ancora riuscito a liberarli dall’invasore. Se le cose andavano male, se la nazione era in crisi, la colpa è di Dio, è Lui il capo dello Stato, a Lui spettano le decisioni estreme, sempre a patto che il popolo fosse rimasto fedele alla Legge del Vecchio Testamento. In questa condizione di assenza di libertà e di instabilità politica, si alimentano fra la gente le prospettive messianiche ed escatologiche. Gesù è atteso come il messia liberatore, il rivoluzionario discendente dalla famiglia di Davide, colui che sceglierà Gerusalemme come luogo dove scontrarsi con le forze politiche ostili, il potere sacerdotale, il clero conservatore, il potere di Roma. E per entrare in città sceglierà il periodo pasquale, profondamente legato per gli ebrei alla tematica della libertà. Non il nord, dunque, verrà scelto per la sfida finale, non la Galilea, ma il sud, Gerusalemme, perché è la Giudea la vera roccaforte del fondamento israelitico. Ed è qui che Gesù trascorre la sua ultima settimana. I Sinedriti, per farlo condannare a morte dal governatore di Roma, Pilato, troveranno un’accusa punibile con la pena di morte secondo le leggi di Roma. I processi si svolgeranno rispettivamente davanti al Sinedrio e davanti al Prefetto Pilato, il secondo interrotto dall’esame di Erode Antipa. Il fatto che Giuda e i suoi siano stati mandati a compiere l’arresto dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani, vale a dire da tutte e tre le componenti dell’autorità, induce a ritenere che l’arresto fosse legale. Anche la mancata reazione di Gesù conferma la legalità dell’arresto. Il diritto giudaico non prevedeva l’istituto della custodia preventiva e gli arrestati erano immediatamente processati. Il processo ebraico non comprende inoltre una fase istruttoria precedente al dibattimento. Non vi è un pubblico accusatore, e le funzioni accusatoria e giudicante sono riunite nella persona dei giudici. Apparentemente sembra che tutto il processo sia nelle mani di Pilato, uomo giusto che fino all’ultimo cerca di salvare il prigioniero. Giuseppe Flavio racconta che Pilato era stato responsabile di gravi incidenti col popolo: utilizzo di denaro sacro per la costruzione di un acquedotto; strage di samaritani durante una cerimonia religiosa sul monte Garizim, montagna sacra per loro. Pilato sarà richiamato a Roma davanti a Tiberio per rendere spiegazione del suo comportamento e della sua ferocia. Il profilo psicologico-criminale di Pilato non è affatto rassicurante. Eppure nei vangeli egli viene dipinto come un personaggio che si pone dei dubbi prima di condannare il prigioniero, è uno che tentenna, che non trova in Gesù colpa alcuna. La stesura dei vangeli avviene in un periodo storico in cui è Roma la padrona incontrastata della Giudea, e per questo bisogna attribuire tutta la colpa per la morte di Gesù al popolo ebraico. Paradossalmente in quella frase del vangelo di Matteo 'il suo sangue ricada su di noi e sulla nostre stirpe', è come se vi fosse una giustificazione scritturale dell’antisemitismo storico. Insomma se la responsabilità etica è degli ebrei, la responsabilità politica e giuridica è di Pilato ed appartiene a Roma. Secondo le usanze ebraiche, dopo avere deposto il defunto nella tomba, si vegliava per 3 giorni per vedere se la morte era definitiva. La morte vera, secondo le credenze semitiche, iniziava dopo il terzo giorno trascorso nel sepolcro. Dopo un anno si riesumavano le ossa per deporle in ossari dopo unzione con olio e vino. Gli ossari, all’interno di caverne, erano segnalati con tinte di calce per evitare che qualcuno, entrandovi, divenisse impuro al contatto. A tal proposito ricordiamo l’invettiva di Mt. 23,27 ‘Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno sono belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume’. Quando Giovanni entrerà nella tomba, vedrà qualcosa che è indimostrabile scientificamente e che va contro ogni principio della fisica e della chimica. Vedrà il sudario per terra, con le bende afflosciate, ripiegato come se ancora cingesse l’ovale di un volto che non c’era più; allo stesso modo il corpo sembrava essersi smaterializzato. Il possibile furto del cadavere era escluso, perché i lini erano lì, per terra, e non avrebbe avuto senso denudare il cadavere prima del trafugamento. Il rinvenimento di un uomo creduto morto e deposto ancora vivo era escluso perché il lenzuolo sarebbe stato scomposto come quando ci si alza dal letto dopo svegli al mattino. La scena finale è quella di un corpo uscito dalle bende senza scomporle, come se si fosse volatilizzato. I discepoli sosterranno la tesi della resurrezione, gli ebrei, in seguito, quella del furto del cadavere per costruire un mito e rendere ancora reale la speranza di un messia liberatore per il popolo oppresso, piuttosto che la figura deludente di un pio rabbino nazareno morto in croce inutilmente, senza che si avverassero le profezie dell’Antico Testamento. Alcuni studiosi opineranno che se gli ebrei avessero creduto in un messia morto e risorto, la loro nazione non sarebbe stata distrutta dai romani, poiché non vi sarebbe più stata quella irriducibile opposizione politica e nazionale tra ebraismo e romanità, tra oppressi e oppressori. Gli ebrei avrebbero potuto salvarsi dalla colpa di aver ucciso il loro messia, pentendosi di averne desiderato uno di tipo politico e militare.  Antonio Bica
     Immagine riferita a: Gesù e il suo tempo   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Autore Prof-Greco

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Inserito il 12 Dicembre 2011 nella categoria Relazioni svolte