L'incidenza della progettazione federalista nlla costruzione dell'Unità d'Italia
Relatore: Dott. Rodolfo Gargano
La costruzione dell’unità d’Italia, quale fu portata a compimento dal Risorgimento con la nascita del Regno sabaudo sull’intera penisola, secondo l’opinione comune, fu soltanto la conclusione lineare di un processo in gran parte già scritto. L’Italia - come ripete l’inno nazionale - esisteva da sempre e alla fine non poteva che 'ridestarsi' dall’oblio dei suoi cittadini o dalla schiavitù allo straniero: in realtà, l’ideale nazionale che aveva cominciato a permeare la politica delle potenze europee del XIX secolo non aveva eliminato dal suo orizzonte politico le idealità universali o supernazionali che erano state la linfa del Settecento; in questo intreccio tra ideali nazionali e valori supernazionali nasce e si afferma anche il Risorgimento italiano fino alla creazione del Regno, in una commistione la quale probabilmente fu anzi in una qualche misura benefica. Il progressivo espandersi dell’idea di nazione sta quindi in un costante rapporto dialettico con quelle idealità universali dell’Illuminismo ovvero con quell’idea di Europa che il nuovo verbo nazionale mirava a superare: intendendosi l’Europa, con Montesquieu, come unità supernazionale che era anche una forma spontanea di europeismo. D’altra parte, oggi noi possiamo accettare la realtà di una Nazione nata come un ben determinato progetto politico sorto in Europa alla fine del Settecento e volto ad unificare politicamente popolazioni di vasti territori. Non soddisfa ad una rigorosa critica né la teoria cosiddetta naturalistica della nazione fondata sulla razza, né quella cosiddetta volontaristica del 'vivere insieme' che rimonta ad un famoso discorso alla Sorbona di Rénan e fu accolta in gran parte dalla storiografia francese ed italiana a cominciare da Federico Chabod. In realtà, soltanto intendendo la nazione come l’ideologia dello Stato burocratico accentrato nato dalla Rivoluzione francese, si possono intendere compiutamente i 'comportamenti' nazionali che in un certo momento della storia cominciarono a svilupparsi fra la gente comune in Europa e, per quel che ci riguarda in particolare, in Italia. Questo all’epoca valeva perfino per la Francia, mentre in Italia di 'italiano' c’erano in realtà soltanto i letterati, oltre al generico sentimento e costume dell’italianità spontanea che non si era ancora collegata alle strutture di potere e trasformata nel moderno patriottismo nazionale. E ciò spiega il carattere prenazionale dei moti italiani del 1820-21 e perfino del 1831, che non avevano in realtà come principale scopo quello di ottenere l’unità nazionale, ma solo quello di conquistare le libertà costituzionali in ciascuno Stato della penisola. È con Giuseppe Mazzini invece che si realizza la svolta risoluta in direzione della costruzione dell’unità nazionale italiana. Mazzini fu colui che elaborò coscientemente il progetto della moderna Nazione-Stato, persuaso che l’individualismo e il cosmopolitismo non erano in grado né di assicurare libertà e solidarietà ai popoli, né di espellere dalla storia gli Stati dinastici che avevano governato l’Europa con la divisione e il dispotismo. Si trattava di costruire uno Stato su un territorio in cui insistevano più Stati: compito difficilissimo, perché il progetto si scontrava non solo con le contrarie ragion di stato di mezza Europa, ma anche con le ostilità di buona parte dell’opinione pubblica dei diversi Stati della penisola. Per un’opera così straordinaria occorreva quindi un’eccezionale concentrazione di pensiero e di azione, e Mazzini, con un impegno che non abbandonò mai per tutta la sua vita, si dedicò alla lotta per la costruzione dell’Italia come Stato unitario e repubblicano. È suo merito però non aver mai voluto subordinare i valori supernazionali propri dell’Europa all’idea nazionale, che intese sempre come mezzo e mai come fine, nella convinzione che con la nascita della nuova Nazione italiana essa sarebbe stata sorella fra le altre Nazioni, e l’Umanità stessa una famiglia di nazioni fondata su principi di fratellanza fra gli uomini. Anche per i moderati, come Rosmini e Gioberti ovvero Balbo e D’Azeglio, contavano tuttavia i valori supernazionali dell’Europa. Un processo graduale di unificazione italiana basata sull’ampliamento del mercato e una possibile maggiore autorevolezza in campo europeo fu la base per l’accettazione del programma nazionale da parte delle classi medie e dei ceti moderati: anche se occorre rilevare che in tale programma gli aspetti utopistici non erano poi inferiori a quelli dei mazziniani. Velleitario pareva ai più l’unitarismo repubblicano di Mazzini, cui aveva buon gioco ad opporre Cavour il progetto più limitato dell’unificazione dell’Alta Italia; oltre all’obiettiva difficoltà di risolvere la questione del potere temporale della Chiesa e di spazzare via le dinastie monarchiche locali, pareva infatti impossibile ridurre ad uno solo i diversi Stati della penisola, tutti abbastanza difformi a cominciare perfino dai dialetti. D’altra parte, il disegno cosiddetto 'federalista' di una lega o confederazione degli Stati italiani di un Gioberti o D’Azeglio, che dava l’impressione di una maggiore attenzione alle diversità regionali e di un più accorto realismo politico, alla prova dei fatti si sarebbe poi rivelato ancora più inadeguato allo scopo unitario, dal momento che si basava sulla permanenza della sovranità degli Stati. Cattaneo poi - che aveva perorato la nascita degli Stati Uniti d’Italia, unitamente agli Stati Uniti d’Europa - per diversi motivi restò ai margini del moto risorgimentale italiano e dopo la costituzione del Regno d’Italia si ritirò addirittura in Svizzera dove poi morì alcuni anni dopo. Anche per questi motivi, la costruzione dell’unità d’Italia non poteva che avvenire come infatti avvenne, cioè nella forma di uno Stato unitario: tant’è che l’Italia fu poi unita non secondo il disegno 'federalista' in base agli accordi fra gli Stati italiani ma dall’impresa dei Mille di Garibaldi con la nascita dello Stato italiano. Ma la struttura accentrata del nuovo Stato italiano, se da un lato fu in un certo senso necessitata sia dalle forti disparità regionali (che solo da un regime prefettizio poteva mantenersi unita) sia dal modello dello stato giacobino presente nel Continente (col rischio altrimenti, alla prima occasione, di sciogliersi o di essere oggetto di spartizioni da parte delle Potenze vicine), dall’altro fece da esca a ulteriori lacerazioni fra centro e periferia, in particolare meridionale, col fenomeno del brigantaggio subito dopo l’unità e anche dopo con ricorrenti rivolte e malumori delle diverse province del Regno. L’esperienza acquisita nei numerosi decenni trascorsi da quel lontano 1861 in cui fu proclamato il Regno d’Italia ci inducono ora tuttavia a sfatare alcuni miti che furono a base della costruzione dell’unità d’Italia. Anzitutto è il mito dell’idea della nazione come un prius da sempre esistente a dovere essere messo in discussione, e che è servito a dare nuova legittimità e enormi poteri allo Stato, fino a costituirsi come uno smisurato pericolo per la civiltà europea e l’intera umanità. Altro mito è quello di una pregressa età dell’oro delle piccole patrie antecedenti il Regno d’Italia, di volta in volta identificate ora con il regno borbonico ora con alcune regioni del Nord Italia. Indipendentemente dalle condizioni socio-economiche più o meno buone in cui si trovavano i singoli Stati preunitari, è un fatto che in tutte quelle province, e particolarmente nel Sud ancor più che in altre aree del Paese, lasciava spesso molto a desiderare il buon governo e il rispetto delle libertà individuali e dei diritti umani: e le discutibili modalità con le quali si realizzò ad esempio il passaggio dal Regno delle Due Sicilie al nuovo Stato nazionale non giustificano di per sé la difesa nostalgica ma preconcetta di un contesto politico ormai superato dalla storia. Il Risorgimento, pur con le sue luci e le sue ombre, resta un periodo di eccezionale vitalità e di necessaria modernizzazione per l’Italia. E tuttavia per certi versi il Risorgimento è a tutt’oggi rimasto incompiuto, nel senso che non è stata ancora pienamente realizzata quell’unità nazionale che si erano prefissi i nostri Padri. Anche dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale, questa debolezza del legame tra il popolo e lo Stato - che vuol dire carenza dell’unum sentire fra tutti i cittadini di tutte le Regioni d’Italia sui principi generali di democrazia, libertà e giustizia quali risultano oggi dalla Carta costituzionale - non è stata obiettivamente sanata, anche per l’incapacità da parte dei governi della Repubblica di risolvere una volta per tutte il divario economico Nord-Sud e di sconfiggere la criminalità organizzata presente nel Mezzogiorno. Quando allora potremo dire da Italiani di aver portato a compimento il nostro Risorgimento? L’impressione più forte è che dovrà essere l’Europa e il federalismo a venire in soccorso dell’Italia. In realtà, sarà riscoprendo le duplici radici, insieme nazionali e supernazionali, del programma mazziniano, naturalmente depurato di tutte le ingenuità dettate dai tempi, che l’Italia potrà superare il divario economico che separa le due parti del Paese, e ritrovare nella costruzione di una società federale le ragioni profonde della sua appartenenza alle democrazie europee. ------- Rodolfo Gargano
Inserito il 14 Gennaio 2011 nella categoria Relazioni svolte
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