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Euploia: la nuova pubblicazione di Sebastiano Tusa

Il libro è stato presentato dal Presidente della nostra Università, prof. Antonino Tobia su invito del preside prof. Erasmo Miceli

Relatore: Prof. Antonino Tobia

Euploia è un augurio alla buona navigazione, termine greco che l’autore ha scelto come titolo del presente testo. Queste sette lettere greche compongono l’iscrizione in rilievo che si può leggere in un ceppo d’ancora di piombo che un ignoto marinaio,   forse di Favignana, avrebbe perduto nelle acque di Cala Tonda. In senso metaforico, la parola vuole trasmettere un messaggio augurale e si caratterizza come sprone ad andare avanti, a saper cogliere bene la direzione dei venti e a volgere con la sicurezza che viene dal sapere le vele verso il futuro, con lo sguardo rivolto al passato. Seguendo queste coordinate, Sebastiano Tusa continua sulla scia tracciata da tanti illustri archeologi, tra cui un posto di preminenza scientifica spetta al padre Vincenzo, che è stato uno dei primi e più amati protagonisti dell’archeologia  subacquea. Forse è difficile pensare che un archeologo possa essere amato dal volgo profano. Eppure questo accade seguendo e scoprendo l’attività dell’archeologo subacqueo, che impiega ogni strumento tecnologico, storico-filologico e scientifico per interpretare la storia vissuta dall’uomo sulla terraferma, sondando le profondità del mare. L’amore è un sentimento che avvicina, che ti fa sentire partecipe della vita di chi ti sta accanto, delle sue esperienze, delle sue passioni. Questo motus animi caratterizza la difficile opera di ricerca di Sebastiano Tusa, la cui attitudine a comunicare ti fa credere che egli non agisca solo per soddisfare la sua ambizione di studioso, quanto per stabilire un rapporto di comunicazione tra mittente e destinatario, attraverso un codice che senti comprensibile, affascinante, declinato tra mito e logos, tra fascino e ragione. Così il lettore, catturato fin dalle prime pagine da Euploia si sente preso per mano e trattenendo il respiro in apnea scende nei fondali marini delle isole Egadi, di Pantelleria, di Ustica e di tanti altri parchi naturali per scoprire l’ebbrezza di un mondo sommerso, la sensazione di un recupero memoriale di antiche leggende, di racconti appresi dai nonni, o di pagine trasmesse da poeti e scrittori remoti. subacquea, secondo la definizione che ne dà Tusa, comprende lo studio di tutto ciò che si trova sul fondo del mare (o al di sotto) che abbia un valere storico e/o culturale e/o artistico. Storia cultura arte costituiscono il 'patrimonio culturale sommerso', per cui tale definizione, secondo l’archeologo, è da preferirsi, in quanto il lavoro della ricerca subacquea presuppone l’adozione di tecniche e metodologie d’intervento proprie dell’archeologia, per cui 'la ricerca, la tutela,,e la valorizzazione del patrimonio storico e archeologico sommerso sono aspetti di una medesima strategia che non vanno separati'.Le fonti storiche e letterarie sono state e continuano ad esserlo una guida indispensabile alla ricerca archeologica di terra e di mare. Omero nell’Iliade e Virgilio nel II libro dell’Eneide cantano la caduta di Troia, un evento considerato una bella creazione poetica, finché gli scavi compiuti da E. Schliemann (1871-1890) e proseguiti da Dorpfeld (1893-94) nei pressi del villaggio di Hisarlik non portarono al rinvenimento di nove strati archeologici, il sesto dei quali corrispondeva alla Troia omerica. La caduta di Troia fu dunque uno degli episodi dell’ultimo periodo della civiltà micenea precedente la civiltà greca.  Nel V libro dell’Eneide, curato con passione filologica dal prof. Giusto Monaco, Virgilio dedica una particolare attenzione alla trasmissione in diretta della regata, che colloca all’interno dei novendiali in onore del padre di Enea, Anchise, di cui ricorreva l’anniversario della morte avvenuta a Drepano. Lo scenario paesaggistico è quello dell’aprica campagna di Pizzolungo, che guarda il mare verso nord-ovest, al cui orizzonte si delinea lo  scoglio degli Asinelli, che avrebbe costituito la meta della gara navale. La descrizione della tecnologia presente nelle navi che il poeta mantovano descrive  è in fondo quella di biremi, triremi e quinqueremi che si costruivano nell’età augustea, il che consente agli studiosi di avere ulteriori elementi di analisi e di confronto con i reperti di archeologia marina trovati negli ultimi decenni, sebbene molti dubbi rimangano circa il sistema di remeggio per navi di ordine superiore a uno.Sebastiano Tusa nel suo libro, tuttavia, presenta una diversa lettura del mito. Infatti, immagina che lungo il litorale di Cofano si siano svolti i ludi novendiali voluti da Enea in onore del padre Anchise, morto l’anno precedente, durante il primo approdo dell’eroe troiano nel litorale trapanese e considera lo scoglio Scialandro quello descritto da Virgilio come la meta che le quattro navi della flotta di Enea dovevano doppiare. Questa lettura sposta dall’area di Pizzolungo alle falde di monte Cofano i giochi funebri. Sta di fatto che in quel pianoro venne eretta una stele in onore di Anchise nel 1930, in occasione del Bimillenario della morte del Poeta mantovano. Il discorso ufficiale venne allora pronunciato dall’insigne grecista,  prof. Ettore Romagnoli, presente anche il latinista conterraneo prof. Francesco Vivona, cui si deve una moderna traduzione del poema virgiliano. Antonio Cordici, storico del XVII secolo, autore di una Istoria della città di Monte Erice, colloca la sede dei giuochi nella contrada di Bonagia, che comprendeva anche l’attuale territorio di Pizzolungo, che si trova sulla linea verticale del tempio di Venere ericina, madre di Enea. La descrizione virgiliana della zona è più rispondente a questa parte di litorale che alla costa dominata dalla massiccia mole di monte Cofano. <_div>Il mare, sottolinea Tusa, è probabilmente il più ricco archivio della memoria umana. Di questo archivio occorre fare buon uso se si vuole ricostruire la storia del nostro pianeta e dei suoi abitanti. Per procedere in questa direzione, occorre combattere e punire le spedizioni piratesche, rimuovere l’insensibilità di chi è deputato ad amministrare il patrimonio culturale, stabilire un approccio di collaborazione con la gente di mare, protagonista di tanti ritrovamenti, correggere la colpevole disattenzione di taluni archeologi 'più attenti alla scoperta che non alla ricostruzione storica'. Tra i tanti esempi di fattiva collaborazione con i pescatori, Tusa cita il ritrovamento della rara raffigurazione in bronzo della divinità fenicia Reshef, recuperata dal motopesca di Sciacca 'Angelina madre', nel gennaio del 1955. Resta un mistero il luogo esatto del rinvenimento, che Gianfranco Purpura ipotizza nelle acque antistanti Selinunte. Ciò avvalorerebbe il racconto dello storico greco, Tucidide, sulla presenza commerciale fenicia, prima ancora che greca, lungo le coste dell’Isola, dato che la statuetta, alta poco meno di mezzo metro, può farsi risalire all’XI sec. a. C., epoca in cui si andavano affermando le potenti colonie fenicie, Cartagine in Africa, Mozia nel trapanese, Cadice in Spagna.La lotta per la talassocrazia tra la potenza cartaginese e la respubblica romana trasformò il mare Mediterraneo in un campo di battaglia dal 241, anno della prima guerra punica, al 146 a. C., che segnò la fine della civiltà cartaginese sotto l’azione militare di Scipione Emiliano. Il recupero di importanti testimonianze archeologiche ha consentito una rilettura più approfondita delle fonti che trattano della prima guerra punica, tra le quali primeggia la descrizione che lo storico greco Polibio (200-118 a.C.) ha consegnato ai posteri con la sua pragmatiké historìa, cioè con la narrazione concreta degli avvenimenti militari e politici, senza indulgere ad alcun aspetto emotivo e sensazionale. Verosimilmente la nave punica, recuperata negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso dalla famosa archeologa subacquea britannica Honor Frorst ed esposta nel Baglio Anselmi a Marsala, appartenne alla flotta cartaginese comandata da Annone. Il relitto fu trovato presso la costa settentrionale dell’Isola Longa, qualche miglio a sud dell’area dello scontro. A tal proposito, Tusa sostiene che la battaglia si svolse non presso Cala Rossa, come ancora si legge presso alcune guide turistiche, bensì a poche miglia a nord-ovest di Capo Grosso dell’isola di Levanzo . Polibio descrive nei minimi particolari le fasi del combattimento come fosse un inviato speciale sul luogo dello scontro e tale preziosa fonte storica si è arricchita negli ultimi anni di numerosi ritrovamenti archeologici subacquei. Sono stati rinvenuti ceppi d’ancora di piombo, abbandonati in fretta e furia dalla flotta romana che, a ridosso di Capo Grosso, non poteva essere avvistata da quella cartaginese. La disposizione delle ancore, sistemate ordinatamente lungo una linea omogenea a costante distanza dalla costa avalla, secondo Tusa, il piano strategico del console romano Lutazio Catulo, che diede ordine di salpare in fretta e furia per sfruttare l’elemento sorpresa contro le navi di Annone che veleggiavano alla volta del litorale trapanese col vento favorevole, sovraccariche di vettovaglie che dovevano rifornire le truppe di Amilcare Barca, assediate da un’armata romana acquartierata alle falde del monte Erice, dalle parti della collinetta, oggi chiamata Sant’Anna. Oltre ai ceppi d’ancora, c’informa Tusa, si rinvenne un esemplare di scandaglio in bronzo e, soprattutto quelli che l’autore considera i protagonisti di questa battaglia, i rostri del tipo a tridente, che non erano conosciuti in Italia prima dei ritrovamenti operati dall’équipe di Tusa. Dalla stessa zona provengono vari elmi bronzei con paranuca di fattura romana, risalenti agli anni della prima guerra punica. I rostri erano impiegati dalla flotta romana e da quella cartaginese, come risulta dalle diverse iscrizioni romane e in lingua punica. Diodoro Siculo, storico del I sec. a.C. nella sua Bibliotheca storica descrive senza curare i particolari strategici lo scontro tra i Cartaginesi e i Romani: Il console Lutazio, con trecento navi da guerra e settecento da trasporto e da carico, mille in tutto, navigò alla volta della Sicilia e approdò nello scalo commerciale (emporion) degli Ericini. Annone da Cartagine giunse presso l’isola di Iera (Marettimo) con 250 navi da guerra e da carico. Mentre avanzava da questa isola verso Erice, scontratosi con i romani, si scatenò una grande battaglia da ambo le parti. (XXIV, 11,1)  È interessante ricordare, anche per una futura progettazione, che durante la prima guerra punica il console romano Numerio Fabio aveva fatto riempire di sassi e di terra il piccolo braccio di mare che separa la Colombaia dalla terraferma, per trasportarvi tutte le macchine da guerra necessarie all’attacco. In seguito Amilcare, il valoroso comandante cartaginese, costrinse i Romani a ritirarsi e restituì alla Colombaia la sua condizione insulare. Ce ne da notizia Cassio Dione Cocceiano (155-235) nella sua Storia Romana, conservataci parzialmente. Da lui apprendiamo che Amilcare fortificò Drepanon, un porto di agevole approdo, e in quel luogo depositò gli oggetti di maggior valore. Qui trasferì tutti gli Ericini e rase al suolo la loro città, affinché i Romani… non se ne servissero come base operativa militare.  <_div>I resti di una nave punica, trovati casualmente fuori dello Stagnone, a poche decine di metri dalla costa dell’Isola Longa, ci spiega la tecnica dell’assemblaggio praticato dai Cartaginesi. Questi esperti maestri d’ascia segnavano con le lettere le parti prefabbricate dello scafo, il che consentiva di accelerare i tempi della costruzione, attivando una vera catena di montaggio anche in un’area distante dal luogo di fabbricazione delle singole parti. Il crescente numero di anfore di terracotta trovate in mare ha aiutato a ricostruire l’attività commerciale che per secoli si è svolta tra le sponde del Mediterraneo. Le anfore rivestite di pece portavano vino e  garum, quelle non rivestite trasportavano olio, olive, pinoli, nocciole, mandorle, noci, frutta secca. La famosa salsa di pesce, tanto esaltata da Apicio, si produceva lungo le coste della Sicilia, da Cefalù a Tindari, da Sòlunto a Levanzo, dove sono stati trovati stabilimenti per la lavorazione del pesce e dei suoi derivati. La tecnica di lavorazione di tale prezioso ingrediente culinario raggiunse la sua perfezione in Spagna, dove, secondo Erodoto, fu importata da alcuni marinai provenienti dall’Asia Minore, in particolare dall’isola di Samo nel 650 a. C. Ancora una volta l’archeologo ha trovato sostegno e sprone alle sue ricerche nelle numerose fonti letterarie che attestano la presenza di antichi stabilimenti ittici in Sicilia, i cetaria, Fra i tanti: Archestrato di Gela, Ateneo di Naucrati, Plinio il Vecchio. Lo stabilimento di Cala Minnola a Levanzo fu il primo ad essere individuato in Sicilia nel 1977 da Franco Bergonzoni. Di Apicio ci è pervenuto un ritratto poco edificante, stilato dal filosofo Seneca  nella su Consolazione alla madre Elvia. È presentato come un dissoluto crapulone, che dilapidava i suoi beni nell’organizzazione di banchetti sontuosi, in cui correvano fiumi di garum pregiatissimo e costosissimo. Così, dopo avere sprecato nella cucina un milione di sesterzi, esaminò i suoi conti. Calcolò allora che gli sarebbero rimasti, al netto dei debiti, dieci milioni di sesterzi, una somma di denaro ingente che avrebbe rese ricco chiunque altro, ma non Apicio, il quale, ritenendo che quanto gli restava non era sufficiente a garantirgli il suo modus vivendi, preferì togliersi la vita col veleno.      <_div>Le ultime cinquanta pagine di Euploia affascinano il lettore con la narrazione di avvenimenti che sanno di fiaba, di mistero, di storia. Così è per i Pirati a Marettimo e i cannoni identificati a nord della punta Libeccio, fatti risalire alla flotta del pirata musulmano Dragut, morto nel 1565, alleato del governo francese contro gli Spagnoli. Così pure per il naufragio nelle acque dell’isola di Formica di una nave risalente al periodo romano-imperiale; o della nave del Quasi noto trafficante di garum che perse il carico nel mare di San Vito lo Capo, un carico di garum  del VI sec. a. C., destinato ad un certo Minnion, un probabile acquirente greco, come risulta dalla lamina di piombo ritrovata alla profondità di 12 metri di fronte allo stabilimento per la produzione di garum. Tra i relitti moderni che arricchiscono di storia il mare di San Vito, Tusa cita il mercantile Kent, carico di libri Corani, naufragato negli anni ’70 del secolo scorso e la nave Capua carica di armi, affondata durante la seconda guerra mondiale il 17 aprile 1943, a causa di un incendio a bordo. Qualche mese prima, il 12 gennaio 1943 il cacciatorpediniere italiano Grecale aveva speronato per errore, a causa della fitta nebbia, la torpediniera Ardente nello specchio di mare di monte Cofano. Il relitto giace a circa 120 metri di profondità. Nel disastro morì quasi tutto l’equipaggio.L’autore, prima di concludere il suo interessante profilo storico-archeologico, si sofferma a riflettere sulla nuova frontiera dell’archeologia subacquea, che va oltre i 50 metri, grazie alla moderna strumentazione. Ma fino a che punto, si chiede, la ricerca di alto fondale consente di tutelare il patrimonio culturale? Non fu una vera e propria razzia quella dell’oceanografo americano Robert Ballard, il quale non si limitò a localizzare a nord-est della Sicilia una grande concentrazione di otto relitti di varia epoca a circa 800 metri di profondità, nei pressi del Banco Skerki, ma, con dispregio di ogni convenzione internazionale, senza alcuna sensibilità scientifica, prelevò con il suo sottomarino nucleare centinaia di  reperti per esporli negli Stati Uniti? Per fortuna, la scoperta nel 1998 del Satiro danzante, operata casualmente dalle reti a strascico del motopesca mazarese 'Capitan Ciccio' a circa 400 metri di profondità tra Pantelleria e Capo Bon, stimolò un acceso dibattito che approdò alla promulgazione della Convenzione Unesco sulla protezione del patrimonio culturale sommerso. L’appello che Tusa vuole lanciare con questa sua dotta e interessante pubblicazione di piacevole lettura e di coinvolgente interesse è che bisogna continuare a ricercare, ma soprattutto a conservare e ad esporre l'importante patrimonio che il passato ci ha regalato. NOTE -Amilcare Barca, che disponeva del comando supremo di terra e di mare. Venuto in Sicilia, il comandante cartaginese, giudicato da Polibio il migliore sia per intelligenza che per ardimento, si era ingegnato per fortificare il porto di Drepanon con grandi opere nel tratto di mare ove oggi è possibile ammirare la Colombaia e aveva disposto presidi nell’insenatura di Lilibeo, dove le navi erano alla fonda.  I Cartaginesi potevano, perciò, contare sul possesso di Erice, Trapani e Lilibeo, come pure del monte Erete (Pellegrino), da dove intercettavano i movimenti delle navi nemiche. Attorno alla montagna di Erice si  era creata una situazione abbastanza strana. L’acropoli era occupata dai Romani, che disponevano anche di un’armata acquartierata alle falde del monte, dalle parti della collinetta, oggi chiamata Sant’Anna, mentre la città nel 244 a.C. era stata sottratta ai Romani da una spedizione fulminea di Amilcare Barca. Ogni giorno, per due anni si erano perpetuati gli scontri tra i due contendenti, che icasticamente Polibio paragona a due 'galli di razza che combattono all’ultimo sangue' . Era chiaro ormai che i Romani non avrebbero sconfitto la potenza cartaginese grazie alle sole forze di terra, considerato il coraggio del generale punico e la rapidità delle sue azioni, che gli aveva meritato l’appellativo di Barca (Fulmine). Da qui la decisione estrema di rimettere in mare la flotta per lo scontro finale. Il comando fu affidato al console G. Lutazio Catulo, che giunse in Sicilia all’inizio dell’estate dell’anno 242 a.C. e con grande celerità, sorprendendo il nemico, approfittò del ritiro in patria di tutte le forze navali dei Cartaginesi e riuscì ad occupare il porto di Trapani e gli approdi di Lilibeo. Qui il console romano non perse tempo ad approntare le necessarie macchine da guerra, deciso ad affrontare il nemico da una posizione di vantaggio. Si preoccupò, quindi, di preparare l’equipaggio alla guerra attraverso continue esercitazioni navali, curandone nei minimi particolari le condizioni fisiche e psicologiche. A questo punto, i Cartaginesi, colti di sorpresa, temendo che le loro guarnigioni,  impegnate attorno al monte Erice, mancassero dei rifornimenti necessari, decisero di inviare una flotta al comando di Annone. Il capo delle forze navali puniche prese il largo e raggiunse l’isola di Iera (Marettimo), intenzionato ad eludere la sorveglianza dei Romani, a raggiungere Erice, a scaricare le vettovaglie e ad unire le proprie forze a quelle di Amilcare Barca per affrontare il nemico in regime di vantaggio. La manovra non sfuggì al comandante romano, che diede ordine alla flotta di salpare alla volta dell’isola Egussa (Favignana).  Si era levato un forte vento che soffiava favorevole alle vele nemiche, mentre per le navi romane era difficile prendere il largo col mare grosso e controvento. A questo punto emerse l’intelligenza di Lutazio Catulo, il quale riuscì a capovolgere la situazione a suo favore. Decise, infatti, di andare allo scontro, approfittando del fatto che le navi nemiche erano  appesantite dalla gravità del carico e che non potevano disporre dell’aiuto delle truppe di Amilcare Barca, il cui nome incuteva paura nell’animo dei soldati. I Cartaginesi, costretti alla battaglia con truppe arruolate di recente e poco addestrate, ebbero subito la peggio. Polibio riferisce che furono affondate cinquanta delle navi puniche, settanta catturate con tutto l’equipaggio, circa dieci mila furono i prigionieri. Le navi superstiti riuscirono a far rotta verso l’isola di Iera. Amilcare Barca ebbe carta bianca sulle decisioni da prendere in un momento così drammatico per le sorti della sua patria. Da generale assennato, capì che non gli restava altro da fare che concludere l’operazione con una onorevole trattativa di pace. La prima guerra punica, scoppiata per la conquista della Sicilia e il dominio del Mediterraneo, si concludeva dopo ventitre anni di dure e sanguinose  lotte a favore dei Romani, che imposero ai Cartaginesi, tra le altre clausole, di ritirarsi dalla Sicilia e da tutte le isole che stanno sulla rotta tra l’Italia e l’Isola. Antonino Tobia

Autore Prof-Greco

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Parliamo di: Euploia

Inserito il 25 Febbraio 2015 nella categoria Relazioni svolte