Il dott. Vito Di Bella, ex Dirigente regionale ispettorato del lavoro, ha relazionato brillantemente sulle problematiche socioeconomiche della nostra realtà territoriale
Relatore: Dott. Vito Di Bella - Ispettorato del lavoro
A scuola apprendiamo che l’economia è la scienza sociale volta a studiare il comportamento dell’uomo finalizzato a procurarsi i beni e i servizi idonei a soddisfare i propri bisogni.
E’ una materia che nel bene e nel male influenza il mondo intero e continua ad avere una grande considerazione a livello universitario.
Dalla scuola e dalla vita abbiamo pure modo di imparare che il lavoro del braccio e della mente dell’uomo è essenziale per lo sviluppo dell’economia e per l’avanzamento del progresso di un mondo in continuo cambiamento.
Nel quotidiano ci imbattiamo in sistemi economici differenti: modello mercantilista retto dalla mano invisibile del mercato atta a riequilibrare sempre ogni turbolenza (A.Smith), modello statalista con il controllo centralizzato sull’economia, modello misto pubblico/privato delle nostre parti, modello monopolistico, oligopolistico, ecc. In ogni modello, comunque, gli attori si muovono seguendo l’ideologia del mercato e assumono decisioni sulla base di analisi costi/benefici.
Il mercato infatti è il potere assoluto e la sua legge è quella del profitto nella cui logica spesso non sono presenti gli elementi della correttezza e della probità.
L’ideologia del mercato classico allo stato dell’arte ha ceduto all’ideologia alternativa del mercato finanziario che opera sovente con i contratti a termine (contratti di riporto ovvero futures). Si compra e si vende con regolarizzazione successiva al fine di lucrare a certo tempo data sui prezzi del momento o sui tassi di cambio. All’uopo viene operata la forzatura delle piazze di sbocco, possibilmente con crisi o boom artificiosi.
Si può ben intuire come questa tipologia di economia sia sempre più in grado di influenzare le scelte politiche degli stati.
Ancor più, il mercato finanziario (in buona parte costituito da fondi di investimento) mantiene la sua attività in funzione della massimizzazione del profitto, ragion per cui non trova alcuna remora nella delocalizzazione selvaggia degli impianti in ogni luogo, sacrificando posti di lavoro, situazioni umane e contesti sociali.
Il pensiero keynesiano come ideologia economica guida, che prevede l’intervento pubblico come strumento necessario per regolare il mercato in difficoltà che cede quote di produzione e lavoro, alla prova dei risultati non pare raggiungere il target.
Ad onore del vero, occorre riconoscere che nei modelli di società meglio organizzate i soggetti economici incontrano dei limiti nel perseguire il loro tornaconto. Ostano leggi e politiche che tutelano interessi sociali superiori.
Le difficoltà dell’uomo a gestire le frizioni economiche sono ataviche. Ritorna di triste attualità il testo dell’antico Egitto 'Il dialogo del disperato con la sua anima' datato circa 2000 anni prima di Cristo ove si legge 'A chi parlerò io oggi? I cuori sono rapaci, tutti rubano i beni del loro prossimo, il violento ha accesso a tutto…….'.
La bandiera del sistema economico pensata dall’establishment del mondo occidentale è la globalizzazione dei mercati.
Manuel Castells definisce la globalizzazione come una economia le cui componenti hanno la capacità di operare come unità in tempo reale su scala planetaria.
Sbandierata come utile a distribuire ricchezza ai paesi poveri o in via di sviluppo consentendo loro di crescere, si tende ad ignorare che il risultato vantato è una distribuzione meramente matematica e non tangibile.
Nella realtà la ricchezza rimane concentrata nelle mani di pochi (i quali pochi magari la dicono diversamente) e masse di diseredati dei paesi rimasti poveri fuggono per la fame. In Italia si stima che il 2% dei paperoni trae da quelle parti una ricchezza pari a quella del 70% dei poveri.
Gli studiosi oggi concordano nel dire che in economia la globalizzazione funziona da mezzo di locomozione dove il lavoro è una bicicletta, la merce è un bolide e il capitale è un lampo.
Eppure la componente umana del lavoro, ancorché assistita dalle macchine, è una condicio sine qua non per ogni processo di avanzamento.
Il tempo della globalizzazione che ha avvolto il pianeta in un’unica rete oggi appare interrotto dall’unilateralismo. Spuntano barriere statuali in difesa delle proprie imprese e accordi bilaterali internazionali.
In ogni modo, il processo della globalizzazione in quanto tale sta cambiando riferimenti. I paesi del così detto BRICS (Brasile/Russia/India/Cina/Sudafrica & Co.) cercano un’alternativa al sistema economico e finanziario esistente con lo sganciamento dalla egemonia del dollaro e dell’euro come valute di riferimento negli scambi. La fabbrica Cina vede limitato il suo appealnel mondo (magari pro India) e l’Occidente sta tentando una reindustrializzazione in proprio, specie per i prodotti di prospettiva finalizzati alla transizione ecologica (pannelli solari, batterie per auto elettriche, microchips, semiconduttori, ecc.).
La mossa, ancorché in forma embrionale, potrebbe essere letta come un ennesimo tentativo di sovvertire l’ordine mondiale esistente, una prova per sostituire il modello democratico che, pur con i propri difetti, al momento non prospetta alternative valide, quanto meno di dittature o teocrazie.
Con l’evolversi degli schemi strutturali degli stati che si definiscono a democrazia matura e con il cambiamento degli stili di vita delle popolazioni, negli ultimi decenni ha ripreso vitalità la dialettica fra economisti e sociologi al fine di poter conseguire, obtorto collo, una migliore coniugazione fra economia e società.
Spunta la socioeconomia come complemento dell’economia neoclassica e vuole includere elementi razionali della comunità con i freddi valori dell’analisi economica. Vuole avvicinare l’economia asettica calata dall’alto all’economia settica della collettività con le sue esigenze concrete che arrivano dal basso.
Il nuovo campo vuole affiancare alle decisioni economiche un approccio interdisciplinare che tenga conto di elementi di sociologia, psicologia, politica economica, ecologia, principi morali. Vuole cioè coinvolgere i valori avvertiti come inscindibili dalla comunità con quelli dell’analisi economica attraverso i reticoli dei mercati, della finanza, delle imprese, del lavoro, dei fattori produttivi in generale.
Tale correzione si rende necessaria anche perché l’economia che regge i fattori di produzione non sempre tratta il lavoro quale fattore primario, e con riguardo alla tutela della salute psicofisica del lavoratore, e in quanto alla giusta remunerazione della prestazione, e in quanto all’equa distribuzione del reddito prodotto. Sono squilibri che muovono a conflittualità sociali.
Il tipo di analisi messa a punto dagli economisti è nota come 'nuova economia istituzionale', in contrapposto all’imperialismo economico votato alla mera cultura di mercato ove tutto si vende e si compra, dalle merci alle persone; i sociologi prospettano la 'nuova sociologia economica ovvero la sociologia delle scelte razionali'.
In siffatta prospettazione la comunità viene ad assumere il ruolo di attore, di collettivo presente con le sue necessità economiche, ma anche con le peculiarità etniche e ambientali, le vocazioni del territorio, il bisogno di efficientamento energetico green, le tradizioni culturali, la conciliazione fra diritti sociali e diritti civici.
In nuce, è un tentativo di riportare la società politica organizzata ad un consorzio umano strutturato in maniera più idonea a beneficiare dei servizi universalistici.
Un modo pratico per comprendere l’attuabilità della socioeconomia è studiare i diversi gruppi di una popolazione in base al loro livello di reddito, di scolarizzazione, di occupazione regolare e irregolare, di tutela sanitaria, di accesso ai servizi pubblici, di disponibilità di tempi di vita ed altro ancora.
L’analisi conoscitiva così formulata viene in tal modo a incidere sulle dimensioni economiche e sociali delle realtà produttive locali, con l’obiettivo di migliorare i traguardi dell’economia circolare virtuosa e la qualità della vita nelle aree urbane e rurali, operare un riscatto socioculturale, evitare un forzoso spopolamento dai luoghi di origine.
Le linee di cultura e conoscenza della socioeconomia servono certamente ad influenzare il nucleo dell’economia nel progettare la civiltà del lavoro ben fatto, sicuro, remunerato, rispettoso dell’ambiente. Un lavoro che serva, tra l’altro, a smussare talune distorsioni allocate nelle menti di alcuni ragazzi scolarizzati (e magari dei loro genitori) che portano a rifiutare l’esercizio di lavori valutati umili e non dovuti per il loro status, quali ad esempio i mestieri tradizionali. Si vuole ignorare che la scienza e la tecnica hanno ormai annullato la corrispondenza biunivoca fra titolo di studio e lavoro d’ufficio. Ogni professione ed ogni mestiere da spendere sul mercato del lavoro al giorno d’oggi richiedono una preparazione culturale di base e una solida formazione professionale. Inoltre le attività economiche avanzano sempre più su piani contigui e richiedono una formazione continua e similare.
Gli stessi mestieri tradizionali oggi richiedono una preparazione professionale aggiornata; in ogni caso assicurano una redditività non certo inferiore a forme di lavoro così dette impiegatizie o intellettuali.
Pare che per quella fascia di giovani il lavoro sia diventato solo quello leggero, un elemento sfumato per la loro crescita umana e per il loro inserimento nella vita attiva.
Ogni lavoro è utile fin dalla gavetta per ascendere la scala sociale, per padroneggiare il lavoro con autorevolezza e le mani sporche di lavoro, di ogni lavoro, profumano sempre di dignità.
La comunicazione moderna, disciplina della socioeconomia, incide in modo pregnante sugli utilizzatori ed include, purtroppo, il rischio di agire da persuasore occulto con le fake news.
Tutti noi abbiamo il diritto e il dovere, oltre che l’interesse, ad essere attori nella socioeconomia con comportamenti giudiziosi e utili, seguendo il principio di sussidiarietà nell’ordinamento esistente.
Le tematiche nuove avanzate sono e devono essere certo destinate a stimolare ancor più le nuove generazioni, anche in vista del lavoro che cambia e degli obiettivi dell’Agenda ONU per lo sviluppo sostenibile.
L’adozione di alcune pratiche esemplificative di cui si farà cenno può risultare conducente all’economia sociale e costituire indice per il cittadino sciente delle tematiche:
- anteporre sempre il rispetto della persona del lavoratore da parte dell’utilizzatore. La scelta della di lui tutela psicofisica ed economica deve essere sempre anteposta all’interesse smodato del committente. Non si può risparmiare sulla pelle del lavoratore e va tenuto sempre ben presente che il rischio non è un mestiere, neppure per il committente che potrebbe soffrirne;
- pensare ad una razionale riprogrammazione dei contratti di filiera per l’autoproduzione dell’esistente e del nuovo richiesto dalle necessità in loco specie in agricoltura, E’ un’occorrenza che discende dalla inaffidabilità della abbondanza a basso costo data dalla globalizzazione di continuo logorata da eventi bellici, dai cambiamenti climatici, dal rapporto fra produzione e grande distribuzione, dalle difficoltà con l’Unione europea (valga per tutti l’abbandono della coltura del grano siciliano sacrificata all’import di prodotto a più basso costo e di incerta sicurezza);
- operare scelte di mercato che privilegino ove possibile la filiera corta che assicura più redditività al produttore e più risparmi al consumatore, specialmente per i consumi primari;
- attuare una più oculata ponderazione sui consumi, in specie delle merci sirena, abbatte il consumismo inutile, riduce dannosi rifiuti superflui, migliora la sostenibilità nell’ambiente della comunità che vi insiste. E’ ormai chiaro che non è più pensabile tenere separata l’economia dall’ecologia. Detta pratica inoltre consente una riflessione aggiuntiva riguardo alla qualità dei beni offerti a prezzi troppo fuori mercato e al mondo che c’è dietro nella produzione, in primis il lavoro illegale impiegato;
- compiere scelte di comportamenti individuali e collettivi indirizzati alla salvaguardia dell’ambiente e al risanamento ecologico prova a lasciare in eredità il migliore dei mondi possibili alle generazioni future;
- praticare possibili acquisti di comunità reca risparmi e in parallelo consente un recupero di valori sociali oggi deteriorati ma ancora validi. Sono quei valori di collettività che possono assicurare anche utili controlli di sicurezza nell’ambiente comune circostante;
- porre buona attenzione sui tentativi delle aziende di fare cartello per aumentare artatamente i prezzi agevola la concorrenza reale e avvantaggia i consumatori, facendone crescere il peso;
- proporre prassi attive e controllabili per favorire la Responsabilità sociale delle aziende (Corporate social responsability) mira a far adottare al loro interno e all’esterno politiche business tese ad agevolare il contesto sociale e ambientale. Il Libro verde UE 2001 indica già alle imprese che il successo sui mercati vuole pure l’assolvimento di oneri sociali.
La socioeconomia con la sua research è una soluzione che può trovare applicazione e adattamento in svariati sistemi economici, laddove in particolare venga accompagnata da politiche di sostegno mirate allo sviluppo di aree svantaggiate.
Le utilità e I benefici indotti dalle dottrine socioeconomiche possono e devono contribuire a mediare nella risoluzione dei tanti gaps esistenti in una economia stagna e secondaria quale quella meridionale, vuoi con la formazione del capitale umano idoneo a partecipare ai cambiamenti e allo sviluppo, vuoi con il favorire la circolarità di processi e prodotti, vuoi con la creazione di lavoro di qualità.
Nella problematica viene di certo ad essere coinvolto il Libero consorzio comunale di Trapani che soffre di un deficit di componenti umane e tecnologiche, idonee a recare alto valore aggiunto.
Il territorio dichiara una popolazione di 417.220 unità (ISTAT 2021 rispetto ai 435.000 di ISTAT 2015), distribuita nei 26 Comuni di pertinenza. Il comune capoluogo ha subito un calo di circa 10.000 soggetti.
Il reddito disponibile lordo medio delle famiglie consumatrici pro capite nell’anno 2022 risulta di £ 15334, a fronte di oltre il doppio del Nord Italia.
La popolazione scolastica (età 0/18) del comprensorio nell’anno 2023 conta n.64.053 unità di cui n. 3.987 stranieri pari al 6,22% del totale, con un tasso di dispersione dell’11,28%.
Il tessuto produttivo in questo territorio ricade sostanzialmente entro parametri di modeste dimensioni. Trattasi di aziende piccole e medie che operano in prevalenza nei settori dell’edilizia, nell’artigianato, nel turistico/ alberghiero, nella agricoltura. La loro operatività non di rado deve scontare carenze infrastrutturali nel territorio, limiti nell’impiego dell’hi-tech, presenze di professionalità obsolete, abbandono forzato del territorio da parte di giovani di talento che ostacola lo sviluppo di attività 5.0 ad alto valore aggiunto.
Nel 2023 risultano attive in totale n. 39594 aziende delle quali n. 6748 nell’industria e costruzioni, n. 9865 nel commercio, n. 12160 in agricoltura, n. 4165 nella ristorazione e nel turistico/alberghiero ed altri, incluso l’artigianato diffuso in tutti i settori. Il settore agricoltura con il valore di circa 1/3 del totale di imprese risulta essere quello prevalente e come tale partecipa all’export provinciale pari a circa 400 milioni di euro annui.
Nello stato di fatto spesso il sistema offre realtà di poco lavoro, magari povero, precario, insicuro e ancor peggio in nero che da queste parti si aggira sul 25%, con picchi superiori in edilizia, agricoltura, alberghiero stagionale, servizi domestici.
La popolazione del paese potenzialmente attiva è stimata dall’ISTAT in tempi d’oggi attorno al 60/62%; di tale valore questo Consorzio rileva un tasso attorno al 32% di cui solo un terzo donne. Il 2023 presenta i dati di n. 42493 lavoratori occupati e n. 94141 lavoratori disoccupati e inoccupati. La mancanza di lavoro colpisce in prevalenza i giovani (16/35 anni) scolarizzati ma senza alcuna qualificazione e i NEET (not in education, employment or training) cioè quei giovani che non studiano e non lavorano né cercano lavoro.
Il fenomeno è allarmante poiché riguarda cittadini che hanno deciso di rinunciare al lavoro in quanto non lo considerato più utile e conducente per la vita, non lo reputano un valore regolatore, non vedono sbocchi in avvenire, non credono in politiche del Governo loro dedicate.
La piaga degli infortuni sul lavoro nell’anno 2023 grava per n 1742 casi dei quali n 9 con esito mortale e le malattie professionali per n. 139 casi. Tali valori non includono i casi non dichiarati nel lavoro nero.
Gli ammortizzatori sociali (NASPI) erogati dalla Sede INPS di Trapani nell’anno 2023 riguardano 20.122 lavoratori e il Reddito/Pensione di cittadinanza nello stesso anno risulta erogato a n. 30.651 soggetti, con un importo medio mensile pro capite di Euro 584,42.
Da queste parti gli interventi della previdenza pubblica assumono la funzione di ammortizzatori sociali e strumenti di lotta alla povertà. I dati numerici esposti servono anche a correggere la portata della sproporzione fra occupati con reddito e disoccupati privi di mezzi di sostentamento.
Ulteriori sostegni vitali agli ultimi e al nuovo proletariato risultano portati dal volontariato che non di rado si surroga alla Pubblica Amministrazione.
Ancorché non manchino segni di dinamismo che scalano l’apparato produttivo dal fondo della realtà isolana (stando al rating giornalistico ci seguono Caltanissetta, Enna e Agrigento), in buona sostanza i riferimenti obiettivi disponibili evidenziano che il nostro territorio fatica a calarsi nella socioeconomia e utilizzarne i canoni. Stenta sovente a cambiare e prendere coscienza piena delle nuove realtà produttive, ad investire in futuro con le nuove start up che altrove risultano vincenti, resiste ad assimilare nel complesso una maggiore cultura d’impresa e di associazionismo (preferendo rifugiarsi magari nella tesaurizzazione bancaria alternativa).
E’ auspicabile una rimozione di cause ed effetti con una socioeconomia che faccia perno sulle le sue esperienze maturate presso nuove generazioni.
Un ruolo determinante è demandato alla scuola che deve costruire le generazioni in progress con la cultura umana e la cultura del lavoro quali valori necessari e utili all’interno di una società organizzata secondo i canoni di una corrente e corretta economia sociale.
L’operato della socioeconomia ad oggi costituisce materia di discussioni, con consensi e dissensi. Il dibattito sulle questioni dei rapporti tra economisti e sociologi si presenta aperto e incerto, votato al giudizio del futuro.
I rapporti degli esseri umani con l’economia indubbiamente devono fare i conti con le realtà del mondo. In ogni caso non pare possano escludere l’etica che oggi non sembra che abbondi; quell’etica costituita da parametri saggi e logici necessari per gestire le storture da noi stessi create con le conoscenze e la tecnologia, ultima ma non ultima l’intelligenza artificiale che creata dall’uomo da questi deve essere governata a fin di bene.
In primis deve essere posta e adottata sempre la questione del lavoro dell’uomo, da anteporre agli altri due fattori di produzione, impresa e capitale.
Per dirla con Vito Mancuso, l’etica, religiosa o laica che sia, anima o coscienza che dir si voglia, presente in tutti gli uomini d’affari che credono e anelano alla giustizia, deve partire dalla libertà, intendendo per libertà l’insieme di tre disposizioni: consapevolezza, creatività e responsabilità.
Inserito il 02 Febbraio 2024 nella categoria Relazioni svolte
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