Sulla presenza democratica in Sicilia tra il '700' e l'800' ha relazionato il prof. Pietro Siino, suscitando grande interesse e partecipazione nel numeroso pubblico presente
Relatore: Prof: Pietro Siino - Storico
E’ opinione generalizzata tra gli storici, opinione da noi condivisa, che quasi mai le grandi rivoluzioni avvengono per caso e che dietro ad ognuna di esse vi è sempre un lungo periodo di preparazione durante il quale un ruolo importante svolgono le idee che penetrando dall’esterno trovano terreno facile in ambienti politicamente e socialmente idonei a recepirle perché strutturalmente legati a situazioni anacronistiche a governi sordi allo spirare dei venti dei nuovi tempi. In tali realtà le nuove idee creano un’atmosfera di tacito fermento sprigionando gas esplosivi che, una volta saturato l’ambiente, aspettano lo scoccar della scintilla per esplodere e produrre una grave deflagrazione. Le condizioni ambientali senza la macerazione delle idee difficilmente producono grandi rivolgimenti.
Pensiamo alla Rivoluzione francese, certo le condizioni politiche (assolutismo regio) e sociali(notevole stato di miseria) erano drammatiche, ma sono state le idee dell’illuminismo che hanno preparato gli animi al grandioso evento. Di contro si pensi al fallimento della spedizione di Sapri di Carlo Pisacane. Egli, viste le condizioni economiche sociali e politiche del sud, era convinto che la rivoluzione potenzialmente fosse presente e che sarebbe bastata la scintilla per farla esplodere, ma così non è stato, e non sono bastate le poche copie del giornale La Libera parola fatti penetrare a determinare la maturazione delle coscienze, occorreva dell’altro: occorreva che le idee potessero circolare penetrare nelle coscienze per prepararle all’evento.
Ora se è vero che dietro ad ogni rivoluzione c’è il fermento ed il macerare di idee nuove, allora dobbiamo dedurre che applicando anche per la Sicilia questo teorema si deve giungere a respingere del tutto l’affermazione fatta da alcuni storici che ci presentano una Sicilia tra il Sette ed Ottocento sonnolenta, indifferente apatica, refrattaria ad ogni forma di idea nuova. Vediamo come stanno i fatti: Nel 1845 in un suo lavoro(Memorie inedite di pubblica economia e agricoltura) Paolo Balsamo scriveva: "Non vi è popolo così rozzo e barbaro nelle manifatture come il siciliano e non si esagera allorquando si dice che passa la medesima differenza tra i nostri artieri e gli inglesi, i francesi, gli olandesi , i tedeschi, che passa tra i nostri e quelli delle selvagge contrade d’Africa e di America"
Tale tesi ha ricevuto il sostegno di un altro storico Ernesto Pontieri(Il riformismo borbonico nella Sicilia del sette e ottocento) che così scriveva: Tagliata fuori dalle grandi vie di comunicazione e perciò estranea alle correnti di idee che circolavano sul continente, meno forse per l’insularità che per l’indole degli abitanti, agli influssi forestieri e, in conseguenza, rimasta indietro nel progresso generale degli spiriti e della cultura, essa presenta una particolare fisionomia in cui spiccano due note dominanti: l’ignoranza o, meglio, l’insensibilità dei mali che tribolavano l’isola e l’assenza di qualsiasi desiderio di innovazioni
A rendere ancor più credibili le affermazioni dei precedenti è intervenuta la strana, mi si consenta di dire cervellotica, lettura interpretativa del pensiero del filosofo di Castelvetrano, Giovanni Gentile. Egli nel "tramonto della cultura siciliana" aveva parlato di "sequestro della Sicilia", ma più avanti chiarisce, a scanso di equivoci il suo pensiero scrivendo La Sicilia era stata la sola parte d’Italia a non risentire socialmente il contraccolpo della rivoluzione francese. Non già che l’isola rimanesse affatto chiusa, come qualche volta si è detto, alle idee che venivano d’oltralpe, prima e dopo 1’89". Noi crediamo che il filosofo di Castelvetrano volesse dire che in Sicilia non si ebbero quelle esteriori manifestazioni che altrove si registrarono, così come non si ebbero riflessi nella vita amministrativa. Ma occorre tenere nel debito conto quale era la situazione politica dei tempi e del fatto che quando nel dicembre del 1798 i sovrani di Napoli si rifugiarono precipitosamente nell’isola, la grande maggioranza dei siciliani si illuse di poter vedere realizzato l’antico sogno di avere un re tutto per la Sicilia.
Nell’ottobre del 1975, celebrandosi a Palermo un congresso internazionale, promosso dalla Società Siciliana per la Storia Patria, per celebrare il centenario della fondazione, dal significativo titolo :La presenza della Sicilia nella cultura degli ultimi cento anni, quasi tutti gli studiosi intervenuti hanno se non del tutto smentito la tesi di un’isola immersa nell’indifferenza più assoluta, ridimensionando di molto quella tesi . Noi che parliamo ad un pubblico trapanese proprio per questo vogliamo riportare quanto lo studioso Virgilio Titone ha affermato tralasciando molti degli altri interventi mirati a testimoniare la vitalità della cultura siciliana tra Sette e Ottocento. Virgilio Titone ha sostenuto. :Non è mai esistito un periodo della nostra storia in cui la cultura dell’isola sia rimasta come segregata dalla cultura italiana ed europea. Il fatto che alcuni dei suoi rappresentanti, anche dei più qualificati, non abbiano accettato le mode e gli indirizzi altrove prevalenti o ad essi abbiano anzi reagito, non significa che li si possa escludere dal movimento contemporaneo delle idee o delle ideologie". Non possiamo tuttavia non riportare quanto sostiene Eugenio Di Carlo parlando della circolazione delle idee così scrive: " il settecento siciliano vide affluire nell’isola uno stuolo assai rilevante di viaggiatori di tutte le condizioni, di tutti gli indirizzi: poeti, artisti, letterati, numismatici, uomini politici etc. vennero da tutte le parti d’Europa, anche dalle più lontane, nonostante le difficoltà del viaggiare, nonostante i famosi pirati, nonostante la deficienza e la mancanza di alberghi, di locande, in alcuni posti soprattutto, nonostante le condizioni allarmanti, per lo meno non invitanti, della sicurezza pubblica". Più oltre egli afferma che, comparativamente, non vi fu allora altra regione d’Italia che registrasse un movimento di stranieri tanto rilevante quanto quello registratosi nell’isola.
La testimonianza del Di Carlo è diretta a dimostrare che venendo nell’isola quei viaggiatori erano portatori di idee di modi di essere, in sostanza erano strumenti di divulgazione. In sostanza il Di Carlo si fa sostenitore del fatto che quei viaggiatori furono veicolo e tramite di cultura trai loro paesi di provenienza e la Sicilia.
Ma indipendentemente da queste testimonianze, ne abbiamo altre che potremmo definire di prima mano, della presenza del pensiero europeo. Giovanni Meli scriveva che le opere di Rousseau costituivano già alla fine del Settecento lettura e strumento di conversazione nei salotti degli uomini in grado di leggere e che le nobildonne le portavano con loro durante la villeggiatura. Tommaso Mirabella nel saggio "Fortuna di Rousseau in Sicilia", scrive che attraverso minuziose indagini è pervenuto alla testimonianza che le opere del pensatore ginevrino fossero presenti in Sicilia ancor prima dello scoppio della rivoluzione. Salvatore Randazzini, a proposito della creazione di una biblioteca a Caltagirone nel 1799, scrive ’fecero parte dei nuovi libri entrate in biblioteca le opere complete di Rousseau, vol.20, l’opera innegabilmente celebre intitolata Enciclopedie ou dictionnaire raisonnè des sciences, des arts et des metiers fondata da Diderot con tutti gli altri accademici della Real Accademia di Parigi. E vi fecero parte tutte quelle opere nuove che in Francia si pubblicavano allora e che essa spediva in ogni parte d’Europa per diffondere le nuove ideologie.
Ma la testimonianza più diretta del fatto che in Sicilia la cultura europea vi giungeva ce la offre Giovanni Nepomuceno Gambino, che operava nell’università di Catania sotto la guida di Giannagostino De Cosmi.
A questo punto, prima di procedere oltre occorre fare una importante puntualizzazione. A quei tempi dal punto di vista del panorama sociale, politico e culturale la Sicilia può essere divisa in due parti :La Sicilia occidentale dominata da una classe nobiliare, restia ai cambiamenti perché gelosa dei privilegi goduti, che guardava con occhio benevolo al sistema politico inglese (monarchia costituzionale), l’altra, la Sicilia orientale, proprio perché da sempre più operativa dove era presente una borghesia attiva, perché esposta alle influenze più variegate, grazie ai due porti di Catania e Messina dove l’approdo di navi straniere era una normalità, mentre nel porto di Palermo, proprio per la sua posizione non vi era quel movimento. La Sicilia orientale era, quindi aperta alla influenza delle idee straniere, anche perché come accennato in quella università vi insegnavano uomini ni . molto aperti. Sarà proprio presso l’università di Catania che si formeranno quegli uomini che dal 1812 in poi faranno sentire la loro voce di democratici in seno al Parlamento Siciliano, ci riferiamo ai fratelli Rossi, Giovanni Gambino, Vincenzo Gagliani, Giovanni Ardizzone che accusati di giacobinismo saranno costretti o a lasciare l’isola, vedi il Gambino o a pagare con il carcere il prezzo delle loro idee, carcere che anziché fiaccarne lo spirito li rese più combattivi . Torniamo al Gambino il quale nell’Abrege de l’histoire de ma vie, scrive (traduciamo dal francese) ’Il mio primo maestro fu l’opera giovanile del Montesquieu, "le lettere Persiane" e aggiunge che successivamente si è innamorato della filosofia sociale di Rousseau. Nel 1780 egli scrive, il pensiero e le idee che provenivano al di là delle Alpi "s’entroduisaient a Catane en contrabande aver le livres. E quando giunse la notizia dello scoppio della rivoluzione francese egli esulta e crede che quella sia l’atto primo per la rigenerazione umana, il trionfo della libertà e della verità. Vede in essa il trionfo dei principi cristiani manifestati dal Cristo nel discorso della montagna: libertà, fratellanza e uguaglianza sono i principi del cristianesimo puro e primitivo, dice. Quella sua manifestazione d’entusiasmo, a lui, religioso, costeranno il carcere. Rimarrà rinchiuso nelle carceri di Palermo senza una accusa specifica per 13mesi e sarà liberato per intercessione di una nobile donna, la principessa di Casteffiorte. Dopo di che egli deciderà di "sputare " la Sicilia, di cambiare il cognome in Gambini e di andare, come lui scrive, incontro alla libertà, andrà a far parte della Repubblica Cisalpina, continuando ad operare per "cambiare il mondo ". Nel momento in cui il Gambini lasciava la Sicilia a piazza Santa Teresa, oggi Piazza Indipendenza si consumava il dramma di F.sco Paolo Di Blasi, assieme ad un gruppo di altri cospiratori. Il Di Blasi aveva organizzato un ardimentoso tentativo rivoluzionario, tentativo definito da molti folle, (Crispi invece lo considera un precursore del Risorgimento) scoperto venne arrestato assieme ai complici, e mentre i complici venivano fucilati a lui, perché nobile, venne riservato il macabro privilegio della decapitazione.
Che nell’isola vi fosse una discreta circolazione di idee provenienti dal resto dell’Europa è testimoniato dalle proposte innovative, avanzate anche in campo educativo dal De Cosmi. Egli per combattere l’anaffiabetismo strumentale dilagante allora in Sicilia, al fine di sopperire alla mancanza di maestri, proponeva di atttuare il metodo del" mutuo insegnamento " che avrebbe consentito, almeno l’apprendimento degli elementi base del leggere scrivere e far di conto. O alle idee rivoluzionarie, per allora, che il Tommaso Natale lanciava nelle "Rflessioni politiche intorno all’efficacia delle pene, e ciò faceva ancor prima che venisse pubblicata l’opera del Beccaria. Il Natale si fa sostenitore di un sistema carcerario che non avesse di mira di punire il carcerato, bensì il reato, per lui compito delle carceri sarebbe stato quello della redenzione e del recupero alla società del soggetto che aveva sbagliato. Quindi si fa sostenitore della necessità di incrementare le scuole per educare, convinto del fatto che assai spesso chi commetteva i reati era del tutto ignorante delle leggi che li vietavano Molto ottimisticamente pensava che ad ogni scuola che si aprisse, un carcere che potesse chiudere. Pur essendo contrario alla pena di morte, egli sostiene che vi sono reati in cui questa debba essere applicata, e solo per estirpare la "malapianta" che può proliferare.
Ci siamo limitati a citare solo i nomi di due pensatori, ma sono stati molti gli uomini di pensiero che in Sicilia, sulla scia del razionalismo e dell’illuminismo, produssero opere di grande spessore ideologico. Ed è in questa atmosfera che nell’isola si diffondono le prime logge massoniche, anche perché allora la Massoneria fu quasi una moda, tanto che vi aderivano molti uomini della Corte borbonica. Si pensi che nel 1754 il principe Pignatelli ricevette da Londra la patente di Gran Maestro della Massoneria di Napoli e Palermo e massone era lo stesso viceré Caramanico che sostituì il Caracciolo. Dai documenti risulta che il ministro borbonico Acton nel 1792 invia una lettera al Caramanico in cui lamenta che nelle logge del siracusano e di Catania "si dava lettura di seducenti e pericolosi libercoli contenenti massime pericolose alla pubblica tranquillità’:
Una cosa che ci ha colpito durante le nostre ricerche e l’aver trovato tra i primi massoni siciliani molti sacerdoti, appartenente al basso clero, e ciò fino al 1751, cioè fino a quando il papa Benedetto XIV non ne condannò l’esistenza. L’appartenenza dei sacerdoti prima alla massoneria e poi al movimento giacobino trova la giustificazione nel fatto che quei preti, per la maggior parte ignoranti di problemi e teorie politiche, vedevano nelle parole dei sostenitori di quelle sette la "diffusione in terra del vangelo divino ", loro che vivendo a contatto diretto con la miseria della povera gente, ne condividevano le aspirazioni miglioristiche. In ogni caso è accertato che a Palermo la setta massonica "I figli di Bruto "teneva le sue riunioni in casa del Di Blasi e che anche il Meli vi aveva dato la sua adesione. Sulla presenza della Massoneria in Sicilia vi è un lavoro di. E. Librino assai apprezzabile. Una diffusione maggiore ebbe nell’isola il movimento giacobino. Esistono due lavori, uno di F. Standone ’71 giacobinismo in Sicilia (1792-1802) " e l’altro di C. Lo Forte "Sul giacobinismo di Sicilia", sia pure con vedute e numeri diversi ci testimoniano la presenza di quel movimento. Anche consultando gli archivi abbiamo riscontrato l’esistenza di un cospicuo numero di indiziati di giacobinismo. Certo il fatto che in alcuni centri dell’isola, a più riprese si sia diffusa la psicosi del giacobinismo è testimonianza che sette, molte o poche vi dovettero esserci. Vi risparmiamo l’elenco dei nomi dei giacobini, soprattutto operanti nel catanese. Furono, tuttavia, le sette carbonare ad assumere un ruolo di primo piano sin dai primi anni dell’Ottocento Assai spesso si verificò un travaso tra le varie sette, per cui ad un certo momento tutte le sette cospirative finiranno con l’essere confuse con quelle carboniche. I documenti d’archivio ci testimoniano una presenza carbonara nell’isola già a partire dal 1817, allora un prete, certo Matteo Ferri svolgeva propaganda carbonara. Nel 1818 il duca Avarna di Gualtieri comunica al sovrano che a Palermo vi erano gruppi di persone che facevano propaganda carbonara. Solaro della Margherita, ambasciatore del governo piemontese a Napoli, scrive che in Sicilia la Carboneria è largamente diffusa e che l’abate don Menichini propagandava "massime democratiche ". Da quel momento il movimento carbonaro ebbe nella diffusione un crescendo rossiniano. ValentinoLabate nel suo lavoro "Un decennio di carboneria in Sicilia" così scrive: ’Ta carboneria, già largamente conosciuta in Sicilia, specialmente nel lato orientale, ebbe campo di diffondersi ancor più durante la rivoluzione per opera delle milizie napoletane... che avevano installate vendite dappertutto per guadagnare maggiormente gli animi alla causa napoletana. " Per comprendere questa affermazione occorre ricordare che con la concessione della costituzione di Spagna aveva diviso la Sicilia. L’occidentale, sostenitrice della costituzione del 1812 e la parte orientale sostenitrice della costituzione spagnola, che Morelli e Silvati, organizzatori del moto avevano indotto il re a concedere. E non bisogna a questo punto dimenticare che Morelli e Silvati erano due ufficiali dell’esercito napoletano al cui interno la carboneria aveva trovato moltissimi aderenti.
Bisognerebbe rifare tutta la storia degli avvenimenti succedutesi nell’isola per comprendere come la cecità politica dei Borboni contribuisse ad acuire gli animi e a spingere i siciliani più sensibili ad organizzarsi contro il sempre più odiato borbone. Basterebbe ricordare quello che avvenne allorchè il sovrano borbonico si vide costretto per la seconda volta(1806) a lasciare il continente per riparare a Palermo. Allora tutta una serie di iniziative che testimoniavano l’arroganza del re, e principalmente della sovrana, indussero alla protesta anche una parte della nobiltà. L’arresto di cinque nobili doveva indurre lord Bentinck, comandante della flotta inglese ad intervenire, nel timore che un sollevamento della nobiltà siciliana potesse favorire uno sbarco nell’isola delle truppe napoleoniche. Da qui la liberazione dei nobili, l’allontanamento della regina e la nomina come reggente, come alter ego, del figlio del re ed il suo allontanamento nella tenuta di caccia della Ficuzza. La successiva costituzione permetterà al fior fiore del democratismo siciliano di uscire alla luce del sole e ad impegnarsi a fondo nel tentativo di cambiare il volto politico e amministrativo dell’isola. Nel suo lavoro "Storia della Sicilia "scrive a questo proposito Francesco De Stefano.-Alla corrente democratica presente sulla scena, si dovette l’impostazione la lotta per le elezioni amministrative e politiche sul terreno delle rivendicazioni borghesi, la difesa del decentramento amministrativo, l’approvazione del progetto di censuazione dei beni ecclesiastici e comunali, il vittorioso contributo alla battaglia per l’abolizione della feudalità. "
L’azione dei democratici non si arresterà neanche dopo la fine dell’esperienza costituzionale. Quando, eliminato lo spauracchio Napoleone, l’Inghilterra abbandonerà l’isola al suo destino, ed il sovrano borbonico, tornato con i pieni poteri con i decreti dell’8 e 11 dicembre 1816, abolirà la costituzione creando Il Regno delle due Sicilie, i democratici non faranno disperdere le loro energie e continueranno a lavorare nell’ombra. Lo storico Nino Cortese nel suo scritto "L’Abela e la Carboneria siciliana ci offre un lungo elenco di cospiratori democratici, ma aggiunge che gradatamente anche soggetti moderati si associavano ai democratici. Una cosa che ci pare interessante è il fatto che trai carbonari che venivano arrestati in Sicilia troviamo nomi di intellettuali e professionisti non siciliani, ciò offre a noi il sospetto che già appena dopo il 1820 cominciasse un traccheggio cospirativo tra Sicilia ed il resto della penisola italica. Sarà certamente dopo il fallimento della rivoluzione siciliana del ’48 e la conseguente diaspora che il fenomeno cospirativo assumerà dimensioni notevoli. Si pensi che l’isola di Malta diventerà uno dei centri più attivi. Il "crogiulo " del cospirativismo dove Nicola Fabrizi, Rosalino Pilo e diecine di altri liberali si davano un gran da fare per far giungere in Sicilia pubblicazioni di ogni genere che essi stampavano a Malta, per tenere desto lo spirito democratico e cospirativo, ma anche al fatto che molti degli esuli siciliani svolgessero una notevole opera di sensibilizzazione e di propaganda. Francesco Crispi per ben due volte, sotto mentite spoglie giungerà nell’isola per coordinare il cospirativismo democratico. Certo questa mia chiacchierata non è sufficiente a testimoniare quanto andò svolgendosi nell’isola e quale contributo abbiano dato i democratici per spingere verso una presa di coscienza ed una maturazione di quel popolo che alcuni avevano definito sonnolento ed apatico. A quel popolo guardarono con occhio ammirato uomini come Bakunin e lo stesso Mazzini. Noi ci siamo limitati a far come l’ape a cogliere fior da fiore per dare un’idea della realtà. Prof. Pietro Siino
Inserito il 11 Novembre 2011 nella categoria Relazioni svolte
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