Amor che a nullo amato amar perdona... Da Firenze a Ravenna: un viaggio col sommo Poeta commentato dal prof. Antonino Tobia
Relatore: Prof. Antonino Tobia
Dante Alighieri amava dire che la sua famiglia discendesse dagli antichi romani. Essa, in effetti, apparteneva alla piccola nobiltà fiorentina grazie ai titoli acquistati dagli antenati. Nel Paradiso (XV, 138), il poeta afferma che il suo cognome derivi da una Aldighiera, appartenente forse agli Aldighieri di Ferrara, andata sposa a Cacciaguida. Questo suo trisavolo, nato a Firenze tra il 1091 e il 1096 e morto nel 1147 circa, aveva militato nella Seconda Crociata, al seguito dell’imperatore svevo Corrado III, da cui aveva ricevuto l’ordine del cavalierato. Da uno dei due figli di Cacciaguida, Alighiero, nacque Bellincione, che intraprese la vita politica nel comune di Firenze e fu tra i firmatari dell’alleanza di Firenze con Genova e Lucca contro Pisa (1251). Il figlio di Bellincione, Alighiero, così chiamato come il nonno, sposò una certa Bella, appartenente alla famiglia degli Abati e dal matrimonio nacque Dante nel 1265. Il piccolo fu battezzato col nome di Durante di Alighiero degli Alighieri tra il 14 maggio e il 13 giugno, ma prevalse il nome Dante, come ipocoristico di Durante.Quando nacqueDante,la penisola italiana era solo un’ 'espressione geografica' e continuerà ad esserla ancora per tanti secoli. A nord dominavano la Repubblica di Venezia, col suo vasto impero coloniale, il ducato di Milano con i Visconti, la Repubblica marinara di Genova, in ascesa economica e territoriale, soprattutto dopo la vittoria navale della Meloria del 1284.Nell’Italia centrale, Firenze mirava ad imporsi con il suo potere economico e finanziario, tanti altri piccoli Comuni si amministrano come città-stato, mentre lo Stato pontificio con capitale Roma, travagliato da lotte intestine tra le famiglie patrizie, impediva ogni possibile unificazione politica della penisola, geloso del suo potere temporale. A Napoli regnava la Casa d’Angiò; in Sicilia, dopo i Vespri Siciliani del 1282, si era affermato il potere aragonese.L’Italia faceva parte del Sacro Romano Impero, una confederazione di Stati, che comprendeva la Francia, l’Italia tranne il Mezzogiorno, la Germania, la Spagna settentrionale e successivamente anche la Polonia, la Boemia e l’Ungheria. Il Sacro Romano Impero, nato con Carlo Magno, a seguito della sua incoronazione a imperatore dei romani nella notte del 25 dicembre dell’800, per volontà del papa Leone III, rappresentava la continuazione dell’Impero Romano e in esso Dante credeva fermamente come istituzione politica sovranazionale, in grado di rappresentare la Monarchia Universale con a capo l’imperatore, garante di pace tra le nazioni. La costituzione di un’Europa federale, sognata e delineata da Dante nel suo trattato De Monarchia, ancora oggi stenta a realizzarsi, contrastata dall’imperantesovranismo dei singoli Stati.Quando Dante venne alla luce, Firenze era in una fase di espansione demografica ed economica.A partire dal XII secolo, i costumi si erano evoluti, grazie all’afflusso di denaro che proveniva dalle più grandi banche dell’Europa di allora, quella dei Bardi e dei Peruzzi, che avevano filiali in tutto il Continente e prestavano denari a mercanti e regnanti. La rapida evoluzione dei costumi non era, però, molto apprezzata da Dante. Egli provava nostalgia per quella Firenze chiusa 'dentro de la cerchia antica', quando 'si stavain pace, sobria e pudica', e le donne non portavano catenella, non corona / non gonne contigiate, non cintura / che fosse a veder più che la persona'.Questo nostalgico recupero memoriale delbel temporisacti Dante l’affida alle parole delsuo trisavolo Cacciaguida. Ma già anni prima,Dante aveva lamentato il cambiamento dei costumi e il nuovo stile di vita delle donne fiorentinenel Convivio(1304-1307): ' non si può bene manifestare la bellezza di una donna, quando li ornamenti de l’azzimare e de le vestimenta la fanno più ammirare che essa medesima (I,X,12).Ai tempi di Cacciaguida e fino al XIII secolo, ricorda il trisavolo, la nascita di una figlia era accolta con gioia dai genitori, perché erano certi chesi sarebbe sposata a tempo debito e con una dote modesta. Ma la ricchezza aveva mutato i costumi, sicché le bambine venivano maritate nella culla, e la dote, che prima non superava le cento lire,era diventata eccessiva per molti padri, aumentata fino a mille fiorini d’oro. Il fiorino era stato emesso dalla repubblica di Firenze un po’ prima che nascesse Dante, nel 1252. Nell’XI secolo, invece, la lira d’argento era diffusa in molti stati europei, espressione del sistema monetario carolingio. Le donne del bel tempo antico, ricorda ancoraCacciaguida, erano sicure di morire nelle loro case, non essendo costrette le famiglie ad emigrare dalla loro terra, colpite dall’esilio, a causa degli scontri tra le grandi famiglie della stessa città. Né subivano l’abbandono dei mariti, che l’avidità di guadagno spingeva a fare affari in terra di Francia o in altre regioni d’Europa, per esercitare la mercatura o il cambio.La città, ai tempi del trisavolo, era un -'dolce ostello e le donne : una vegghiava a studio della culla / e, consolando, usava l’idioma / che prima i padri e le madri trastulla; / l’altra traendo alla rocca la chioma / favoleggiava co la sua famiglia / de’ Troiani, di Fiesole e di Roma'. Le donne erano di costumi semplici, non si truccavano in viso, e la città -no avea case di famiglia vòte; / non v’era giunto ancor Sardanapalo / a mostrar ciò che ‘n camera si puote'. Insomma, a Firenze non erano ancora diffusi il vizio e la lussuria e i rapporti sessuali, lungi dall’essere depravati, erano indirizzati all’amore sincero dei coniugi e alla procreazione.La Firenze di Dante ha perduto le caratteristiche antropologiche e morali della Firenze del trisavolo. Il numero delle famiglie potenti è cresciuto a dismisura, il potere del denaro condiziona sempre più la politica del comune, la sobrietà d’un tempo ha ceduto il passo al lusso e all’apparire.Tuttavia, lo sfarzo esteriore, l’eleganza del vestire e gli ornamenti eccessivise distinguevano i poveri dai ricchi, se consentivano alle famiglie benestanti di soddisfare a dismisura i piaceri della tavola, riguardo alla qualità della vita le differenze tra i ceti abbienti e i meno abbienti si riducevano di molto. Tutti, infatti, erano angustiati dalle medesime condizioni del vivere civile: le dimore imponenti dei signori e le misere case del popolo erano altrettanto fredde, mancavano i vetri alle finestre, non c’era l’acqua corrente e non si conoscevano i servizi igienici. I comuni mortali facevano i loro bisogni in un angolo appartato della strada, mentre le case che disponevano di un 'chiassetto stretto tra da due case, tra le quali erano conflitte alcune tavole e il luogo da sedere' ( come documenta la novella Andreuccio da Perugiadel Boccaccio), lasciavano scorrere gli escrementi emessi direttamente sulla strada sottostante. I più poveri dormivamo completamente vestiti direttamente in terra su un sacco o una rozza coperta o su tavole di legno nell’unica stanza dove si cucinava,si pranzava, si lavorava. Solo gli aristocratici e i borghesi disponevano di una camera da letto e dormivano su materassi di crine, con lenzuola e coperte. Il letto era sormontato da un baldacchino chiuso da tendaggi per ripararsi dagli insetti e dal materiale che poteva cadere dal soffitto, spesso realizzato in legno con tetto di paglia. La frugalità era la regola dell’alimentazione. Il popolo mangiava due volte al giorno. Spesso per cena si consumava quanto era rimasto del pranzo, anche perché non era facile cucinare due volte al giorno.Il pasto consisteva in abbondanti zuppe di verdure o di cereali con o senza l’aggiunta di pasta. Una o due volte a settimana la zuppa diventava un piatto forte con l’aggiunta di carne di vitello o di pecora. Il pane era la base dell’alimentazione, gli altri elementi lo accompagnavano, perciò detti 'companatici'. I ricchi mangiavano tre volte al giorno, in quanto aggiungevano la merenda a metà giornata. La loro tavola diventava molto ricca solo in alcune ricorrenze, cerimonie e feste principali. Essa abbondava di quanto si potesse allora consumare:carni pregiate, selvaggina, pesci, torte fatte di uova, formaggio e latte, frutta, dolci serviti su vassoi d’argento, acqua e vini pregiati in caraffe cesellate. Gli eccessi delle 'grandi abbuffate' dei ricchi, specialmente nei conviti nuziali, non erano ben tollerati dalle autorità comunali, che finirono con l’emanare nel 1330 una legge per limitava a venti il numero delle portate.Al tempo di Dante, come Cacciaguida lamentava dall’alto della sua gloria celeste nel cielo di Marte, i matrimoni si combinavano nella culla e veniva stabilita la dote da assegnare alla figlia dinanzi al notaio. Dante era stato promesso sposo a Gemma Donati, in virtù di un contratto di matrimonio stipulato dalle due famiglie quando il poeta aveva dodici anni. Gemma era sua vicina di casa e coetanea, nata il 3 marzo del 1265, forse qualche mese prima di Dante, nato sotto il segno dei Gemelli (maggio). L’atto dotale porta la data del 7 febbraio 1277 presso il notaio ser Oberto Baldovini. Ma il poeta,bambino di appena nove anni, era stato fulminato dalla visione di una sua vicina di casa, Bice Portinari, figlia di Folco, un ricco mercante fiorentino, già promessa sposa dal padre ad un alto esponente dell’aristocrazia fiorentina, Simone de’ Bardi. Cupìdo aveva ferito il cuore del piccolo Dante quando per la prima volta aveva incontrato Beatrice a casa Portinari, alla ricorrenza di Calendimaggio, una festa stagionale con cui si celebrava a Firenze l’arrivo della primavera. Così racconta Dante quel mirabile evento del primo incontro:Novefiate già appresso lo mio nascimentoera tornato lo cielo de la luce quasi a uno medesimo punto … quando a li miei occhi apparve prima la gloriosa donna de la mia mente, la quale fu chiamata da molti Beatrice … Quasi dal principio del suo anno nono apparve a me, ed io la vidi de la fine quasi del mio nono. Apparve vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno, cinta e ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si convenia. In questo punto dico veramente che lo spirito de la vita, lo quale dimora ne la secretissima camera de lo cuore, cominciò a tremare sì fortemente che apparia ne le menimi polsi orribilmente; e tremando disse queste parole; Ecce deus fortiorme, qui veniensdominabiurmichi.… D’allora innanzidico che Amore segnoreggiò la mia anima(Vita nova,II,I). Dante era un ragazzino vivace, intelligente e studioso, anche se non di belle fattezze. Questo il ritratto che ce ne dà Giovanni Boccaccio:Fu dunque questo nostro poeta di mediocre statura, e, poi che alla matura età fu pervenuto, andò alquanto curvetto … Il suo volto fu lungo e il naso aquilino, e gli occhi anzi grossi che piccoli, le mascelle grandi, e dal labro di sotto era quel di sopra avanzato; e il colore era bruno, e i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso.Un giorno Dante, racconta il Boccaccio, stava attraversando una via di Verona, già famoso per aver pubblicato il suo Inferno. Passando davanti ad una porta dove più donne sedevano, una di loro disse scherzando sottovoce: Non vedi tu come egli ha la barba crespa e il colore bruno per lo caldo e per lo fummo che è là giù? Il poeta sorrise e passò avanti.La piccola Beatrice, di contro,appare come una giovanissima angioladi nobili e laudabili portamenti e di nobilissima virtù.Dante ricorda un secondo incontro, dopo altri nove anni. il sentimento è maturato e può trovare nella poesia la sua più sublime espressione. Beatrice ha diciotto anni e passeggia con altre due donne di maggiore età. Indossa un vestito di colore bianchissimo e, volgendo lo sguardo in direzione di Dante, gli rivolge un saluto e quella fu la prima volta che le sue parole si mossero per venire a li miei orecchi.Quel saluto tanto virtuoso inebria la mente del poeta,che desidera rifugiarsi da solo nella sua stanza. Qui si addormenta e in sogno gli appare il dio Amore nell’atto di dare il suo cuore in pasto a Beatrice, prima di portarla con sé in cielo.Seguendo l’etica dei Trovatori provenzali, Dante vuole mantenere segreto l’amore per la sua donna e per questo motivo finge di essere interessato ad 'una gentile donna di molto piacevole aspetto, la quale mi mirava molte volte, meravigliandosi del mio sguardare'. È quella che dagli studiosi è chiamata la donna-schermo. Ma guardare insistentemente una donna voleva dire, allora come ora, che tra i due giovani c’era del tenero e infatti le persone mormoravano: 'Vedi come cotale donna distrugge la persona di costui'. Il verbo distruggere, riportato da Dante, vuol significare che dal suo volto doveva trasparire qualche segno di turbamento che andava oltre la ricerca di uno schermo, buono solo a salvaguardare l’identità della donna amata. Tanto più che proprio a questa gentile donzella il poeta dedicò pure dei versi 'certe cosette per rima, le quali non è mio intendimento di scrivere qui (nella Vita nova). Dante appare preso da questa donna-schermo, poco angelicata e tutta terrena, se 'tanto amore' durò 'alquanti anni e mesi'. Non è difficile supporre che Dante amava Beatrice, ma intanto guardava le altre ragazze fiorentine. Egli faceva parte di un’allegra brigata di giovani culturalmente e socialmente appetibili dalle ragazze. In questa atmosfera, il Nostro decise di stilare una lista di fanciulle con i nomi delle sessanta più belle de la cittade. Della lista fecero parte sia la donna-schermo, sia la sua Beatrice, collocata al nono posto. Le doti che le pulzelle dovevano possedere non riguardavano la sfera etica e il candore verginale, quanto l’aspetto fisico e i loro attributi tipicamente femminili. Nei capitoli VII-IX della Vita nova, il poeta racconta che improvvisamente la donna-schermo, cui aveva rivolto il suo sguardo per tanto tempo, partiva dalla città. L’assenza della giovane lo addolorava al punto da tradurre in versi il suo stato d’animo. Tuttavia, non dovette durare a lungo tale vuoto affettivo, se Amore gli suggerì di scegliersi una seconda donna-schermo. Beatrice, però, non prese bene la nuova scelta di Dante e, incontrandolo, gli negò il saluto. Disperato, il poeta decise di dedicare la sua poesia solo alla celebrazione della sua donna-angelo, quella 'coronata e vestita d’umiltade', da tutti così esaltata: Questa non è femmina, anzi è uno de li bellissimi angeli del cielo'. L’immagine di Beatrice è ormai avvolta in tutta la sua beatitudine celeste, e così il poeta la canta nel sonetto più famoso della Vita nova, Tanto gentile e tanto onesta pare, ritratto lirico della donna-angelo.Il sonetto è la più alta espressione poetica dello Stil Novo, la scuola poetica di cui facevano parte Guido Cavalcanti, Lapo Gianni e quanti si dichiaravano fedeli d’amore, giovani della buona aristocrazia intellettuale di Firenze, ammirati dalle fanciulle, che aspiravano a divenire le loro muse e ricevere l’immortalità dell’arte. Dante e i suoi amici frequentava molte donne, sia quelle indirizzate all’amore sacro, sia le più numerose dedite all’amore profano. Infatti, se la Vita nova suggella l’esperienza amorosa giovanile di Dante per la sua-'donna angelo-, le Rime. composte negli stessi anni, registravano altre esperienze e giovanili ardori.Si legga il famoso sonetto Guido, i’ vorrei che tu Lapo ed io. Qui, passione, amicizia, sogno e realtà si fondono in un’atmosfera di sereno abbandono, senza infingimenti allegorico-filosofici. Cosa ci può essere di più dolce che trascorrere una bella giornata in armonia su un vascello con gli amici più cari, Guido Cavalcanti e Lapo Gianni, e potere discutere d’amore con le proprie donne? Il verbo discutere, dal lat. dis- e quatere, non implica un semplice sussurrarsi tra due soggetti, bensì il modo di agitarsi di questi tre giovani spasimanti in intimità con tre belle fanciulle dotate di appeal. Guido ama Vanna, Lapo monna Lagia, Dante vorrebbe avere vicino 'quella ch’è sul numer de le trenta'. Dante conosce bene monna Vanna e lui stesso nella Vita nova c’informa che dalla gentile donna ha tratto affettuosa consolazione dopo la morte di Folco Portinari,il padre di Beatrice, che precede di un anno la morte della figliola. Ma donna Vanna non sembra ricambi l’amore di Guido, che perciò ritiene irraggiungibile il bel sogno dell’amico, come Guido stesso scrive in risposta all’invito di Dante: se la sua donna 'tenesse altra sembianza / assai mi piaceria siffatto legno'. Sorge il dubbio che monna Vanna fosse interessata più a Dante che a Guido. Non conosciamo, invece, in che termini si svolgesse la relazione amorosa di Lapo con monna Lagia, anche perché, a differenza di Guido, non sembra che Lapo abbia risposto a Dante. Ma chi è la donna che il Nostro desidererebbe avere con sé sul vaselloincantato? Egli c’informa che la donna desiderata occupa il trentesimo posto nella graduatoria delle sessanta bellissime donne fiorentine da lui stilata. Non si tratta certo di Beatrice che aveva collocato al nono posto. Resta da credere che si tratti della donna-schermo, la prima o la seconda, che, come appare, doveva molto piacergli e con la quale forse aveva istaurato un certo rapporto confidenziale. Certi incontri dovevano essere possibili, come c’informa il Boccaccio, sebbene al tempo di Dante, le donne non godessero di molte libertà. Per i Padri della Chiesa la donna faceva parte delle -cose necessarie all’uomo-, per servirlo e assicurargli la continuità della specie. Dal Decameron, però, apprendiamo che molte giovani donne rivendicavano i diritti della carne, e per soddisfare i loro ardori spesso di nascosto s’incontravano con i loro amanti, pur affrontando i castighi dei loro congiunti. È noto il caso di Lisabetta da Messina, giovane assai bella e costumata, che sceglie come amante un giovane pisano, bello e leggiadro di nome Lorenzo, che lavorava nel fondaco di famiglia alle dipendenze dei suoi tre fratelli. Uno di questi, però, si accorse delle sortite notturne della sorella e con gli altri due fratelli decise di eliminare il giovane e di nasconderne il corpo. Anche Simona, come Lisabetta, è uno dei personaggi femminili del Decameron, protagonisti di un amore clandestino che avrà una tragica conclusione. La povera fanciulla s’innamora di Pasquino, entrambi lavoratori della lana. Un giorno decidono di appartarsi in un giardino e 'dopo gran pezza sollazzatisi insieme', decidono di far merenda. Dopo aver mangiato, Pasquino vuole pulirsi la bocca, i denti e le gengivestrofinandosi con delle foglie di salvia, che cresceva ivi rigogliosa. Ma improvvisamente - egli s’incominciò tutto nel viso a cambiare, e appresso al cambiamento non istette guari che egli perdè la vista e la parola, e in breve egli si morì-. Accusata di veneficio, Simona, per provare la propria innocenza,volle ripetere davanti al giudice l’operazione medesima con la salvia e ne morì. Solo dopo, fu trovato sotto il cespuglio di salvia la causa dell’avvelenamento: un rospo di straordinaria grandezza aveva reso velenose le foglie della pianta.Nel 1287 Beatrice sposava un ricchissimo banchiere fiorentino, Simon dei Bardi, vicino al partito dei Neri, capeggiato dai Donati, mentre la famiglia di Beatrice parteggiava per i Cerchi della fazione dei Bianchi.Si trattava di un matrimonio combinato dalle famiglie, come sarà anche quello di Dante, che sposerà Gemma della famiglia dei Donati, pur essendo egli sostenitore dei Cerchi.S’ignora quando Dante sia convolato a giuste nozze con Gemma. La maggior parte dei dantologi sostiene che Dante fosse stato promesso sposo a Gemma, nata lo stesso anno del poeta, quando ancora era un ragazzino di dodici anni. Molti critici sostengono che le nozze siano avvenute dopo la morte di Beatrice, dopo il 1290 e prima ancora della sua iscrizione all’Arte dei medici e degli speziali, condizione necessaria per potere partecipare alla vita politica.Anche lo studioso Alessandro Barbero, nel suo recente saggio su Dante, sostiene che il poeta contrasse matrimonio solo dopo la morte di Beatrice, avvenuta forse per i travagli del parto appena tre anni dopo il matrimonio, e che le sue nozze non fossero state combinate dai parenti, quando Gemma e Dante erano in tenera età. Come si legge nel Trattatello in laude di Dante del Boccaccio, pare che il giovane poeta, quasi venticinquenne, orfano anche di padre, morto nel 1283, fosse stato incoraggiato da parenti e amicia prender moglie per consolarsi della prematura scomparsa della donna che egli continuerà ad amare per tutta la vita. È difficile stabilire la verità, anche perché sembra che al tempo di Dante si continuasse a stipulare contratti notarili per stabilire la dote, che sarebbe stata versata per le nozze. È probabile che il padre di Dante, rimasto vedovo della moglie, morta tra il 1270 e il 1273, abbia voluto assicurare un sostegnoeconomico e sociale al figliolo, rimasto orfano, imparentandolo con un rappresentante della famiglia Donati. Il nome della moglie, Gemma Donati, non figura in nessuna opera del poeta, anche se da lei ebbe tre o quattro figli: Jacopo, Pietro, Antoniae forse Giovanni, il primogenito.In effetti, la morte di Beatricenel 1290 segnò una svolta radicale nella vita del poeta, che attraversava un periodo di profonda crisi. L’unico conforto al doloreera lo studio della filosofia, il cui interesse cacciava e distruggeva ogni altro pensiero. Al tempo stesso leggeva i classici latini, Ovidio, Lucano, Stazio e soprattutto Virgilio, che considererà il suo maestro e il suo autore, quello che lo introdurrà nel mondo d’ogni luce muto e lo avvierà lungo la via del perdizione eterna e della penitenza fino alle porte del Paradiso. Lo studio della filosofia presso i Francescani di Santa Croce e i Domenicani di Santa Maria Novella, la lettura del De consolationephilosophiae di Severino Boezio avranno contribuito ad impegnare la mente e l’animo del poeta.Ma, quando si è in preda ad una depressione, vale più dello studio il calore di una parola amica, da cui trarre conforto. Una giovane e bella donna mostra compassione per il poeta affranto, i cui atti e l’espressione erano atteggiati a profonda tristezza. Dante accetta l’amabilità di questa donna gentile e ne rimane turbato, al punto da ispirarlo poeticamente. Nel XXXVIII capitolo della Vita nova, il fervore che il poeta prova per questa donna è palesemente posto in versi: Gentil pensero che parla di vui / sen vene a dimorar meco sovente, / e ragiona d’amor sì dolcemente, che face consentir lo core in lui … Il poeta dichiara che ogni suo pensiero verge verso questa donna, e che una nuova passione spinge il suo cuore ad essere consentaneo, finché in sogno gli verrà Beatrice a richiamarlo alla fedeltà.Forse perun tardivo pentimento e per discolparsi, il poeta stesso annota nel Convivio che 'la donna di cu’ io innamorai appresso lo primo amore fu la bellissima e onestissima figlia che lo Imperadore de lo universo, a la quale Pittagora pose nome Filosofia (II, XV 12) e. per lodare tale donna, ricorre all’allegoria e scriverà la canzone Amor che ne la mente mi ragiona. Montanari, attento studioso di Dante, afferma che le donne di cui Dante parla nella Vita nova sono donne terrene, oggetto di innamoramento e attrazione fisica; al contrario, nel Convivio ogni donna trattata assume un significato allegorico e, in questo senso, il Convivio segna già la via verso il poema allegorico, la Commedia.Si è trattato, in ogni caso, di una relazione passionale, coinvolgente ma non duratura. Dante aveva bisogno di un suo ubiconsistam che lo aiutasse a maturare come intellettuale e cittadino di Firenze. Da qui,. il matrimonio con Gemma, la costituzione di una famiglia numerosa, l’impegno politico. Ma la serenità del talamo e i successi del suo cursus honorumdurarono pochi anni. Nel 1302 Dante cade nell’agguato di papa Bonifacio VIII e dall’odio dei guelfi neri, alleati del papa. Da quel giorno, 10 marzo 1302, dovrà lasciare per sempre ciò che aveva di più caro, la famiglia e la sua città, di cui era stati priore. Non risulta che abbia avuto più rapporti con la sua Gemma. Ma Dante amava il gentil sesso come uomo e come poeta. Certo, non era un lussurioso, ma, e lui stesso lo riconosce, eccessivamente superbo e con un forte amor proprio, che gli impedirà di accettare il suo rientro dall’esilio attraverso un atto penitenziale e una richiesta di condono.La donna era stata sempre la sua musa ispiratrice, come in genere di tuttii poeti e artisti. Dante, seguendo il galateo dei trobadores, da vero gentiluomo non rivelava il nome della donna amata, almeno che non si fosse trattatodi un puro canto di amor sacro, come nel caso della sua donna-angelo, Beatrice. Le altre donne che ha incontrato nella sua giovinezza, a Firenze, e poi durante il suo girovagare di corte in corte, sono indicate con nomi fittizi come Violetta, Lisetta , Pietra. Si tratta di senhal, espediente usato dai poeti provenzali per nascondere l’identità della persona cui era dedicata la canzone. Chi si nasconde dietro il nome fittizio di Pietra? Il nome ricorre in uno dei testi più noti delle Rime dantesche, quelle dette petrose (1295-96),pubblicate dopo il romanzo autobiografico,la Vita nova(1292-94). Il gruppo delle Rime petroserappresenta una fase successiva all’esperienza stilnovista, sia per il contenuto, sia per la scelta linguistica. Petra è la donna, di cui il poeta si è innamorato, ma lei non è più la donna-angelo degli stilnovisti, al contrario non ha neppure un cuore gentile, anzi è una creatura crudele, insensibile e spietata. Se la donna angelicata della fase stilnovistica purificava l’amante con il suo puro amore, elevandolo al cielo, Petra è l’anti-Beatrice, suscita passione , esprime una forza sensuale che devasta la mente e l’anima del poeta. Ma Pietra non cede al suo spasimante, ha un cuore di pietra, e oppone un netto rifiuto allo sconsolato amante. Da qui, il desiderio di vendetta dell’innamorato, che tramuta in accenni d’ira la sua volontà di vendicarsiper infliggere alla donna, priva di un cuore gentile, le stesse pene d’amore che lo opprimono. Così scrive nel commiato della canzone: Canzon, vattene dritto a quella donna/ che m’ha ferito il core e che m’invola/ guelloond’io ho più gola,/ e dàlle per lo cor d’una saetta;/ ché bell’onor s’acquista in far vendetta.Non siamo in grado di identificare questa giovane donna dal cuore rivestito di diaspro, che respinse il tenace sentimento amoroso del poeta. Potrebbe trattarsi di Pietra dei Brunacci, moglie di Francesco Alighieri, fratellastro di Dante, nato dalla seconda moglie del padre.Probabilmente, questo approccio d’amore fallito avvenne prima di sposare Gemma, anche se pare che durante le tante gestazioni della moglie, egli si consolasse con la sua bellissima schiava, Gilla, molto cara a Gemma, se piace prestar fede a quanto si legge in M. Marazza, autrice del bel romanzo La moglie di Dante.Neppure abbiamo certezza di conoscere chi si nascondesse dietro il nome di Gentucca, la donna che il poeta conobbe a Lucca durante l’esilio,. È dubbiose Gentucca corrisponda ad un nome vero o convenzionale.Tale nome è pronunciato dal poeta lucchese Bonagiunta Orbicciani nel XXIV canto del Purgatorio, all’interno di una profezia che interesserà Dante: Femmina è nata, e non porta ancor benda,/ … che ti farà piacere/ la mia città come c’om la riprenda … Il senso di questi versi non è chiaro. Alcuni critici ritengono che il poeta introduca strumentalmente questa figura femminile nel suo poema, per mitigare i giudizi negativi espressi sui lucchesi nei canti XVIII e XXI dell’Inferno, dove i magistrati e i reggitori di Lucca sono bollati come gente adulatrice, corrotta e incline alla baratteria. Si tratterebbe, quindi, di una palinodia con un preciso significato politico, una forma di ritrattazione che avrebbe potuto rendergli più agevole l’esilio a Lucca.Ciò, tuttavia, non esclude che tra la bella lucchese e l’esule fiorentino ci sia stata una relazione amorosa, anche perché nell’uso lucchese Gentucca è sinonimo di 'gentile'.Dante era solo nel suo peregrinare di città in città, senza il sostegno affettivo ed economico di una famiglia; le sue giornate erano dedicate allo studio, alla poesia e agli incarichi ufficiali che di volta in volta doveva assolvere per il signore di turno. Il poeta era ancora giovane e aveva bisogno di una donna che rasserenasse il suo animo esacerbato dalla condanna a morte decretata dal senato della sua amata e odiata Firenze. Avvertiva nel suo animo la grave ingiustizia subita e si rifiutava di presentarsi in veste di penitente al Battistero e dichiararsi colpevole di baratteria, lui che non si era mai lasciato corrompere a danno del Comune.In un tale stato di depressione psicologica non dovette essere difficile per Gentucca occupare un posto nel cuore del poeta, al punto da indurlo a cambiare l’opinione che aveva espresso nell’Inferno sui Lucchesi. Monna Gentucca non doveva essere solo bella, ma anche sensibile alla poesia, e sicuramente le fluide terzine dantesche dovevano echeggiare nel suo cuore e rivelarsi come lusinga e allettamento. La loro non dovette essere una amicizia superficiale se osava compromettersi nell’ospitare un esule, un pericoloso ricercato politico, che, per di più, era stato molto severo nel giudicare i potenti della sua città. Lei stessa doveva appartenere ad una famiglia nobile e forse il nome Gentucca suonerebbe come sinonimo di 'gentile', accezione tipica del linguaggio popolare dei lucchesi, ma anche attributo di un cuore nobile: Al cor gentil rempaira sempre amore, aveva cantato Guido Guinizzelli, il padre dello Stilnovismo.Purtroppo il poeta dovette interrompere il soggiorno lucchese privarsi del conforto affettuoso che ne aveva derivato. Il governo fiorentino aveva minacciato di rappresaglia la città di Lucca, e intimava al senato di non offrire asilo ad un pericoloso fuoruscito, sul cui capo pendeva la condanna al rogo.Dante è costretto, quindi, a riprendere le sue peregrinazioni da una corte all’altra, a trascorrere le lunghe giornata insieme ai Signori e agli uomini di governo, che lo ospitavano e se ne servivano come segretario politico e ambasciatore.Ma, né gli affari diplomatici né le sue missioni di rappresentanza potevano spegnere il fuoco dell’amore e della poesia che era la sua intima voce. L’Alighieri era un raffinato intellettuale, una persona abile, brillante e amabile conversatore, che sapeva affascinare e ascoltare il palpito dei cuori delle gentili castellane. La sua parola faceva sognare e le aiutava ad evadere dalle tetre mura dei loro castelli. Le nobili dame erano sedotte dai racconti del bel tenebroso e le lunghe serate trascorrevano nell’incanto dei versi cesellati dal poeta, in cui rivivevano gli amori di Ginevra e Lancillotto, Tristano e Isotta,Abelardo ed Eloisa, o ancora di Paolo e Francesca.Come Penelope ad Itaca, così Gemma a Firenze sperava nel ritorno del suo sposo.Ma se Penelope dopo venti anni poté ricevere nel suo talamo lo sposo agognato, Gemma rimase vedova bianca per sempre, perché Dante non cedette al richiamo dell’amore coniugale, vinto dalla sua fierezza e dal suo orgoglio. O forse il bel tenebroso aveva dimenticato i suoi doveri coniugali, distratto dai tanti incontri femminili che di volta in volta accendevano nuove passioni confessate o inconfessabili?Ci aiuta a meglio conoscere Dante sotto questa luce la nota di Marina Marazza, sebbene si tratti della ricostruzione letteraria di una donna che sa bene interpretare il dramma di una moglie abbandonata. La scrittrice, ad un certo punto del suo racconto, introduce Corso Donati,focosamente innamorato della cugina Gemma. Questi, alla disperata moglie, che gli chiedeva aiuto perché favorisse il rientro a Firenze del marito, risponde con sorriso cattivo da lupo, che gelava la povera donna:' E credi davvero che in questi lunghi anni, come dici tu, il tuo bravo marito si sia mantenuto casto come te? Le voci corrono … ha una donna in ogni porto, come i marinai. E tutte giovani e belle, e piene di pietà e comprensione per questo povero poeta esiliato ingiustamente dalla sua città e che sa parlare così bene, che sa recitare canzoni d’amore e citare i classici … Ma tu lo sai. Ti era infedele anche prima, anche quando viveva con te. Non sei così stupida, non lo sei mai stata'.Gemma, sconvolta da quelle parole feroci, lascia che il cugino approfitti della sua angoscia e del suo sfinimento, travolta dall’onda della gelosia e da un acuto desiderio di vendetta.Dante, uomo e poeta, ha sperimentato il variegato universo dell’amore, ed è stato capace di declinarlo in tutti i suoi gradi. Ha immortalato Francesca da Rimini, quale rappresentante dell’amore passionale, paladina della libertà di amare, fino all’adulterio. Nel canto quinto del Purgatorio, in pochi versi d’intensa forza espressiva, ha denunciato la violenza subita da Pia dei Tolomei, la nobildonna senese, costretta, come Francesca, ad un matrimonio, che presumibilmente culminò con l’omicidio concertato dal marito.Piccarda Donati, nel canto III del Paradiso, è presentata vittima innocente della brutalità e della sopraffazione del fratello Corso Donati,che coartò la volontà della sorella, traendola a forza dal dolce chiostro, costringendola a sposare un nobile fiorentino, Rossellino della Tosa, tra i più focosi partigiani del partito dei Neri. La leggenda vuole che Piccarda 'immantanente infermò e finì li suoi dì e passò allo Sposo del Cielo al quale spontaneamente s’era giurata' (Ottimo).Ma, su tutte le donne che il Sommo poeta ha conosciuto, incontrato, desiderato, Beatrice è rimasta la sola donna che ha amato di un amore sublimato ed etereo, la divina creatura che lo ha aiutato ad uscire dalla selva oscura, e ad avviarsi verso una vita nova.Attraverso Beatrice, Dante arriva alla visione di Dio, atto puro, motore immobile, 'colui che move il sole e l’altre stelle'.prof. Antonino Tobia
Inserito il 24 Maggio 2024 nella categoria Relazioni svolte
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