La dott.ssa Gabriella Malizia della Sovrintendenza BB.CC. di Trapani, ha centrato la sua relazione sull'asserto 'Chi dice femmina dice ambasciatrice di vita, di cultura e di pace'
Relatore: Dott.ssa Gabriella Malizia
(Il contenuto della relazione, qui riportata, è tratto dal n. 1 della Rivista "La Risacca".)
La figura femminile è stata protagonista quasi assoluta dell’ evoluzione dell’uomo: la femmina è stata il vero e unico 'angelo del focolare', in un’accezione che non vuole essere riduttiva, ma indicare il senso della sua presenza nella vita: ambasciatrice di vita, di cultura e di pace. Autorevoli dati scientifici scaturiti dalla ricerca antropologica, permettono di affermare quella che potrebbe apparire una mera e scontata rivendicazione femminista, e invece molto più proficuamente potrebbe funzionare come riscatto da una secolare ed equivoca concezione della donna, spesso e a torto considerata inferiore all’uomo. Malgrado la versione quasi sempre maschilista che la tradizione ci offre sui rapporti sociali, bisogna sfatare i pregiudizi che in questo campo hanno preso piede. La fortunata scoperta delle ossa di una piccola femmina di Australopithecus soprannominata 'Lucy' , avvenuta nel 1974 per opera dell’antropologo Donald Johanson, mise in evidenza che si trattava di una femmina adulta di ominide: la grandezza della scatola cranica, la mandibola ad 'U' simili a quella delle scimmie antropomorfe, il cranio con il foramen magnum (da cui esce il midollo spinale) posto verso la sua parte basale, e la conformazione delle ossa pelviche, erano tutti chiari indizi che si trattasse di un bipede, un primate che camminava eretto. Quando, intorno a venti milioni di anni fa, in Africa si formò la Rift Valley e la terra sprofondò riempiendosi di sedimenti e materiale lavico, si alterò 1’ordine climatico. con un conseguente restringimento della superficie della foresta. Gli alberi, fitti ormai solo lungo i fiumi, non permisero più la brachiazione, cioè quello spostamento del corpo che la scimmia, avendo abbandonato l’andatura da quadrupede, effettuava ormai aggrappandosi ai rami. Le scimmie dovettero scendere dagli alberi: la foresta moriva intorno a loro, bisognava imparare di nuovo a camminare per procurarsi il cibo. Maschi e femmine si mescolarono liberamente con associazioni temporanee in bande, ma la base della struttura rimase il legame madre-figlio per lunghissimo tempo. Le più antiche vestigia della storia umana non proclamano la supremazia del maschio, al contrario, ci ricordano continuamente la funzione capitale che la natura ha affidato alla femmina, in tutte le strutture della vita. Mentre la scimmia antenata dell’ominide, dovendo impegnare i quattro arti per spostarsi, spingeva il piccolo ad afferrarsi a lei con le mani, cosa che non escludeva l’eventualità che il cucciolo rotolasse al suolo, la 'nouveau femme', l’ominide appunto, liberò le mani da compiti che non fossero la protezione e la ricerca del cibo. L’evoluzione selezionò pertanto quegli individui che affidarono la deambulazione a due soli arti. A questo punto la madre bipede 'inventa' la figura del marito, inventa la coppia, affidando al padre dei suoi figli la cura temporanea dei piccoli mentre lei va alla ricerca del cibo. Le femmine passano più tempo a cercare cibo, perché devono sfamare i figli; nello stesso tempo si occupano di loro, instaurando un rapporto che rafforza la coesione del gruppo, in quanto garantisce risultati economici come la difesa e la condivisione del cibo. La femmina ominide riuscì a garantirsi la collaborazione del maschio attraverso una nuova ricettività: camminando eretta non mostrò più i genitali e inibì l’emanazione dei feromoni, tecniche ormai inadeguate alle nuove esigenze strategiche di attrazione sessuale. Accoppiandosi anche fuori dal periodo di estro, la femmina sovverte l’ordine: si rende disponibile per un periodo maggiore, riducendo così la competizione fra i maschi che si contendono le femmine per assicurarsi il successo riproduttivo. Vengono premiati i maschi meno aggressivi, che si trovano così a ricoprire un nuovo ruolo sociale, di collaborazione con le femmine per la ricerca del cibo. Grazie alla stazione eretta, i maschi sono portati a scegliere le femmine in base a segnali non necessariamente sessuali: si sviluppa la selezione epigamica, in funzione cioè di caratteristiche del corpo non direttamente coinvolte nell’attività sessuale, nuovi strumenti della comunicazione, rappresentati dagli occhi, dalla bocca, dal colore del pelo. Così, mentre la femmina procurava il cibo, educava i figli, difendeva la famiglia, sceglieva il maschio migliore per il perpetuarsi della specie, allo stesso tempo da vera leader teneva unita la famiglia, e introduceva quel quid che avrebbe cambiato il sesso, praticato fino allora per istinto e al solo fine riproduttivo, un quid che è l’ innamoramento, lo scambio, la comunicazione tra due esseri. La storia stessa ci insegna dunque che non c’è nulla di nuovo sotto il sole, insomma le femministe degli anni ’70, bruciando in piazza i reggiseno per affermare la propria libertà sessuale, non hanno fatto niente di nuovo: già le loro lontanissime antenate avevano compiuto la loro personalissima rivoluzione sessuale, molto più semplicemente cominciando a camminare su due piedi. Cancelliamo allora l’immagine della femmina sottomessa o inferiore, della quale solo i progressi della"civiltà" sarebbero riusciti a fare un’avvocatessa d’assalto o una manager stimata. Fin dall’origine la fermmina è stata accanto al maschio, in posizione paritaria, sostegno vicendevole l’uno verso l’altra, portatrice della vita e della speranza, albero della razza e dell’avvenire. E’ stata tutto questo e continua ad esserlo oggi, al di là delle forme e delle apparenze che la storia traccia con le passioni degli uomini. Gabriella Malizia
Inserito il 04 Marzo 2011 nella categoria Relazioni svolte
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