Il prof. Francesco Torre, in una documentata relazione, ha illustrato le meraviglie archeologiche dei fondali marini
Relatore: Prof. Francesco Torre
Quanto importante fosse la Geoarcheologia per lo sviluppo e l’economia professionale e scientifica me lo fecero capire gli americani durante l’ultima spedizione presso il Banco Skerki. A bordo di un sommergibile nucleare della Marina Militare Americana, rimanendo per tre giorni e tre notti alla profondità di 800 metri ho potuto studiare i fondali marini, e capire, oltre che esserne testimone oculare, di come cominciano a formarsi a queste profondità i sedimenti, embrioni di quello che saranno in futuro le nostre imponenti formazioni calcaree. Miliardi e miliardi di gusci di plancton si andavano depositando sulla superficie del fondo marino e l’impressione era che tutto rimaneva piatto e senza spessore: ogni mille anni il fondo aumenta di un solo centimetro. Il sommergibile avanzava a 2 nodi l’ora, mentre io appiccicato all’oblò vedevo venire incontro ogni sorta di meraviglia, relitti di navi, anfore, valli, dossi, grosse buche scavate dalla balene che si adagiavano sul fondo, e poi ancora tutto piatto per miglia e miglia, in un silenzio tombale, squarciato soltanto dal bip del sonar di bordo. Tutto ciò che si vede a quelle profondità è meraviglioso, dalla nascita di un nuovo vulcano alla terrificante apparizione vicino l’oblò di un pesce abissale. La luce si perde a 350 metri circa, dopo comandano le luci di bordo. Il sottomarino esplora il fondo stando a circa tre metri dallo stesso ma poggiandosi e camminando sui fondali, con delle ruote, quando è necessario osservare da vicino. 'Questa scoperta, come dice Robert Ballard, scopritore del Titanic, apre una nuova era per lo studio dell’archeologia di mare profondo. Una nave affondata è un momento del tempo racchiuso nelle profondità del mare, la sua animazione è stata solo sospesa". I rischi che si corrono sono anche tantissimi . Due sottomarini nucleari, prima della costruzione di questo sono scoppiati. La pressione a quella profondità è poco meno di una tonnellata per centimetro quadro. Per esaminare i sedimenti bastava svuotare il contenuto dalle anfore. I sedimentologi e i paleontologi facevano il resto. La nave oceanografica aveva ampi laboratori adibiti alle analisi. I sonars del sottomarino erano in grado di rilevare oggetti a decine di miglia di distanza e di conoscere la natura, la grandezza ed il tipo di materiale di qualsiasi tipo di oggetto sepolto nei sedimenti marini. Descriverò ora sommariamente ciò che si è trovato dal 1989, anno d’inizio della spedizione sino al giugno 1997, data della fine della spedizione americana e cosa hanno fatto gli archeologi ed i geologi americani, canadesi e inglesi, a largo di Banco Skerki, a 70-80 miglia dalle coste siciliane. Il lavoro si è svolto in acque internazionali, e fuori dalle 24 miglia del limite della Convenzione di Montego Bay, non ratificata fra l’altro dallo Stato Italiano, ad 800 metri di profondità e quindi fuori di molto dalla famosa piattaforma continentale. Nel "Bank Skerki Project", così come veniva definita questa spedizione, Robert Ballard era il Capo della spedizione, mentre il direttore della ricerca archeologica era la Prof. Anna Mac Cann, Direttore del Dipartimento di Archeologia Romana alla Boston University. La spedizione nasce nel 1988 col solo scopo di ricercare navi americane e sottomarini tedeschi affondati durante la seconda guerra mondiale nel mare Mediterraneo. Durante la ricerca Ballard scopre il vulcano sommerso e poi il relitto di una nave romana, denominata ISIS , a 70 miglia al largo delle coste italiane, cioè in acque internazionali. Il tutto viene fotografato e filmato, e non appena torna in America ne parla con gli archeologi dell’Università di Boston. Da lì nasce il nuovo progetto di ricerca di una rotta Cartagine - Roma. Nel 1989 iniziano le ricerche che finiranno il 29 giugno del 1997. Durante questa lunga spedizione vengono utilizzati strumenti ad altissima tecnologia. Due robot, veicoli telecomandati, Medea e Jason, un sottomarino nucleare, il NR-1, ed una nave oceanografica la Carolyn Chouest, sulla quale vi erano tutti i laboratori di ricerca e la base operativa. NR-1 è il più sofisticato sottomarino oggi esistente al mondo. Lungo 44.5 metri, con un diametro di 3.8 metri ed un dislocamento in immersione di 400 tonnellate, è spinto da due motori a propulsione nucleare e può raggiungere la profondità di 900 metri circa. Può rimanere in immersione per un tempo illimitato dipendente soltanto dalle provviste e dal cibo che può imbarcare. Trasporta un equipaggio specializzato di 9 persone, formato interamente da personale della Marina Militare Americana, più due scienziati. Esso è capace di muoversi ad una velocità media di 2 nodi (massima 4 nodi). Le sue dimensioni e la relativa velocità in superficie fanno sì che esso debba sempre essere trainato e accompagnato sul luogo delle missioni da una nave appoggio. Alcune caratteristiche, uniche per un sottomarino a potenza nucleare, sono le ruote di profondità retrattili che gli permettono di muoversi sul fondo, tre oblò per l’osservazione diretta dei fondali (spessore degli oblò 10 centimetri), proiettori esterni, ed ancora 17 telecamere oltre a diverse macchine fotografiche per studi di profondità, un braccio meccanico per il recupero di oggetti del peso di oltre 400 chili, un manipolatore che può essere impiegato per afferrare e tagliare materiali. NR-1 è anche equipaggiato con sofisticatissimi sonars e computers elettronici utili per la navigazione, comunicazione, l’ubicazione e l’identificazione di oggetti. I sonars possono operare in 11 differenti modi, rilevando una vastissima area attorno al sottomarino e costruendo la forma di strutture sepolte sotto il fango del fondo marino. Altre caratteristiche ad alta tecnologia e possedute soltanto dal NR-1 sono TOP SECRET. Il 30 Settembre 1995 la rivista scientifica inglese New Scientist pubblica per intero la ricerca su Banco Skerki con la intervista a Ballard ed alla Mac Cann e con le foto dettagliate del sottomarino nucleare, del robot Jason e di tutto il materiale recuperato. Delle 8 navi scoperte nessuna è stata toccata. Nessuno scavo è stato compiuto in profondità. Si sono fatti soltanto approfonditi studi topografici con riprese fotografiche e filmati, dopo si sono scelte i manufatti da recuperare. Per ogni nave sono stati recuperati in media solo 15 reperti per uno studio cronologico del sito: un pezzettino di legno, una lucerna, alcune anfore, 2 sole monete in bronzo per aiutare a definire l’età delle navi, alcune suppellettili e complessivamente per tutte le navi solo due ancore in piombo. Tutti i reperti recuperati saranno esposti in un apposito Museo a Washington presso la sede della National Geographic Society. I reperti possono essere richiesti da Enti Istituzionali di altri paesi per essere mostrati in pubblico. I pochi manufatti recuperati sono serviti per conoscere l’età dei relitti ed il tipo di nave, militare o commerciale. Il gruppo di 8 navi, con migliaia di manufatti, che abbracciano un arco di tempo di circa 2 mila anni di storia dell’uomo, giacciono a circa 800 metri lungo una antica rotta commerciale. Queste includono 5 navi del periodo dell’antica Roma, affondate tra il 100 a.C. ed il 400 d.C., una nave islamica della fine del ’700, primi del’ 800 e due navi moderne affondate alla fine del ’800, primi del ’900. La scoperta che include il recupero di complessivi 115 manufatti ( circa 15 per ogni nave) , è stata annunciata il 30 di Luglio 1997 a Washington nella sede della National Geographic Society. Molti relitti affondati in acque basse vengono fatti a pezzi per l’urto contro zone rocciose, o vengono incrostate di coralli, o sono saccheggiati dai sub o dai pescatori con reti a strascico. Questi siti di mare profondo sono coperti solamente da una finissima polvere di sedimenti e sino ad oggi non sono mai stati toccati da essere umano. I RELITTI I ricercatori hanno utilizzato, per localizzare i siti dei relitti, il sottomarino nucleare NR-1, della Marina Militare Americana, comandato dal Lt. Comandante Charles Richard. Capace di mappare vaste aree della profondità dell’oceano e per un periodo di tempo lunghissimo, NR-1 utilizza un sofisticato sonar a lungo raggio che può individuare relitti ad una distanza molto più grande rispetto ai sonars utilizzati normalmente dagli oceanografi. Esso era anche equipaggiato con un braccio pensile capace di recuperare ancore in piombo pesantissime, 300-400 chili. Il veicolo telecomandato Jason, della Woods Hole Oceanographic Institution, è stato utilizzato per esplorare e portare su i 115 manufatti, accuratamente selezionati dagli archeologi per aiutare a datare gli antichi relitti. Nei differenti siti Jason veniva collocato automaticamente su un posto ed esso era capace di fare il rilevamento topografico del sito con una precisione mai ottenuta sino ad ora nelle profondità marine. Il pilota del Jason era anche capace di manovrare e recuperare manufatti più piccoli di un pollice, come monete, incluso oggetti di vetro, e con delicatezza pigliarli e trasportarli su un mezzo elevatore che li portava in superficie senza danneggiarli. Il relitto più vecchio è di particolare importanza in quanto è uno dei pochi e più antichi relitti di navi romane mai scoperte, datato dal tardo II sec. a.C. all’inizio del I sec. a.C. Esso giace indisturbato, con la maggior parte dei manufatti intatti. I resti visibili fanno pensare ad una nave di circa 30 metri di lunghezza, con due stive cariche sia nella zona di prua che di poppa. La eccezionale e varia collezione di manufatti include un assortimento di arnesi di cucina e altri manufatti domestici, bronzi pregiati della nave, due pesanti ancore di piombo, e almeno 8 differenti tipi di anfore usate per vino, olio di oliva, salsa di pesce e per conservare frutta. Sono stati rinvenuti altri 3 relitti probabilmente datati dal I sec. d.C. Uno di loro portava un carico pesante di marmo di alta qualità, formato da blocchi di granito tagliati in modo irregolare forse presi da una cava per essere poi finiti in posto, all’arrivo. Erano ammassati accuratamente in almeno due strati in una sezione quadra centrale della stiva, includevano anche 2 colonne monolitiche e larghi blocchi irregolari, ed un vasto assortimento di oggetti da cucina. Prima di questa scoperta, nessun sito di relitti di navi maggiore di questo è stato mai scoperto ed esplorato da archeologi in acque più profonde di 60 metri; un’area che rappresenta meno del 5 per cento degli oceani del mondo. Le tecnologie usate dal team di Ballard possono raggiungere 6 mila metri, la profondità del 98 per cento degli oceani. I RELITTI DELLE 8 NAVI Durante la spedizione di Robert Ballard nel Mediterraneo, sono stati rinvenuti 8 relitti di navi, per ogni nave sono stati presi solo 15 manufatti. 1. Nave commerciale della fine del II o inizio del I sec. a.C. Lunga circa 30 metri. E’ uno dei pochi relitti e uno dei più antichi relitti romani sinora rinvenuti. Il carico delle due stive, a prua e a poppa, contiene fini bronzi della nave, almeno 8 tipi di anfore usate per vino, olio d’oliva, salsa di pesce e frutta conservata, e un assortimento di arnesi da cucina ed altri manufatti domestici. La nave trasportava anfore di un tipo che può essere associato con la famosa famiglia dei Sestius della tarda Repubblica, famosi esportatori sia di vino che di salsa di pesce. Due ceppi di ancore di piombo si trovavano sul ponte al momento del naufragio. 2. Nave commerciale del periodo di Cristo- Una indagine preliminare indica che i manufatti sono meno concentrati di quelli degli altri relitti; tuttavia, i tipi di anfore recuperate e osservate, così come negli altri relitti, con la videocamera del Jason, indicano contatti commerciali con il Nord Africa, Sud della Francia e Campania, meridione d’Italia., suggerendo che la nave poteva avere seguito un percorso commerciale circolare attorno al Mediterraneo occidentale. 3. Nave commerciale del I sec d.C. - Questa nave trasportava un pesante carico di blocchi da costruzione di alta qualità, marmo o più probabilmente granito. I blocchi, che sono accuratamente stipati in almeno 2 strati in una zona centrale della stiva, sono stati abbozzati a forma di colonne monolitiche e di larghi blocchi irregolari. Una grande ancora in ferro è visibile a prua. 4. Nave commerciale del I sec. d.C. - A bordo di questa grande nave si trova un carico di anfore contenenti vino ed olio provenienti dal Nord Africa, probabilmente con un carico sussidiario di ceramiche casalinghe della Campania, usate per la preparazione e la cottura del cibo. Sulla nave è visibile un’ancora con un grande ceppo in piombo. 5. Nave mercantile del IV sec. d.C.- Questa nave trasportava anfore per l’olio, salsa di pesce e vino dal Nord Africa, e da altre parti del Mediterraneo, verso i grandi empori di Roma. Un gruppo di ancore in ferro giacciono ancora sui resti nella parte anteriore del ponte, con piccoli utensili per macinare e arnesi per cucinare, utilizzati dall’equipaggio o dai passeggeri. Una lucerna cartaginese e una moneta romana ha aiutato gli archeologi a datare il relitto: fine del IV sec. d.C. 6. Nave islamica della fine del 18° o primi del 19° sec.- Nessun carico è visibile; una zona intagliata appositamente nell’interno dello scafo fa pensare che essa potesse servire a mantenere esche vive, indicando che la nave era probabilmente impiegata per la pesca. Due delicatissime lampade di vetro da moschea suggeriscono che la barca proveniva da un porto musulmano del Nord Africa. 7. Nave mercantile a vela della fine del 19° sec.- Uno dei più giovani relitti localizzati trasportava sullo scafo di legno coperture di rame. Si trovano nel loro posto originale significanti resti di un verricello (usato per montacarichi), una pompa di sentina ed un ingranaggio del timone. L’albero e l’attrezzatura ancora eretta sono visibili sulla superficie dei sedimenti attorno la nave. 8. Una grande nave mercantile a vela della fine del 19° sec. o primi del 20°- Un’altra fornitura di rame veniva trasportata da questa barca in legno. Si vedono chiaramente un verricello e una pompa di sentina meccanica, una catena e fili metallici. La sopravvivenza di così grandi quantità di legname indica che essa probabilmente affondò nei primi del 1900. La proposta di una seria collaborazione tra la Regione e gli Stati Uniti potrebbe aprire, a mio avviso, grandi prospettive per questa isola che 'naviga' a mare e a terra su immensi giacimenti culturali. Ballard, con le Università americane e con le Fondazioni, potrebbe essere ben disposto ad un discorso serio di collaborazione scientifica e tecnologica. - Francesco Torre - Geologo - Soprintendenza ai BB. CC. e AA. Di Trapani
Inserito il 19 Febbraio 2011 nella categoria Relazioni svolte
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