Il prof. Bruno Massa dell'Università di Palermo, ha relazionato sull'inquinamento e sulla salvaguardia della biodiversità
Relatore: Prof. Bruno Massa - Facoltà di agraria - Palermo
IN DIFESA DELLA BIODIVERSITÀ
Probabilmente il primo ad avere usato il termine 'biodiversity' è stato Elliott Norse in un rapporto governativo americano del 1980. Negli Stati Uniti il termine esteso 'Biological Diversity' fu successivamente usato nel 1984 da Mark A. Wilcox per descrivere 'la varietà di forme viventi, il ruolo ecologico che esse hanno e la diversità genetica che contengono', ma la sua forma contratta 'BioDiversity' fu usata correntemente per la prima volta da Walter G. Rosen, in occasione del Forum su questo tema specifico organizzato a Washington tra il 21 ed il 24 settembre 1986 dalla National Academy of Sciences e dalla Smithsonian Institution, cui parteciparono più di 60 relatori, biologi, economisti, agronomi, filosofi ed altri professionisti, ed alcune centinaia di congressisti. Nello stesso anno questo termine ricorreva in un documento destinato al Congresso. Un senatore, con una domanda formale, ne richiese il significato preciso e come conseguenza una commissione tecnica, Office of Technological Assessment, nel 1987 realizzò un volumetto sul tema spiegandone il significato e definendo il termine biodiversità come 'la varietà degli organismi viventi, la loro variabilità genetica ed i complessi ecologici di cui fanno parte'. In parole povere il termine biodiversità include i taxa, la loro abbondanza, la loro variabilità genetica, i rapporti fra loro ed i processi ecologici che li coinvolgono all’interno degli ecosistemi. Si deve soprattutto allo scienziato americano Edward O. Wilson la diffusione dei principi ispiratori del concetto di biodiversità nella letteratura scientifica. Dal punto di vista strettamente linguistico, il termine inglese 'diversity' sarebbe stato tradotto più fedelmente 'varietà' e quindi 'biodiversity' sarebbe 'varietà biologica', ma indubbiamente il nuovo termine italiano appositamente coniato è più efficace ed ha avuto più successo.
Biodiversità significa diversità biologica, cioè la diversità degli organismi a livello di specie, di individui, di geni, di interazioni e processi ecologici tra essi ed a livello di ecosistemi. Diversità biologica, sostantivo ed aggettivo, possono fondersi in un unico termine, in cui l’aggettivo diventa suffisso del sostantivo. Biodiversità di conseguenza è già un termine di significato completo, non sembra corretto aggiungere un ulteriore aggettivo, come talora capita di leggere; pertanto è corretto scrivere diversità vegetale o diversità animale, ma non biodiversità vegetale o animale.
Quando è stata adottata nel 1992 a Nairobi la convenzione sulla diversità biologica, i principali obiettivi erano: a) conservazione della biodiversità; b) utilizzazione sostenibile delle sue componenti in modo durevole; c) ripartizione giusta ed equa dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche. La procedura delle firme da parte dei Capi di Stato è iniziata durante il summit su ambiente e sviluppo a Rio de Janeiro nel 1992 e comprendeva anche la firma della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e della convenzione contro la desertificazione, motivo per cui sono denominate cumulativamente ‘Convenzioni di Rio’. La ratifica è avvenuta in 193 Paesi, tra cui l’Italia (legge n. 124 del 1994). La convenzione sulla diversità biologica è vincolante dal punto di vista giuridico per i Paesi firmatari e riconosce per la prima volta che la salvaguardia della biodiversità deve essere considerata parte integrante dei processi dello sviluppo umano.
Tra gli elementi chiave della convenzione è incluso il ‘principio precauzionale’, secondo il quale la carenza di conoscenze scientifiche non deve essere usata come giustificazione per ritardare misure contro i rischi di erosione della biodiversità. Gli impegni che i Paesi hanno sottoscritto firmando la convenzione sono parecchi e tutti di notevole importanza: 1) adottare strategie e piani d’azione nazionali per la biodiversità; 2) stabilire sistemi nazionali di aree protette, recuperare gli habitat degradati; 3) stabilire programmi di ricerca e formazione, promuovere l’educazione e la sensibilizzazione del pubblico; 4) adottare misure che creino incentivi per promuovere la conservazione e l’uso delle risorse biologiche; 5) ridurre o evitare effetti contro la biodiversità causati dall’uso delle risorse biologiche, eventualmente adottando la valutazione d’impatto ambientale per tutti i progetti che rischiano di erodere la biodiversità. Sembra non manchi nulla, ma sappiamo che in realtà non molto è stato fatto in modo concreto.
Eppure l’Obiettivo 2010 doveva essere lo strumento chiave per raggiungere gli scopi della convenzione; già nel 2002 a Johannesburg, durante il summit mondiale sullo sviluppo sostenibile, fu riconosciuto il ruolo chiave della diversità biologica e fu stabilito l’Obiettivo 2010, i cui punti chiave sono stati stabiliti dai ministri dell’ambiente e i capi delegazione di 51 Paesi nel 2003 a Kiev, in occasione della Conferenza Ministeriale ‘Ambiente per l’Europa’, quando è stata adottata la ‘risoluzione di Kiev per la biodiversità’. È pur vero che appena un anno dopo, a Malahide si riconosceva amaramente che la perdita della biodiversità continuava ad un ritmo allarmante e oltre a ribadire il ‘countdown 2010’ si enfatizzava l’urgenza di potenziare le azioni necessarie per far fronte agli impegni presi dall’Unione Europea per arrestare la perdita di biodiversità. Il ‘countdown 2010’ è di conseguenza divenuta una strategia globale, un’alleanza generale tra governi, organizzazioni non governative e semplici cittadini per conseguire concreti obiettivi, e l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura ha lanciato la campagna mediatica ‘Countdown 2010’. Il 22 maggio era stato scelto ufficialmente come giorno internazionale della biodiversità e proprio il 22 maggio 2006 a Bruxelles (Belgio) la Commissione Europea avviava una serie di azioni all’interno del simbolico slogan ‘Fermare la perdita di biodiversità per il 2010 e oltre’, individuando 10 obiettivi prioritari e 150 azioni concrete attuabili in modo condiviso dagli Stati membri. Nel 2006 a New York, durante il World Summit, in occasione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, venivano confermati tutti gli impegni derivanti dal Summit Mondiale sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg e veniva sottoscritto che «tutti gli Stati avrebbero realizzato gli impegni e ridotto significativamente il tasso di perdita di biodiversità entro il 2010». E nello stesso anno l’Assemblea generale dell’ONU ha proclamato il 2010 ‘Anno Internazionale della Biodiversità’ e ha invitato il segretariato della Convenzione sulla diversità biologica a collaborare con le agenzie delle Nazioni Unite interessate, le organizzazioni internazionali e gli altri attori che si occupano di ambiente, per sensibilizzare l’opinione pubblica e stimolare i governi ad un maggiore impegno a livello globale e locale, nella speranza che il tempo perduto non risultasse incolmabile.
L’Italia ha avuto il suo ruolo a Siracusa durante il G8 Ambiente del 2009, quando i ministri per l’Ambiente hanno firmato la ‘Carta di Siracusa’, i cui 24 punti fondamentali hanno riaffermato «il ruolo chiave della biodiversità e dei servizi ecosistemici per il benessere umano e per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio». Secondo l’interpretazione fornita dal Millennium Ecosystem Assessment, i servizi ecosistemici sono «i benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano»; questi servizi possono essere suddivisi in quattro categorie: supporto alla vita (ad esempio la formazione del suolo), approvvigionamento (ad esempio acqua e cibo), regolazione (ad esempio il controllo del clima) e culturale (ad esempio estetico). Un interessante documento è stato presentato nel corso dei lavori della decima Conferenza delle Parti della Convenzione sulla diversità biologica, che si è svolta a Nagoya (Giappone) alla fine di ottobre 2010. Sono stati presentati i risultati dell’analisi dell’economia della biodiversità e degli ecosistemi, realizzata dal ‘The Economics of Ecosystems and Biodiversity’; tra l’altro è stato citato un esempio di come la natura sia alla base delle attività umane: le autorità locali di Canberra (Australia) hanno piantato 400.000 alberi per regolare il microclima, ridurre l’inquinamento e migliorare la qualità dell’aria a livello urbano, riducendo i costi energetici derivanti dal condizionamento dell’aria e dei meccanismi economici di sequestro del carbonio. I benefici prodotti sono stati calcolati tra i 20 ed i 67 milioni di dollari per il periodo 2008-2012.
L’anno internazionale della biodiversità purtroppo è stato un appuntamento mancato, nel senso che a quell’appuntamento c’erano solo quelli che avevano davvero a cuore la conservazione della biodiversità, ma purtroppo erano in pochi. Ci sono poche note positive, almeno sulla carta. L’Italia, quasi ultima dei Paesi dell’Unione Europea, finalmente si è dotata di una strategia nazionale per la biodiversità, e durante la decima Conferenza delle Parti della Convenzione sulla diversità biologica, a Nagoya, è stato votato il Piano di azione globale per la biodiversità, che prevede impegni su aree protette, risorse genetiche, sovrasfruttamento della pesca, contabilità ambientale, ecc., da onorare entro dieci anni. È un accordo che conferma il bisogno di inserire la conservazione della biodiversità come elemento fondamentale della nostra economia e della nostra società. I delegati sono riusciti finalmente a superare lo scoglio del regolamento sull’accesso e la condivisione dei benefici derivati dalle risorse genetiche (Access and Benefit Sharing Protocol, acronimo: ABS), che da quando la Convenzione è stata firmata, 18 anni fa, era bloccato. Il Protocollo di Nagoya/ABS (questo è il suo nome) è un risultato davvero importante, che può essere definito storico e permetterà che l’immenso valore delle risorse genetiche venga finalmente condiviso fra popoli e nazioni. Inoltre i governi hanno condiviso l’obiettivo di arrestare il sovrasfruttamento delle risorse marine e di proteggere il 10% delle aree marine costiere e le cosiddette aree 'high seas'. L’obiettivo del Piano prevede la protezione del 17% degli habitat terrestri (attualmente è pari al 10%) in dieci anni e, fatto del tutto nuovo, la garanzia che il valore della biodiversità venga integrato nelle contabilità nazionali. La dolente nota è che attualmente non ci sono risorse economiche per raggiungere i propositi, ma i governi hanno condiviso l’obiettivo di identificare i finanziamenti necessari al Piano strategico entro il 2012, in modo da attivare immediatamente ogni azione per fermare la perdita di biodiversità nel mondo. Vedremo come si riterrà impegnato il governo italiano in questo processo, che finalmente vede un impegno internazionale per frenare l’erosione della biodiversità. Si spera solo che non si tratti di un nuovo appuntamento mediatico al 2020.
Tuttavia, al di là dell’impegno politico ed economico, ci deve essere un altro impegno, che possiamo definire ‘culturale’. Il processo di crescita della consapevolezza parte da un principio fondamentale, cioè la diffusione della cultura scientifica, fin dall’età giovanissima. Le scuole e successivamente le università possono fare davvero molto, ma lo Stato deve fare la sua parte, credendo nella necessità della crescita della cultura media della popolazione. Illustrare il significato profondo delle problematiche della conservazione della biodiversità non significa condizionare il pensiero altrui, semmai significa contribuire alla crescita dell’educazione della coscienza naturalistica. BRUNO MASSA
Inserito il 14 Novembre 2010 nella categoria Relazioni svolte
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